CULTURA

Cinema, un noir distopico tra religione e politica

Ricetta: prendete l’estetica di Dario Argento, immergetela nel cuore di una città brasiliana, aggiungete un taglio distopico e una forte connotazione politica. Il risultato è Medusa, il secondo lungometraggio di Anita Rocha de Silveira, regista carioca appassionata, in passato, di atmosfere dark e vampiresche. Il film, presentato l’anno scorso a Cannes alla Quinzaine des Réalisateurs e inedito in Italia, dove finora è apparso sporadicamente in qualche rassegna, è una favola nera che, dietro l’apparenza di un fanta-thriller surreale, ci racconta aspetti inquietanti e molto attuali della società brasiliana.

Il mito di Medusa, la repressione della bellezza libera e impudica, è qui incarnato da un gruppo di giovanissime di aspetto delicato e animo sulfureo: una delle tante comunità cristiane evangeliche che accolgono ragazzi di ogni provenienza e ne fanno dei soldati al servizio di Dio. Protagonista è Mariana, membro della squadra dei “Tesori di Cristo” capitanata dall’amica Michele, il cui mandato è glorificare il Signore e massacrare di botte le ragazze perdute, colpevoli di comportamenti immorali, per costringerle a redimersi e postare sui social i video con la confessione dei propri peccati e il relativo pentimento. Convinte di agire per una causa superiore, le ragazze si dedicano a pregare, preparare spettacoli di canto e danza religiosi per i raduni della comunità e curare ossessivamente il proprio aspetto (Michele pubblica regolarmente sui social dei tutorial di “make up cristiano”). Il loro corrispettivo maschile è la squadra dei “Guardiani di Sion”, che in comune con le ragazze hanno il culto del corpo (si allenano continuamente) e l’attività di redenzione forzata tramite pestaggi collettivi. La comunità è ovviamente endogamica: i fidanzamenti e i conseguenti matrimoni sono ammessi solo all’interno dei due gruppi, con sessioni di corteggiamento collettive e pubbliche. Quanto al leader della comunità, il giovane e telegenico Padre Guilherme, pone il suo carisma non solo al servizio di Dio, ma anche di una rete di politici di riferimento cui fornisce un essenziale bacino di consensi.

Mariana sembra un’adepta impeccabile, finché avviene qualcosa che rompe il suo equilibrio: durante l’aggressione a una “peccatrice”, la vittima le spruzza in viso uno spray urticante, che le lascia una cicatrice. Un’impurità che, per paradosso, la avvicina al personaggio che le ragazze di Michele reputano il loro Lucifero, Melissa, una “donna perduta” il cui volto era stato sfigurato molto tempo addietro da un’adepta, e di cui si sono perse le tracce. Mariana, attratta dal mito di questo angelo nero, inizia una ricerca per scoprire che fine abbia fatto: il risultato stravolgerà ogni certezza e renderà fragilissimi i valori di un tempo…

Medusa è un esperimento veramente curioso, perché ci offre uno spaccato del Brasile di oggi utilizzando un’estetica che di solito non è consueta per narrazioni socio-politologiche: la storia è in tutto e per tutto confezionata come un film noir, con connotazioni che spaziano dall’azione al giallo all’horror e citazioni stilistiche di classici del genere, da Brian De Palma a Dario Argento. Ma il tema è più che mai al centro dell’attenzione mediatica. Oggi in Brasile si dichiara evangelico oltre un cittadino su quattro, e il ruolo delle comunità nella competizione politica è consolidato: come nella precedente elezione, la proporzione del loro appoggio a Bolsonaro (la cui moglie Michelle è evangelica) sarà fondamentale per determinare l’esito del voto.

Dunque Medusa è un’esplicita presa di posizione contro l’ondata neoconservatrice che ha trasformato l’anima del Brasile e portato Bolsonaro alla presidenza, e condanna senza riserve l’uso politico della religione (anzi, politico-militare: perché le squadracce punitive, sia maschili che femminili, sono presentate come formazioni paramilitari che applicano una giustizia parallela e senza appello). Ma il vero motivo di interesse del film, si diceva, risiede nell’abilità con cui la regista utilizza con successo gli standard stilistici del fanta-horror anni Settanta (il modello dichiarato è Suspiria) calandoli in un contesto funzionale al proprio assunto politico. Il terrore suscitato dalla violenza, fisica o psicologica, esercitata dalle comunità evangeliche viene espresso con notturni continuamente rischiarati da rossi e blu fluorescenti, neon, musiche che omaggiano l’elettronica e le sonorità anni Settanta; e le ambientazioni sono davvero claustrofobiche, siano in apparenza idilliache (i giardini e il teatro della comunità evangelica) o inquietanti (la clinica per pazienti in coma in cui Mariana, facendosi assumere, cercherà di trovare la sua “gemella nera” Melissa). Se il finale può apparire prevedibile (l’ipocrisia dei valori comunitari porterà a una surreale catarsi collettiva), Medusa resta un godibile, riuscito esercizio di stile su un tema che merita analisi più profonde e, forse, meno militanti.

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