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«Il dibattito politico non può ignorare che ci sia di nuovo un terrorismo di destra, 75 anni dopo la fine della dittatura nazista. Dobbiamo combatterlo, dobbiamo difendere la nostra democrazia liberale». Il tweet di Olaf Scholz, vicepremier tedesco, riassume al millimetro il sentimento di sconcerto, di profondo stupore che attraversa il paese per quanto avvenuto nella sera di mercoledì a Hanau, piccolo centro alle porte di Francoforte, dove un uomo di 43 anni, estremista di destra, ha sparato contro gli avventori di due narghilè bar, frequentati da immigrati di origine turca e curda. Nove vittime (una delle quali, 35 anni, madre di due figli, era incinta), più l’attentatore stesso e la madre, che sono stati trovati morti dalla polizia nell’appartamento dove abitavano, poco distante dal luogo della strage. Il killer, Tobias Rathjen, ha lasciato una lettera-testamento di 24 pagine, oltre a un video, postato su You Tube pochi giorni fa. E non c’è alcun dubbio che all’origine della strage ci siano motivi di odio razziale. «Abbiamo gruppi etnici, razze e culture in mezzo a noi che danneggiano ogni aspetto del nostro vivere», è scritto nella lettera. «Popoli che non possono essere più espulsi dalla Germania e perciò devono essere sterminati». Secondo Peter Neumann, esperto di terrorismo e direttore dell’ICSR (Centro Internazionale di Studi sulla Radicalizzazione) che ha analizzato il testo, è evidente che Rathjen «…odia gli stranieri e le persone non bianche. Non c’è esplicita enfasi anti-islamica, ma propone di sterminare la popolazione di diversi paesi di Medio Oriente, Nord Africa e Asia Centrale. Esprime una forma di razzismo scientifica, crede nella superiorità razziale e nell’eugenetica». Anche Angela Merkel ha definito “agghiacciante” quanto accaduto, per poi aggiungere: «È un giorno quanto mai triste per la Germania. Il razzismo è un veleno. L’odio è un veleno che esiste nella nostra società».
Non un pazzo isolato, ma l’effetto di un’ideologia neonazista
Quello di Hanau non è un caso isolato. E’ il frutto che nasce in un terreno imbevuto d’ideologia neonazista, antisemita, anti-islamica e che molti, per molto tempo, non hanno voluto osservare da vicino. Come scrive Vincenzo Savignano su Avvenire: «La lunga notte di Hanau lascia un’ombra nera su tutta la Germania. Un’ombra che negli ultimi anni riaffiorava, poi scompariva, si faceva finta di non vedere, di non sentire, ma ora sta dilagando ovunque nel Paese». Ovviamente c’è chi parla di un caso isolato, dell’opera di un pazzo. Ma quasi tutti gli analisti ormai concordano nell’indicare il ritorno in Germania di un allarme neonazismo. La scorsa settimana a Berlino, all’esterno del Tempodrom, un commando (che poi è fuggito) ha aperto il fuoco mentre era in corso uno spettacolo comico turco: un morto, 7 feriti. L’ultima strage avvenuta in Germania risale invece al dicembre del 2016, quando il tunisino Anis Amri a bordo di un camion travolse la folla uccidendo 12 persone al mercatino di Natale della Chiesa della Memoria di Berlino. Dopo alcuni giorni di fuga, il terrorista è stato ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia italiana, a Sesto San Giovanni. E’ invece dello scorso ottobre l’attacco antisemita alla Sinagoga di Halle, nel giorno dello Yom Kippur: un neonazista di 27 anni, in divisa militare verde scura e con un elmetto con mini telecamera in testa, ha sparato in strada e tentato di fare irruzione nel tempio ebraico gremito di fedeli. Due le vittime.
Fanatismo, infiltrazioni e arresti continui
Ma il lavoro della polizia tedesca è quotidiano e capillarmente diffuso: in ogni angolo della Germania spuntano organizzazioni neonaziste e gruppi di estrema destra, alcune delle quali vengono smantellate a forza di arresti. L’ultima operazione, pochi giorni fa, ha portato a 12 arresti (tra i quali un poliziotto): «Pianificavano attacchi contro ebrei, musulmani e politici e speravano di creare un clima di terrore tale da provocare una guerra civile». Alcuni di loro sarebbero “Reichsbürger”, letteralmente “cittadini del Reich”, fanatici neonazisti che non riconoscono l’autorità e le leggi dello Stato, che girano con documenti contraffatti (d’identità e targhe delle auto) e sono spesso in possesso di grandi quantità di armi. In passato diverse indagini hanno svelato contiguità tra i Reichsbürger, agenti delle forze di polizia e dell’esercito.
Ventiquattromila simpatizzanti neonazisti
Il Bundesamt für Verfassungsschut, l’Ufficio federale tedesco che si occupa di sorvegliare le attività contrarie al rispetto della Costituzione, ha ufficializzato l’anno scorso dati estremamente preoccupanti sulla diffusione del neonazismo nel paese. Il ministero dell’Interno ha individuato 24mila simpatizzanti nazisti, 12.700 dei quali (la metà) è giudicata “pericolosa”, “estremisti pronti a usare la violenza”. Fanno parte di gruppi, partiti politici o comunque movimenti che si dichiarano apertamente neonazisti e xenofobi. La polizia Federale tedesca ha fatto sapere che soltanto nel 2018 sono 13mila i reati compiuti da estremisti di destra, tra omicidi, aggressioni a sfondo razziale, violenze contro stranieri immigrati, oltre al possesso di armi e all’apologia del nazismo (reato che in Germania è punito con tre anni di carcere nei casi più gravi). Il ministro dell’Interno tedesco, Horst Seehofer, ha messo pochi giorni fa al bando il gruppo neonazista Combat 18 (dove 18 sta per le iniziali di Adolf Hitler, prima e ottava lettera dell’alfabeto). Mentre da molti anni è stato chiesto lo scioglimento dell’Npd, il partito neonazista (mai entrato nel Bundestag), ma la Corte Costituzionale ha sempre respinto la richiesta.
Spaventosi anche i numeri sui reati a sfondo antisemita in Germania. Nel 2018 (ultimi dati disponibili) sono stati circa 1800, con una crescita del 20% rispetto al 2017. E i prossimi dati saranno peggiori. Secondo un recente sondaggio realizzato dall’Unione Europea, quasi la metà dei tedeschi (il 45%) non vorrebbe un musulmano in famiglia, mentre il 41% ritiene che “gli ebrei parlano troppo dell’Olocausto” e “sono più fedeli a Israele che alla Germania”. Un ebreo tedesco su due dichiara oggi di voler lasciare il Paese per paura di ritorsioni.