Raffaele Minotto nell’atelier di Tribano. Foto: Massimo Pistore
Le opere di Raffaele Minotto chiedono di essere ammirate con calma, avvicinandosi piano piano, pretendono il giusto tempo della contemplazione: sono interni silenziosi e al tempo stesso vivi, ricchi di dettagli e tracce di passaggi. Per dipingere le sue stanze Minotto esplora antichi palazzi, è sempre alla ricerca di qualcosa che lo colpisca, “ma per trovare quel qualcosa devi essere disposto ad accoglierlo", spiega a Il Bo Live. Accogliere la bellezza, dunque, mettersi a disposizione del proprio intuito, dello sguardo ormai allenato da anni di pratica e dell'obiettivo della macchina fotografica, strumento indispensabile con cui immortalare gli spazi che si trasformeranno in opere d'arte. "Determinati ambienti moderni, razionali, minimalisti, lineari, per quanto mi piacciano, tutto sommato mi creano problemi. Cerco invece i palazzi antichi, perché sono pieni di cose, ambienti che abbiano qualcosa da raccontare anche dei loro proprietari. Mi piace che il luogo sia vissuto. Amo gli interni borghesi e i banchetti: rappresento la tavola nel momento in cui se ne sono andati via tutti, quando è stato lasciato il campo di battaglia, perché per me questo è più interessante rispetto a una tavola apparecchiata perfettamente. Nei miei dipinti non ci sono figure umane ma quello che si vede racconta molto della presenza umana, delle persone che lì sono passate".
Servizio di Francesca Boccaletto e Massimo Pistore
L'ampio e luminoso studio a Tribano, in provincia di Padova, è una matrioska che contiene altri interni, questa volta dipinti: stanze attraversate da tagli di luce, con pareti o soffitti affrescati, colme di oggetti, cornici, soprammobili, libri appoggiati su grandi tavoli, eleganti sofà, piante sistemate negli angoli, tappeti e abat-jour.
L’atelier è invece più sgombro, libero dal superfluo ma con tutto quello che serve. Al centro della grande sala trova posto il cavalletto con l'opera in lavorazione, il tavolo con i colori, i pennelli e, attorno, pareti trasparenti di nylon, "perché amo lanciare il colore per provare a rivelare, attraverso la pittura, i raggi di sole che entrano nelle stanze. Quindi, per ottenere questo effetto, schizzo il colore diluito. Anche per questo ho costruito una nicchia, uno spazio più piccolo dedicato al lavoro". Qua e là, appoggiate a mobili e colonne, troviamo opere finite che si mostrano al visitatore senza troppa vanità.
"Sono metodico, i miei colleghi mi prendono in giro e mi chiamano l'operaio della pittura. Mi manca solo il cartellino da timbrare: arrivo alla mattina, sempre alla stessa ora, e me ne vado sempre alla stessa ora", spiega, divertito. "Lavoro in questo studio di Tribano da circa quattro anni, prima il mio atelier si trovava in via Euganea a Padova, in un palazzo dei Buzzaccarini, dove ho iniziato a lavorare già ai tempi dell'accademia. Anche questa casa di campagna appartiene alla famiglia Buzzaccarini. Mi sono spostato qui perché gli spazi sono molto più ampi", in grado di accogliere anche tele e tavole di grandi dimensioni. "Dal mio vecchio studio, che comunque mantengo attivo, ho portato il più possibile, per trovare qualche sicurezza in più".
"La mia passione per l'arte deriva anche dal fatto che da piccolo, per questioni legate al lavoro dei miei genitori, frequentavo un palazzo del Settecento del centro di Padova. Giravo per i saloni e potevo ammirare sculture, opere di Canaletto e affreschi: potevo osservarli da vicino e scoprire i segreti delle pennellate. Sono figlio unico e da bambino passavo molto tempo da solo a disegnare, era uno dei miei passatempi preferiti. Il disegno era una compagnia e una gratificazione. Ho frequentato il liceo artistico, poi l'Accademia di Belle Arti di Venezia. Prima di diventare un artista, prima di riuscire a vendere i mie quadri, facevo decorazioni nelle sale da ballo, collaborando con uno studio di architetti. Poi ho iniziato a presentare i miei lavori come pittore, entrando piano piano in qualche piccola galleria, e lentamente mi sono fatto notare".
La postazione di Raffaele Minotto fotografata da Massimo Pistore
“ Cerco ambienti che abbiano qualcosa da raccontare anche dei loro proprietari: mi piace che il luogo sia vissuto. Amo gli interni borghesi e i banchetti: rappresento la tavola nel momento in cui se ne sono andati via tutti Raffaele Minotto
"La tecnica con cui creo le mie opere è la più tradizionale possibile": Minotto predilige i colori a olio su tela e, negli ultimi anni, su tavola. Il disegno è fondamentale, “è una fotografia in bianco e nero su cui poi lavoro con i colori della tavolozza. Mi piace però conservare le tracce del percorso, giocando sulle trasparenze: per i primi piani o nei punti più luminosi utilizzo un colore più spesso, per dare maggiore vibrazione luminosa, mentre sugli sfondi lascio un colore più liquido che rivela il disegno che c'è sotto".
La ricerca e il gusto sono cambiati con il tempo: "In passato dipingevo con meno precisione rispetto a oggi: ora nelle mie opere tutto è molto raccontato, analitico, nitido, si distinguono gli oggetti sui mobili. Un tempo ero più interessato alla pennellata energica dell'informale, più vigorosa, usavo molta più materia. Nel corso degli anni il linguaggio e gli interessi cambiano e si trasforma la pittura: gradualmente ho ridotto la materia per far emergere il disegno, ho ripulito la tela. Oggi rappresento con precisione gli oggetti e punto molto sugli effetti di luce".
Atelier d'artista
Una serie ideata e realizzata da Francesca Boccaletto e Massimo Pistore
Interviste di Francesca Boccaletto, riprese e montaggio di Massimo Pistore
Con la consulenza artistica di Giulia Granzotto
Si ringraziano per la collaborazione Enrica Feltracco e Massimiliano Sabbion
Tutti gli episodi della serie Atelier d'artista sono QUI