SCIENZA E RICERCA

Conservare la natura: metodi, politica e gestione

Negli ultimi 150 anni, da quando ha cominciato a svilupparsi un consenso scientifico, politico e pubblico intorno alla necessità di tutelare la natura, il tema della conservazione della natura ha raggiunto una solida maturità scientifica e un'ampia consapevolezza tra i cittadini.

Eppure, nonostante i tanti sforzi e le tante storie di successo nel campo della protezione e del ripristino della natura e nell'integrazione del valore della natura nei settori economici, il numero delle estinzioni di specie - dai microscopici batteri ai grandi mammiferi - continua ad aumentare. Secondo un rapporto del 2019 dell'Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (Ipbes), circa un milione di specie (sui sette milioni presenti sul pianeta) è a rischio di estinzione, e molte di queste potrebbero estinguersi nell’arco di pochi decenni. La distruzione, la frammentazione e la degradazione di habitat continuano a ritmo incessante, i sistemi viventi della Terra vengono compromessi e con essi anche il benessere, la sicurezza e la prosperità dell’umanità.

Un rapporto ONU del 2020 mostra che nessuno dei 20 traguardi del piano mondiale per il periodo 2011-2020 è stato raggiunto e che un ulteriore fallimento per il decennio futuro sarebbe devastante per la natura e potrebbe minare gli obiettivi dell'accordo di Parigi sulla crisi climatica e gli obiettivi ONU per lo sviluppo sostenibile.

Nel dicembre 2022, dopo tre anni di negoziati e analisi scientifiche, in occasione della quindicesima sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione ONU per la Diversità Biologica, nota come COP15, 196 Paesi hanno firmato un pacchetto di accordi per arrestare e invertire il declino della natura. Il pacchetto include un piano globale per la biodiversità - chiamato Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (in breve GBF) - che traccia il percorso per raggiungere 23 traguardi (target) al 2030 e gli obiettivi generali (goal) al 2050.

I primi tre target del GBF per il 2030, relativi a pianificazione del territorio, ripristino degli ecosistemi e protezione su base territoriale di specie e habitat, hanno il potenziale per raggiungere ciò che un corpus crescente di acquisizioni scientifiche in tema di conservazione della natura ci dice sia necessario per affrontare non solo la perdita di biodiversità, ma anche la crisi climatica: proteggere, conservare e ripristinare almeno la metà della superficie del pianeta entro il 2050.

Il target 3, riguardante la protezione su base territoriale di specie e habitat, noto anche come “30 by 30”, era quello più di alto profilo della COP15, un target simbolico, una linea rossa, per le ambizioni di conservazione dell’Italia e dell’Unione europea.

Le aree protette, e più in generale le aree destinate alla conservazione su base territoriale, sono indubbiamente lo strumento politico, normativo e gestionale più diffuso ed efficace per la conservazione della natura e per arginare le minacce alla biodiversità, specialmente nelle aree di particolare importanza naturalistica. Alle aree protette è riconosciuto un ruolo determinante per contrastare i tassi di perdita di habitat e i livelli di popolazione delle specie. In più, le aree protette forniscono un ambiente sano e attraente per i residenti.

La criticità del loro ruolo per la conservazione della natura è riconosciuta dal Piano  strategico per la biodiversità per il periodo 2011-2020 della Convenzione ONU per la biodiversità (CBD) e in particolare dall’Aichi Target 11, uno dei 20 traguardi definiti dal medesimo Piano strategico.

La formulazione finale del target 3 del GBF impegna i governi a preservare quasi un terzo della Terra entro il 2030, rispettando i territori indigeni e tradizionali nell'espansione di nuove aree protette. Diversi studi scientifici ed evidenze empiriche dimostrano che i popoli indigeni e tradizionali sono i migliori custodi della natura. Il Global Assessment dell'Ipbes del 2019 ha fortemente contribuito ad affinare e diffondere la comprensione del ruolo cruciale che i popoli indigeni e tradizionali svolgono nella salvaguardia della biodiversità: rappresentano solo il 5% della popolazione umana, ma proteggono l'80% della biodiversità terrestre. Sono le loro culture, strutture politiche e conoscenze che hanno consentito questa coesistenza con il resto del tessuto vivente del nostro pianeta.

L'accordo chiede che per centrare il target 3 siano integrate oltre alle aree terrestri e marine, anche quelle costiere e le acque interne. Ai Paesi è richiesto uno sforzo affinché le superfici protette siano ben connesse tra di loro, governate e gestite in maniera efficace. Per raggiungere il 30% di superfici protette entro il 2030 potranno essere designate le cosiddette "altre misure efficaci di conservazione su base territoriale", definite dalla CBD come «quelle aree geograficamente definite, diverse da un’area protetta, governate e gestite in modo tale da ottenere risultati positivi e sostenibili a lungo termine, ai fini della conservazione in situ della biodiversità, con funzioni e servizi ecosistemici associati e, ove possibile, valori culturali, spirituali, socio-economici e altri ancora, rilevanti a livello locale».

In Italia, ad oggi, la copertura di superficie protetta, al netto delle sovrapposizioni tra aree protette e siti Natura 2000, è di circa 3,9 milioni di ettari a mare (pari all’11,2% delle acque territoriali e Zona di Protezione Ecologica) e di 6,5 milioni di ettari a terra (pari al 21,7% del territorio italiano) (dati e fonti nell’Annuario dei dati Ambientali Ispra). Questi dati mostrano che per il raggiungimento dell’obiettivo del 30% entro il 2030 all'interno del territorio nazionale, come richiede il target 3 del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework, esiste uno scarto di un ulteriore 19% di superficie marina da sottoporre a tutela e di circa l’8% di superficie terrestre.

Un target equivalente per le aree protette era già stato introdotto nell'UE nel 2020 con l'emanazione della Strategia UE per la Biodiversità. Il target UE per le aree protette prevede la creazione di una rete coerente e ben gestita di zone protette comprendenti almeno il 30% della superficie terrestre e il 30% di quella marina dell'UE, di cui almeno un terzo sottoposte a tutela rigorosa.

«Destinare spazio alla vita non umana salverà l'umanità» aveva detto Edward Osborne Wilson. Il grande naturalista americano, scomparso nel 2021, aveva introdotto, in occasione della presentazione di uno dei suoi ultimi libri (Metà della Terra: salvare il futuro della vita), il concetto di Half-Earth. Si tratta di un approccio nuovo alla conservazione della natura, che ha ispirato profondamente l’architettura dell’accordo ONU per la conservazione della biodiversità approvato a fine 2022. Wilson immaginava sulla Terra un intreccio di corridoi, alcuni dei quali ad un certo punto si allargano per diventare aree protette, nuclei della conservazione di specie e habitat. Questo sistema combinato di nuclei e corridoi, “ambizioso e realistico”, sviluppato su metà delle terre e dei mari del pianeta, offrirebbe garanzie sufficienti all’85% delle specie con cui condividiamo il pianeta di avere lo spazio per continuare la propria esistenza e all’umanità di soddisfare i propri bisogni senza minacciare la salute ecologica del pianeta.

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