SCIENZA E RICERCA

Il Nobel e tre libri rossi: l’eredità di Richard Feynman

Feynman disse un giorno a un collega che, nel lungo termine, il suo contributo più importante alla fisica non sarebbe consistito nei suoi lavori di ricerca, ma piuttosto nelle sue Lectures on Physics. I tre grossi volumi con la copertina rossa, che raccolgono una serie di lezioni introduttive alla fisica (dalla meccanica all’elettromagnetismo e alla meccanica quantistica) tenute da Feynman negli anni accademici 1961-1962 e 1962-1963, sono indubbiamente un monumento di cultura scientifica. I volumi, pubblicati per la prima volta tra il 1963 e il 1965, vengono ancora oggi ristampati, e rimangono uno strumento didattico fondamentale per gli studenti e per i docenti di fisica.

Gli anni ‘60 sono quelli in cui la fama di Feynman comicia a varcare i confini del mondo della ricerca scientifica. Con le Lectures on Physics Feynman diventa popolare tra tutti gli insegnanti e studenti di fisica americani (e in seguito del resto del mondo). Nel novembre del 1964 tiene anche sette lezioni per il grande pubblico sul tema della natura delle leggi fisiche, che vengono registrate dalla BBC e trasmesse in televisione (e più tardi pubblicate nel libro The Character of Physical Law). Nel 1965, poi, il conferimento del Premio Nobel lo trasforma – suo malgrado – in un personaggio pubblico.

Ma negli anni ‘60, oltre a fornire fondamentali contributi didattici e a ricevere premi e onorificenze, Feynman si distingue ancora per la produzione scientifica con risultati importanti nel campo della teoria delle interazioni forti. Nel periodo in cui Feynman comincia a occuparsi attivamente del problema di una corretta descrizione delle interazioni forti, la situazione in campo teorico non è affatto chiara. Nel 1964 era stata formulata indipendentemente da Gell-Mann e George Zweig l’ipotesi di tre costituenti elementari, chiamati “quarks” da Gell-Mann, per spiegare lo schema con il quale si era riusciti a classificare gli adroni (particelle elementari come i protoni e i neutroni, formati da più quark) noti agli inizi degli anni ‘60. I quark tuttavia rimanevano solo un’ipotesi, senza alcuna verifica sperimentale e con molti problemi aperti anche d’ordine teorico.

In questo contesto Feynman s’inserisce nel 1968 con la sua teoria dei partoni. Cercando di comprendere il meccanismo delle interazioni tra adroni in situazioni di alte energie, quali erano quelle che si verificavano nelle collisioni tra particelle nei grandi acceleratori dell’epoca, Feynman ipotizza che ogni adrone sia composto da un insieme di “unità” puntiformi, sulla cui natura (se siano quark o altro) non ha bisogno di pronunciarsi chiamandoli semplicemente “partoni” (partons), in quanto “parti” degli adroni. Con la teoria dei partoni, Feynman mette a disposizione dei fisici un linguaggio molto più comprensibile di quello elaborato da Gell-Mann e che si presta a una immediata interpretazione dei dati sperimentali. In particolare, già alla fine degli anni ‘60 allo SLAC (Stanford Linear Accellerator Center), gli esperimenti di collisione anelastiche ad alta energia tra elettroni e protoni (un processo divenuto noto come deep inelastic scattering) avevano evidenziato un’inaspettata alta probabilità di deviazione ad alti angoli degli elettroni collidenti. Feynman è immediatamente in grado di dare la spiegazione corretta del fenomeno con la sua teoria dei partoni: è l’urto con questi grumi piccolissimi dentro il protone a provocare le deviazioni a grandi angoli degli elettroni. In altre parole, il modello a partoni di Feynman facilitava la comprensione della fisica delle particelle degli anni ‘60 proprio come, anni prima, i suoi diagrammi avevano facilitato la comprensione della QED. Feynman lavorerà per alcuni anni sui partoni che all’inizio degli anni ‘70 saranno identificati con i quark nell’ambito del Modello Standard delle particelle.

Nell’estate del 1977, mentre prosegue i suoi studi sulle interazioni forti, Feynman avverte i sintomi della malattia (un liposarcoma allo stomaco) che lo accompagnerà per il resto della sua vita. Ma nonostante il progressivo indebolimento e le sofferenze che gli procurano la malattia, Feynman riuscirà a condurre una vita quasi normale fino all’ultimo, cioè fino a quando, il 3 febbraio del 1988, entra nell’ospedale dell’università della California a Los Angeles, dove muore dodici giorni dopo.

Il 29 dicembre del 1959, in occasione del convegno annuale della American Physical Society, Feynman aveva presentato una relazione dal curioso titolo “C’è un sacco di spazio là in fondo”. “Là in fondo” significava per lui “a una piccolissima scala di lunghezza”. Il problema che si poneva, precorrendo i tempi di vari decenni, era quello “della manipolazione e del controllo delle cose su piccolissime scale”, ciò che oggi si chiama nanotecnologia. La questione era, in sostanza, quella della possibilità d’immagazzinare, e poi rendere fruibile, una grande quantità d’informazione in pochissimo spazio. I calcolatori degli anni 50 erano molto grossi e poco efficaci: ridurne le dimensioni non poteva che migliorare l’efficienza di trasmissione dell’informazione. Il problema, faceva notare Feynman, era solo tecnologico: le leggi della fisica non impedivano una miniaturizzazione dei portatori ed elaboratori d’informazione, come dimostrava chiaramente la biologia molecolare con la scoperta del DNA (Feynman, in quel periodo, stava per l’appunto trascorrendo un anno sabbatico a studiare e lavorare con i biologi di Caltech, tra i quali spiccava l’ex fisico Max Delbrück che nel 1969 avrebbe ricevuto il Nobel per le ricerche in campo genetico). E perché, quindi, non procedere fino alla scala atomica, fino a ottenere circuiti costituiti da pochi atomi? Niente lo impediva in linea di principio, osservava Feynman nel suo discorso: l’unica differenza era che i circuiti di dimensioni atomiche avrebbero dovuto obbedire alle leggi che governano il mondo microscopico, cioè le leggi della meccanica quantistica. Veniva così introdotta per la prima volta l’idea-base della computazione quantistica, che solo oggi – più di quarant’anni dopo –  con i calcolatori quantistici (quantum computers) comincia a diventare qualcosa di più di una mera possibilità teorica. Se quella che esprime nel 1959 è solo un’idea, nei primi anni ‘80 Feynman dà invece importanti contributi nel campo della fisica della computazione, ponendo le basi della teoria fisica della computazione quantistica, insieme a Paul Benioff, Charles H. Bennett, Tom Toffoli ed Ed Fredkin.

Il 28 gennaio del 1986 avviene l’esplosione della navetta spaziale (shuttle) Challenger, che costa la vita alle sette persone dell’equipaggio. Pochi giorni dopo, Feynman riceve la telefonata dell’amministratore delegato della NASA, William R. Graham, che gli propone di entrare a far parte della commissione istituita dal governo americano per far luce sulle cause del disastro. Graham, che era stato suo studente molti anni prima a Caltech, aveva pensato a lui come persona indipendente e d’indiscussa autorità scientifica da includere nella commissione, diretta dal Segretario di Stato William P. Rogers e altrimenti composta da politici, militari e uomini della NASA.

L’esperienza sarà di fatto piuttosto amara per Feynman, che si scontrerà con il mondo omertoso e poco limpido di certa politica, e con modi di ragionare e comportarsi che gli sono totalmente estranei. “Descrivere l’evidenza con molta attenzione senza riguardo al modo in cui si vorrebbe che le cose risultassero. Se si ha una teoria, cercare di spiegare in ugual misura quanto di buono e quanto di cattivo essa contiene”: questo è lo standard d’integrità e onestà che Feynman ha imparato dal suo lavoro di scienziato. Uno standard che però non ritrova nel mondo della politica. Quando durante i lavori della commissione cominciano a venire alla luce gravi manchevolezze da parte della NASA nei controlli di sicurezza prima del lancio dello shuttle, Feynman incontrerà molte difficoltà nei suoi tentativi di approfondire le cause e le responsabilità, e di rendere pubblici i risultati. Riuscirà nonostante tutto a far emergere con i suoi metodi quello di cui viene a conoscenza. Come per esempio quando compie in pubblico e in presenza di giornalisti e televisioni l’esperimento con gli O-rings (anelli di gomma) usati nello shuttle e un bicchiere d’acqua ghiacciata, per far vedere a tutti in modo semplice quello che poteva essere successo (il comportamento difettoso di quegli O-rings a basse temperature aveva giocato un ruolo decisivo nell’esplosione).

La morale della relazione conclusiva di Feynman è una lezione che oggi, dopo il disastro del Columbia, colpisce ancora di più. “Se si vuole mantenere una serrata tabella di marcia per i lanci spaziali – scrive Feynman – spesso il lavoro d’ingegneria non può essere compiuto abbastanza velocemente da permettere di rispettare i previsti criteri di sicurezza. La conseguenza è un’alterazione di questi criteri e quindi la diminuzione della sicurezza dei voli. Si dovrebbero proporre solo tabelle di marcia realistiche, che hanno una ragionevole possibilità di essere rispettate. Se il governo non è disposto a finanziarle, la NASA deve informarne onestamente i cittadini. Per una tecnologia di successo, la realtà deve aver la precedenza sulle relazioni pubbliche, perché la natura non può essere ingannata”.

Risuona in questa frase l’impegno di Feynman come “maestro”, il suo costante adoperarsi per trasmettere il suo sapere in un modo che fosse il più semplice, il più chiaro e il più onesto possibile.

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012