SOCIETÀ

Il bivio slovacco tra europeismo e deriva autoritaria

Due candidati, come due treni in partenza per destinazioni opposte: l’europeismo da una parte, l’orbita filo-putiniana dall’altra. O per riassumerla in maniera ancor più spicciola: la scelta è tra il continuare ad abbracciare la democrazia, con la tutela dei diritti, oppure scivolare verso un autoritarismo del tutto simile a quello in atto, da anni, in Ungheria. Le elezioni presidenziali in Slovacchia (il primo turno s’è svolto domenica scorsa, mentre il prossimo 6 aprile si terrà il ballottaggio decisivo) riflettono plasticamente l’immagine del bivio, della strada che da qui a pochi giorni la piccola nazione dell’Europa centro-orientale, nata nel 1993 dalla scissione pacifica della Cecoslovacchia (fu definita “il divorzio di velluto”), deciderà d’imboccare. Piccola (5,7 milioni di abitanti) ma non per questo meno influente nella “composizione” politica dell’Europa che verrà, soprattutto dopo le elezioni comunitarie del prossimo giugno. Ma prima gli elettori slovacchi dovranno scegliere chi designare alla presidenza del loro paese tra il liberale Ivan Korčok, ex ministro degli Esteri ed ex ambasciatore (ha rappresentato la Slovacchia negli Stati Uniti, in Germania e in Svizzera), e il socialdemocratico Peter Pellegrini, ex primo ministro, oggi alleato di ferro del premier slovacco, il “populista cremliniano” Robert Fico, eletto 6 mesi fa, uno che pur definendosi “di sinistra” ha in Trump e in Orbàn i suoi principali riferimenti politici. Nel primo turno Korčok, che ha il sostegno della presidente uscente, la progressista ed europeista Zuzana Čaputová, ha ottenuto il 42% dei voti, contro il 37% di Pellegrini. Terzo è arrivato l’ex ministro della Giustizia Štefan Harabin, apertamente schierato con la Russia nella sua guerra contro l’Ucraina e sostenuto dalla terza forza di governo, gli ultranazionalisti del Partito Nazionale Slovacco: quindi è presumibile che quell’11% abbondante di voti ottenuti dall’estrema destra possa confluire, al ballottaggio, sul candidato Pellegrini (nonostante le accuse di aver cercato alleati anche tra gli impresentabili dell’estrema destra), spingendolo così assai vicino alla soglia del 50%. Ivan Korčok, nonostante la vittoria al primo turno, non si fa illusioni: «Il risultato è incoraggiante e promettente, ma per vincere il ballottaggio dovremo fare di più, parlare alle decine di migliaia di elettori che non sono d’accordo con la politica che il governo della Slovacchia sta attuando». La sua strada, effettivamente, appare in salita.

Controllo politico sui media pubblici

Il ballottaggio del 6 aprile assume così il sapore della partita finale, del “dentro o fuori” (dall’Europa, dallo stato di diritto, dalle regole condivise). Qualora dovesse essere Peter Pellegrini a prevalere, la svolta autoritaria della Slovacchia cominciata lo scorso 30 settembre con l’affermazione del partito Smer-Sd (tutt’altro che un plebiscito: elezioni vinte con appena il 22,9% dei voti, in un panorama politico e partitico assai frammentato), non avrebbe più ostacoli. E non si tratta di un timore ipotetico, ma di reali azioni che il nuovo governo ha già cominciato a mettere in atto. Come la recente proposta di legge sui media pubblici, presentata all’inizio di marzo dal ministro della Cultura, Martina Šimkovičová, che si propone di cambiare nome all’emittente pubblica RTVS (si chiamerebbe STaR – “Televisione e Radio Slovacca”), e di licenziare in tronco tutti i componenti del “vecchio” consiglio d’amministrazione (il mandato parlamentare scadrebbe nel 2027) e di nominarne uno nuovo di zecca, su indicazione dello stesso Ministero della Cultura. L’obiettivo è chiaro: silenziare qualsiasi forma di dissenso, di libero pensiero. Uniformare l’informazione della radio e della televisione pubblica ai desideri, e alle convenienze, della propaganda governativa. La stessa presidente uscente Zuzana Čaputová  ha commentato: «Non c’è una vera ragione per cancellare RTVS, tranne una: ed è il tentativo di prenderne il controllo politicamente». Dopo la protesta dei giornalisti e delle organizzazioni internazionali a tutela dell’indipendenza e della libertà dei media, decine di migliaia di persone sono scese in piazza, nella capitale Bratislava, ma anche a Košice e in altre città, per chiedere il ritiro immediato della legge. Anche la presidente Čaputová si è unita ai manifestanti che erano confluiti in piazza della Libertà, a Bratislava (e questo gesto la dice lunga sulla percezione del “rischio democratico” e sulla polarizzazione dello scontro politico in atto). Zora Jaurova, deputata del principale partito di opposizione, Slovacchia Progressista, che ha organizzato la manifestazione, si è rivolta ai presenti sostenendo che «…i cambiamenti proposti dal governo trasformeranno l’emittente pubblica in una tromba per la propaganda del governo: non dobbiamo permettere che ciò accada». Secondo Radoslav Stefancik, analista politico presso l’Università di Economia di Bratislava, «…le elezioni presidenziali mostreranno se le proteste di massa che hanno avuto luogo a Bratislava e in altre grandi città nelle ultime settimane sono sostenute anche da persone che di solito esprimono la loro disapprovazione ai seggi elettorali». Come dire: se sono “di partito” non avranno alcun effetto concreto: se invece le proteste attraversano trasversalmente la società civile, alle urne qualche sorpresa potrebbe uscire.

Chiuso l’ufficio anti-corruzione

È però del tutto evidente che un Presidente “amico” agevolerebbe, e di molto, la realizzazione dei propositi dei populisti al potere. Perché c’è anche un altro fronte di preoccupazione: nei giorni scorsi il governo slovacco ha presentato un disegno di legge che di fatto interrompe l’attività dell’ufficio del Procuratore Speciale, un’istituzione che dal 2004 si occupa di casi legati alla corruzione e a reati gravi, compresi quelli relativi all’uso improprio dei fondi dell’Unione Europea. La “motivazione” esposta dal primo ministro Robert Fico è la seguente: «Quell’ufficio ha contribuito in modo significativo alla violazione dei diritti umani, e i funzionari che vi lavorano hanno abusato della loro autorità. Sono stato anch’io vittima di “bullismo”. Chiuderlo è un importante obiettivo politico che abbiamo raggiunto». È bene ricordare che Fico ha già guidato il governo della Slovacchia per due mandati: dal 2006 al 2010, e dal 2012 al marzo 2018. E che l’ufficio del Procuratore Speciale si è più volte occupato proprio della condotta di elementi del partito Smer-Sd, soprattutto in occasione del secondo mandato governativo. E quel governo cadde sulla scia delle proteste e delle accuse sollevate dopo l’omicidio di un giovane cronista, Ján Kuciak, che proprio nel 2018 aveva rivelato che uno dei più stretti collaboratori di Robert Fico era stato socio in affari di un membro del clan calabrese della ‘ndrangheta. Uno scoop che Kuciak e la sua fidanzata Martina Kušnírová, pochi giorni dopo, hanno pagato con la vita.

L’iniziativa del governo slovacco non è piaciuta affatto a Bruxelles, che teme una progressiva contrazione dello stato di diritto e l’apertura di un nuovo fronte di scontro. «La Commissione è incline a non ripetere gli errori commessi con l’Ungheria sulla materia», ha commentato Martin Hojsík, vicepresidente slovacco, liberale, del Parlamento europeo. «La situazione creata da Viktor Orbàn è stata tollerata per troppo tempo e perciò si è aggravata: non ripeteremo lo stesso errore». Hojsík ha inoltre avvisato che se il governo di Fico dovesse continuare su un percorso illiberale, la Slovacchia potrebbe rischiare di perdere l’accesso ai fondi dell’UE, proprio com’è avvenuto all’Ungheria. Peraltro, la Corte Costituzionale slovacca ha già sospeso, il mese scorso, alcune parti della riforma del codice penale proposta dal governo che puntava a ridurre le condanne proprio per i reati di corruzione, oltre a dimezzare i termini di prescrizione (da 20 anni a 10) per reati gravi come lo stupro e l’abuso sessuale su minori.

Contrazione dei diritti e controllo politico su stampa e magistratura: lo schema è noto, e ne vediamo l’applicazione (con gradazioni differenti) in ogni angolo d’Europa, e del mondo, dove le forze “antisistema”, prevalentemente di destra, stanno prendendo il sopravvento. Quel che sta accadendo in Slovacchia ricalca al millimetro l’azione politica incoraggiata dalla moderna concezione dell’autoritarismo. Come scriveva Freedom House, importante ong con sede a Washington (che si occupa di democrazia, libertà politiche e diritti umani) in un’analisi pubblicata alcuni anni fa ma ancora attualissima: «L’autoritarismo moderno ha avuto successo, dove i precedenti sistemi totalitari hanno fallito, a causa di strategie raffinate e sfumate di repressione, sfruttamento delle società aperte e diffusione di politiche illiberali negli stessi paesi democratici. I leader dei sistemi autoritari di oggi dedicano un’attenzione a tempo pieno alla sfida di paralizzare l’opposizione senza annientarla e di farsi beffe dello stato di diritto, mantenendo una plausibile patina di ordine, legittimità e prosperità. Al centro della moderna strategia autoritaria c’è la conquista delle istituzioni che sono alla base del pluralismo politico. L’obiettivo è quello di dominare non soltanto i rami esecutivo e legislativo, ma anche i media, la magistratura, la società civile, i vertici dell’economia e le forze di sicurezza. Con queste istituzioni sotto il controllo effettivo, se non assoluto, di un leader in carica, i cambiamenti di governo attraverso elezioni eque e oneste diventano quasi impossibili». Come leggere un “libretto d’istruzioni”, da mandare a memoria, da non dimenticare.

Perciò il ballottaggio del 6 aprile per le elezioni presidenziali rappresenta uno snodo politico fondamentale non soltanto per la Slovacchia, ma per l’intera Unione Europea. Qualora Robert Fico dovesse conquistare il “monopolio” del potere, la deriva autoritaria sarebbe compiuta. E Bratislava si allineerebbe all’istante con Budapest, nel bloccare reciprocamente qualsiasi iniziativa o sanzione nei confronti di uno stato membro in sede di Consiglio europeo. È tutto chiaro, alla luce del sole. Ma, evidentemente (e non soltanto in Slovacchia) l’autoritarismo continua a ottenere consensi. «Fico sta cercando di creare uno stato mafioso, dove l’obiettivo primario è quello di mantenere in funzione la piramide del potere», ha commentato senza troppi giri di parole Michal Vašečka, sociologo, analista politico e Professore Associato presso la Bratislava International School of Liberal Arts. Ora la parola, come sempre, passa agli elettori.

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