SCIENZA E RICERCA

Il cambiamento climatico minaccia il patrimonio culturale e naturale africano

“In primavera, Tipasa è abitata dagli dei e gli dei parlano nel sole e nell'odore degli assenzi, nel mare corazzato d'argento, nel cielo d'un blu crudo, fra le rovine coperte di fiori e nelle grosse bolle di luce, fra i mucchi di pietre. In certe ore la campagna è nera di sole. Gli occhi tentano invano di cogliere qualcosa che non siano le gocce di luce e di colore che tremano sulle ciglia. Il voluminoso odore delle piante aromatiche raschia in gola e soffoca nella calura enorme. All'estremità del paesaggio, posso vedere a stento la massa scura dello Chenoua che ha la base fra le colline intorno al villaggio, e si muove con ritmo deciso e pesante per andare ad accosciarsi nel mare”. (Da “Nozze a Tipasa” di Albert Camus (1938).

Tipasa è un antichissimo scalo commerciale che si affaccia sulla baia di Algeri e che subì, nel corso dei secoli, diverse dominazioni: dapprima quella dei cartaginesi, che intrattenevano con gli indigeni transazioni mercantili e scambi culturali e, successivamente, quella dei romani e poi dei bizantini. In questo luogo sono conservati infatti diversi tesori archeologici e architettonici di inestimabile valore, come edifici, mausolei, necropoli e incredibili mosaici.

Ebbene, secondo gli autori di un recente studio pubblicato su Nature Climate Change, le rovine di Tipasa sono uno dei 56 siti del patrimonio naturale e culturale africano a rischio di subire un evento costiero estremo causato dagli effetti del cambiamento climatico antropogenico.

Gli autori dello studio, coordinati dal ricercatore Nicholas J. Simpson dell’African Climate and Development Initiative dell’università di Cape Town, hanno costruito un database dei siti costieri africani di immenso valore storico, culturale, architettonico e naturalistico con l'obiettivo di valutare quali di essi si trovino attualmente esposti al rischio di essere danneggiati o distrutti a causa di un evento meteorologico estremo determinato dal cambiamento climatico.

Questo database contiene 284 siti costieri africani (71 dei quali sono aree archeologiche o luoghi di interesse storico e culturale, mentre gli altri 213 sono riserve naturali, foreste, deserti e parchi nazionali) già riconosciuti o attualmente in fase di riconoscimento da parte dell’UNESCO come patrimonio universale dell’umanità. Lo scopo degli autori era anche quello di valutare l'esposizione futura di ognuno di questi siti a un evento meteorologico estremo, di quelli che accadono una volta ogni cento anni: catastrofi naturali come inondazioni e frane causate dell'innalzamento del livello del mare e dell'erosione delle coste che rischiano di danneggiare le zone costiere africane, le quali ospitano alla maggior parte dei siti naturali e archeologici del continente.

I risultati di Simpson e colleghi dimostrano che, attualmente, un sito costiero su 5 (ovvero il 20% del patrimonio archeologico e naturalistico considerato) è già esposto al rischio di subire un evento estremo e che questo numero potrebbe triplicare entro il 2050. In particolare, il 16% del patrimonio naturalistico e il 30% del patrimonio culturale sono in pericolo.

Gli autori hanno considerato due possibili scenari: uno in cui le emissioni di gas serra subiranno un aumento moderato (scenario RCP 4.5) e uno in cui tale aumento sarà elevato (scenario RCP 8.5). I loro risultati suggeriscono che, nello scenario RCP 4.5, entro il 2050 il numero dei siti minacciati dal rischio di un evento meteorologico estremo triplicherà, raggiungendo un numero compreso tra 191 e 196. Se invece si realizzasse lo scenario RCP 8.5, che prevede un aumento elevato di emissioni, questo numero potrebbe salire a 198 o addirittura a 210.

Secondo le stime dei ricercatori, nel caso in cui si avverasse lo scenario RCP 4.5, alcuni paesi vedranno tutti i siti del patrimonio naturalistico e culturale presenti sul loro territorio esposti a questo rischio entro il 2100: Camerun, Repubblica del Congo, Gibuti, Sahara occidentale, Libia, Mozambico, Mauritania e Namibia. Se invece si verificasse lo scenario peggiore, l’RCP 8.5, alla lista si potrebbero aggiungere anche Costa d’Avorio, Capo Verde, Sudan e Tanzania.

I ricercatori hanno inoltre misurato l’area totale di ciascun sito e hanno stimato per ognuno di essi la percentuale della superficie esposta al rischio a partire dall'anno 2010 e poi per il resto del ventunesimo secolo.

Siccome il progressivo innalzamento del livello del mare aumenta la percentuale dell'area del patrimonio esposta al rischio di inondazione, gli autori hanno registrato che, nello scenario RCP 4.5, entro il 2100 il numero dei siti molto in pericolo, ovvero di quelli che hanno il 75% della loro area esposta al rischio di un evento meteorologico estremo, aumenterà di 5 volte. Nello scenario RCP 8.5 questo numero potrebbe crescere di ben 6 volte.

Al contrario, una progressiva riduzione delle emissioni di gas serra nel corso dei prossimi decenni comporterebbe una diminuzione del 21% dell'area in pericolo e farebbe calare del 25% il numero dei siti molto in pericolo entro la fine del secolo.

Riserve naturali, foreste, antichissime rovine e pitture rupestri. Un patrimonio inestimabile che rischia di essere distrutto per sempre dagli effetti del cambiamento climatico antropogenico. Per questo motivo, Simpson e coautori sperano che il loro studio possa essere utile alle autorità locali, perché possano individuare i siti maggiormente a rischio e introdurre le migliori strategie protettive. Ma non solo. La loro speranza è che studi come questi diventino la base sulla quale definire delle policy nazionali e internazionali che possano portare, finalmente, a un cambiamento reale e a una diminuzione sostanziale delle emissioni di gas serra a livello globale.

Questi siti rappresentano un patrimonio “vivente” che è intrecciato con l'identità e la tradizione delle persone, è essenziale per il benessere sociale, salvaguarda le conoscenze e i mezzi di sussistenza ed è un requisito per lo sviluppo sostenibile M. I. Vousdoukas et al., “African heritage sites threatened as sea-level rise accelerates”, Nature climate change (2022)

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