MONDO SALUTE
In Salute. Il cancro tra gli under 50 è in aumento?
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“L'incidenza globale dei tumori a insorgenza precoce è aumentata del 79,1% e il numero di decessi per neoplasie a insorgenza precoce è aumentato del 27,7% tra il 1990 e il 2019”. Le prime righe di un paper pubblicato sul BMJ Oncology qualche mese fa sembrerebbero non lasciare adito a dubbi: nell’ultimo trentennio il numero di adulti con meno di 50 anni che si è ammalato di cancro sarebbe significativamente cresciuto. Il condizionale, però, è d’obbligo. I dati sono stati ripresi da molti media nazionali e internazionali e del tema si discute, e si continua a discutere, ormai da tempo. Già alla fine del 2022 una rivista del gruppo Nature pubblicava un articolo dal titolo eloquente: Is early-onset cancer an emerging global epidemic? Current evidence and future implications (Il cancro a insorgenza precoce è un’epidemia globale emergente? Evidenze attuali e implicazioni future). Quelli riportati sono risultati di particolare peso che potrebbero indirizzare scelte di politica sanitaria. Abbiamo ritenuto utile dunque approfondire l’argomento, muovendoci in due direzioni: da un lato abbiamo esaminato le informazioni contenute nel Global Burden of Disease Study 2019, riportando i grafici in questa pagina, dall’altro abbiamo cercato di interpretare i dati con l’aiuto di Francesco Perrone, presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) e direttore della struttura complessa Sperimentazioni cliniche dell’Istituto tumori Pascale di Napoli.
Intervista completa a Francesco Perrone, presidente dell'Associazione italiana di oncologia medica. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar
Perrone parte innanzitutto da una considerazione, sottolineando l’importanza di avere un sistema di sorveglianza epidemiologica attiva, condotta attraverso i registri tumori, che sia efficiente e tempestivo e attraverso il quale descrivere i numeri del cancro, in termini di incidenza, prevalenza e mortalità. “Tutto ciò serve a comprendere meglio le cause della patologia oncologica, il carico terapeutico e diagnostico che grava su un servizio pubblico (come quello italiano per esempio), dal momento che in oncologia si assiste a un incremento della cronicizzazione”. Si tratta di informazioni importanti per chi fa ricerca, ma anche per chi deve far funzionare un servizio sanitario: “Avere i numeri, averli in maniera affidabile e tempestiva è un assoluto bisogno di ogni sistema sanitario. Nel nostro Paese non sono mancate le difficoltà per arrivare a questo risultato (pur con una buona qualità dei dati grazie ai registri tumori italiani), pertanto presumo che gli ostacoli siano ben maggiori in Paesi emergenti con un sistema di sorveglianza meno sviluppato del nostro”.
Oltre al sistema di sorveglianza epidemiologica gli aspetti da considerare sono anche altri, secondo Perrone: “Il dato pubblicato su Bmj oncology è un dato globale che comprende un enorme numero di Paesi, inclusi quelli con un livello di ricchezza, di aspettativa di vita, e di qualità delle prestazioni che li rende molto diversi dal contesto dell'Europa occidentale e dell'Italia. Sono Paesi che hanno un'età media molto più bassa rispetto a quella italiana, la nostra del resto è tra le popolazioni più longeve al mondo. Se si osservano i dati epidemiologici si vedrà che, negli Stati che hanno un'aspettativa di vita decisamente più bassa, la popolazione giovane che potenzialmente si può ammalare in termini assoluti cresce e questo produce numeri che impressionano, che colpiscono sia chi si occupa di ricerca in oncologia, sia i mezzi di comunicazione che fanno circolare le notizie e ne modificano anche la percezione”. L’aumento del numero dei casi di cancro nelle persone con meno di 50 anni è un dato inoppugnabile, secondo Perrone, che va letto però alla luce del contesto da cui il dato deriva. E il contesto è quello di una prevalenza globale che vede al suo interno molti Paesi giovani nei quali, per motivi puramente statistici, l'incremento numerico del cancro tra i giovani è necessariamente maggiore e molto più visibile di quanto non sia tra i soggetti anziani.
“I dati pubblicati su Bmj oncology, rivista sicuramente con un grande futuro ma che per ora va considerata non di grande valore scientifico, in realtà soffrono di una sovra-enfasi assegnata ai valori assoluti, perché i trend nei valori relativi, nei tassi stimati e rapportati alla popolazione, sono molto meno impressionanti”. Ormai è noto che l'incidenza del cancro è in aumento nel mondo: “Il cancro resta una malattia il cui rischio statisticamente aumenta con l'avanzare degli anni per motivi non modificabili. È poi un dato di fatto (che va tenuto presente e studiato) che per alcuni tipi di tumore come quello del colon si registra un fenomeno epidemiologico di incremento dei casi in età nelle quali tendenzialmente alcune decadi fa era difficile fare diagnosi di questo tipo”. Secondo Perrone questo è un aspetto a cui prestare particolare attenzione e che va studiato anche in termini di prevenzione secondaria. “È un errore, per esempio, immaginare di condurre uno screening in una fascia di popolazione sana, senza alcuna evidenza (dimostrata con la sperimentazione) che quel particolare programma di prevenzione sia utile a ridurre la mortalità”. Gli screening richiedono grande impegno e investimenti e vanno condotti, secondo il presidente Aiom, quando realmente servono. “I dati esistenti fanno sospettare che per alcuni tipi di neoplasia, come il cancro al colon per l’appunto, ci possa essere un buon motivo per sperimentare strategie di screening diverse da quelle che oggi consideriamo lo standard. E probabilmente anche per il tumore della mammella ha assolutamente senso procedere in questa direzione”.
Facendo un discorso più ampio e generale, va detto che l’insorgere di una neoplasia non può quasi mai essere attribuito a un’unica causa, quanto piuttosto al convergere di più fattori di rischio. L’età, il genere e il patrimonio genetico sono fattori di rischio non modificabili. Lo stile di vita e l’ambiente invece sono modificabili. Gli effetti di tutti questi fattori dipendono poi da variabili come la durata dell’esposizione al rischio o il modo in cui tali fattori si combinano tra loro. Adottare uno stile di vita sano, dunque, è il primo passo per ridurre il rischio di sviluppare un tumore: a tale scopo la Commissione Europea e l’International Agency for Research on Cancer (Iarc) hanno introdotto il Codice europeo contro il cancro che fornisce alla popolazione dodici raccomandazioni da seguire: evitare il fumo e il consumo di alcol, seguire una sana alimentazione, praticare attività fisica, contrastare sovrappeso e obesità sono alcune delle indicazioni che vengono date. Anche l’ambiente, come si è detto, può avere un peso: l’inquinamento atmosferico o agenti infettivi come il virus dell’epatite B e C o il papilloma virus possono costituire infatti fattori di rischio oncologico.
“Il fumo – sottolinea Perrone – è in calo ma non quanto si auspicherebbe. La prevalenza di sovrappeso e obesità infantile è preoccupante e questo è un fenomeno che misuriamo da vari anni. Il consumo di alcol è ancora assolutamente troppo elevato, anche nelle fasce di età più giovani, e il consumo di frutta e verdura (che costituisce un fattore protettivo nei confronti del cancro) è troppo basso”. Perrone evidenzia inoltre differenze regionali nell’esposizione ai principali fattori di rischio: se si esclude il consumo di alcol, più diffuso nelle regioni settentrionali dell’Italia, l’abitudine al fumo, la sedentarietà, l’eccesso ponderale, lo scarso consumo di frutta e verdura sono più frequenti nel meridione. “Le regioni meridionali hanno un livello socio-economico inferiore rispetto a quelle del nord ed è stato dimostrato che gli stili di vita meno salutari si concentrano nelle fasce sociali che vivono un disagio economico associato a un ridotto livello di istruzione e a una maggiore difficoltà lavorativa”.
Il presidente Aiom osserva in proposito: “Personalmente ritengo che nelle strategie di prevenzione primaria e secondaria il sistema federalista di organizzazione della sanità in Italia purtroppo abbia fallito: nel nostro Paese non c'è alcun grado di omogeneità nella diffusione dei fattori di rischio e nemmeno nell’erogazione (corretta) degli screening che fanno parte dei livelli essenziali di assistenza. Mentre sul piano dell'organizzazione dei trattamenti e quindi dell'erogazione dei servizi sanitari la dimensione regionale può consentire e garantire dei livelli di efficientamento migliore, sul piano delle strategie (comunicative, educative e organizzative) di screening e di prevenzione primaria il sistema delle regioni non funziona, la frammentazione porta a differenze assolutamente importanti e rilevanti”.