SOCIETÀ

150 anni da Porta Pia

Ancora oggi le vie Roma e 20 settembre continuano a punteggiare le città italiane, dove assieme ai vari corsi Garibaldi, piazze Vittorio Emanuele e annesse statue continuano a garantire l’occupazione simbolica dello spazio pubblico da parte dello Stato unitario. Residui risorgimentali di cui non tutti ormai comprendono il significato: così anche questo 150° anniversario della presa di Roma passerà in sordina, senza particolari celebrazioni. Colpa certamente della pandemia, ma anche della trascuratezza che da qualche tempo è calata sulla storia patria.

Eppure ancora oggi quel 20 settembre 1870 continua a pesare nella storia e nella società italiane, contrapponendo anticlericali a credenti, i cattolici progressisti agli intransigenti. Quel giorno, un secolo e mezzo fa, le truppe italiane irruppero all’interno delle mura aureliane attraverso una breccia aperta a cannonate nei pressi di Porta Pia, completando un'operazione militare cominciata alcuni giorni prima. Il papa aveva scritto al comandante pontificio Kanzler di opporre solo una resistenza simbolica, ma ci fu comunque qualche decina di morti da entrambe le parti; in seguito le truppe del papa permisero l’occupazione pacifica della città.

Era dal 1861 che il neoproclamato Regno d’Italia a trazione piemontese aspettava l’occasione per risolvere la questione romana, con le buone o le cattive. Di fronte però si trovava un Pio IX per il quale la rinuncia spontanea al potere temporale equivaleva quasi a un’eresia: lo aveva già proclamato all’indomani delle vicende della Repubblica romana con l’enciclica Nostis et Nobiscum (1849), pubblicata durante l’esilio a Gaeta, e in seguito lo aveva ribadito in diversi documenti, a cominciare dalle preposizioni 75 e 76 del Sillabo.

Anche questa volta, come già per l’annessione del Veneto nel 1866, la finestra di opportunità venne dalla politica espansionista del regno di Prussia, a sua volta impegnato nella costruzione del Reich tedesco: nell’estate 1870 l’improvvisa e rovinosa sconfitta di Napoleone III, fatto addirittura prigioniero a Sedan, privò lo Stato pontificio del suo grande protettore. “Poco dopo il ritiro della guarnigione francese da Roma la diplomazia italiana avviò trattative nel tentativo di ottenere una cessione della città senza ricorso alla forza militare, ma Pio IX oppose una ferma resistenza”, spiega a Il Bo Live Giovanni Vian, storico del cristianesimo e delle chiese presso l’università Ca’ Foscari di Venezia. L'indisponibilità di papa Mastai Ferretti poggiava sulla profonda convinzione che solo il potere temporale potesse garantire l'autonomia della Chiesa: “Senza questo Pio IX era convinto che il papato sarebbe risultato limitato nella sua azione di governo della grande comunità ecclesiale cattolica romana. D'altra parte si sentiva probabilmente legato all'impegno, assunto al momento dell'elezione a pontefice del 1846, di tutelare i domini pontifici nella loro integrità”.

Le conseguenze della presa di Roma furono tante e pesanti, a cominciare dalla sospensione del Concilio Vaticano I, che in seguito venne ufficialmente concluso quasi novant’anni dopo. “Da allora il problema del recupero di un minimo di potere temporale si impose come una delle principali preoccupazioni dei papi – continua Vian –. Nella Chiesa cattolica ci fu inoltre un'ulteriore esasperazione della comprensione negativa di quanto accadeva nella società moderna, mentre per quel che riguarda l'Italia il conflitto aprì un confronto tra i cattolici, a questo spinti dai vertici ecclesiastici, e il Regno d'Italia, che lacerò e comunque rese complicati rapporti all'interno del Paese per svariati decenni”.

Con Porta Pia insomma lo scontro tra Chiesa e liberalismo diventò insomma anche un fatto interno italiano. Con il cosiddetto Non expedit i cattolici non poterono più partecipare alle elezioni politiche, mentre le gerarchie mobilitarono le energie dell'associazionismo per cercare di contrastare l'azione dei governi del Paese, considerati ormai portatori di una visione laicista e antagonista agli interessi della Chiesa Cattolica. “Alcune misure di laicizzazione, sia sul versante formativo che su quello assistenziale, oltre che per quel che riguardava i beni ecclesiastici, resero ancora più complicati i rapporti tra Chiesa Regno d’Italia – prosegue lo studioso –. Così il conflitto si allargò e si allungò nel tempo, pesando su diversi aspetti della vita civile e di quella ecclesiale, nell'area italiana e non soltanto”.

Neppure la prima guerra mondiale riuscì a segnare una tregua duratura tra i due poteri, nonostante il valoroso contributo dei cappellani militari: solo il dilagare del socialismo nelle masse operaie e il pericolo della rivoluzione comunista riuscì alla fine a riavvicinare i due contendenti. A favorire l’accordo, facendone uno dei suoi maggiori successi e il pilastro del suo consenso, fu il regime fascista: “Il vertice della Santa Sede, con Pio XI e il segretario di Stato cardinale Pietro Gasparri, decise a vedere le carte di Benito Mussolini, che si era reso disponibile a trattare con i vertici ecclesiastici sorprendendo lo stesso Partito Popolare italiano di don Sturzo (nato nel 1919 in seguito della revoca del Non expedit, ndr)”.

“Ancora una volta i vertici ecclesiastici decisero di investire molte energie nella ricerca di una soluzione alla questione romana, a scapito di quanto andava accadendo nel Paese – continua Vian –. Va peraltro detto che durante i colloqui di pace a Parigi c’era stato un tentativo di compromesso tra il governo italiano e l’inviato non ufficiale della Santa Sede, ma questo aveva incontrato l’assoluta indisponibilità ad alcuna mediazione da parte di Vittorio Emanuele III, memore della durezza dello scontro che aveva diviso il padre da Pio IX”. Il conflitto tra Chiesa e Stato italiano si concluse dunque ufficialmente l'11 febbraio 1929 con la firma dei Patti lateranensi: “con il primo dei tre documenti, il trattato internazionale, il romano pontefice tornò a essere un sovrano, sia pure di un minuscolo stato di meno di mezzo chilometro quadrato e con pochissimi cittadini ufficiali”. E così è ancora.

Da allora molte cose sono cambiate: un’altra guerra mondiale è stata combattuta e stavolta persa, il fascismo è caduto e l’Italia non è più un regno, ma lo schema dei Patti – pur parzialmente rinnovato nel 1984 con il nuovo concordato – ha retto, dando la possibilità alla Chiesa cattolica di continuare svolgere il suo ruolo nel mondo e in Italia. Intanto nel 2000 Pio IX è stato proclamato beato da papa Wojtyła, suscitando qualche polemica: a un secolo e mezzo di distanza quello scontro frontale tra Chiesa e Stato italiano continua infatti a far riflettere e a volte a discutere. “Nel secondo dopoguerra le relazioni sono state più armoniche – conclude Giovanni Vian –, eppure ancora oggi non è difficile vedere come i fatti risalenti al periodo risorgimentale continuino a pesare nei rapporti tra la presenza della Chiesa cattolica e la società civile italiana”.

Nel 1962 l’allora cardinale Montini, futuro Paolo VI, definì provvidenziale la perdita del potere temporale, eppure ancora oggi con Francesco il pontefice continua a tener stretto quel fazzoletto di terra oltre Tevere. Segno e strumento della sovranità e indipendenza della Chiesa cattolica romana, ma anche simbolo di un rapporto complesso, forse irrisolto con la dimensione mondana del potere.

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