Il Brasile è il paese più colpito dal contagio del nuovo Coronavirus del Sud America, ha superato la Cina per il numero di vittime, mentre la politica di contrasto al virus appare tutt’altro che ferma. Da una parte il presidente Jair Bolsonaro che prosegue lungo la sua linea negazionista, dall’altra i governatori, perché il Brasile è uno stato federale, e i sindaci che invece raccomandano e difendono il lockdown. Intanto, in questa incertezza, il Covid19 trova terreno fertile per crescere e prosperare.
Nel Brasile delle contraddizioni, delle favelas, della corruzione e della Seleção, ci sono anche le popolazioni indigene della foresta amazzonica che, in questo momento, sono particolarmente preoccupate. E ne hanno ben donde, non solo per la politica anti indigena del premier Bolsonaro: è noto che in un passato remoto sono state decimate dalle malattie portate dai conquistadores, insieme alle armi e alle politiche sociali, ma in un passato piuttosto recente sono state centinaia le morti per malattie infettive portate fino a loro, nel cuore della foresta amazzonica, da persone non indigene. L’ultima occasione fu il 1969 con il contagio da morbillo, una malattia estremamente più contagiosa e problematica del coronavirus attuale. I più anziani tra i Paiter Surui, Waiapi, Uru-Eu-Wau-Wau, Yanomami, Tikuna, Kokama e molte altre popolazioni indigene brasiliane, ne sono sopravvissuti e riconoscono la somiglianza tra ciò che hanno vissuto e quello che sta succedendo nel mondo in questi ultimi mesi.
Il Brasile è il paese che ospita la maggior parte della foresta amazzonica, polmone verde del nostro pianeta. Nel cuore della foresta si stanno rifugiando ora le popolazioni indigene, spaventate dell’epidemia. Ma il Covid19 li ha già raggiunti, infatti sono già stati riportati casi di contagio e anche le prime morti. L’isolamento per queste popolazioni, come in passato, può rivelarsi un’arma a doppio taglio: se il rifugiarsi nelle zone più remote della foresta può diminuire le fonti di contagio, le rende anche più difficilmente monitorabili e aiutabili. L’avvicinamento, invece, alle città e alle zone più accessibili della foresta, li rende molto più vulnerabili e accelera il contagio dove, per esempio la città di Manaus, gli ospedali sono già al collasso.
Intervista a Yurij Castelfranchi sulla situazione attuale degli Indios in Brasile
“In questo momento, in cui non c’è presenza dello stato nella foresta, il coronavirus”, afferma Yurij Castelfranchi, docente di sociologia all’università federale di Minas Gerais con sede a Belo Horizonte in Brasile, “non è che uno dei tantissimi nemici degli indios in Amazzonia. Pistoleri, cercatori d’oro, latifondisti incendiano la foresta, minacciano i leader, torturano i responsabili delle ONG. Non c’è niente di nuovo nel fatto di portare malattie in questa zona, né nel fatto di portare violenza e sterminio”.
La situazione, sempre secondo Castelfranchi, è di altissimo pericolo e angoscia. Gli indios non si aspettano grandi aiuti dallo stato, che già si è mostrato in tutta la sua politica antagonista nei loro confronti, ma hanno più speranza di aiuti e sostegno da parte delle reti di solidarietà che si stanno costruendo attorno alle università. Inoltre sperano che le pressioni internazionali nei confronti del Brasile per la salvaguardia degli indios si facciano consistenti, dato che finora ci sono state solo delle prese di posizione retoriche e nulla più.