SOCIETÀ

Commercio e sviluppo tecnologico: gli interessi cinesi nel porto di Genova

Il porto di Genova è il più grande d’Italia, primo per linee di navigazione. Gestisce il transito di 2,5 milioni di container all’anno e dà lavoro a 50.000 persone.

La settimana scorsa l’ambasciatore statunitense in Italia, Lewis M. Eisenberg, al Consiglio per le relazioni Italia-Stati Uniti tenutosi a Washington, ha esortato il nostro Paese a non sottovalutare i pericoli che mettono a repentaglio la sicurezza nazionale. Il riferimento neanche troppo velato è all’approdo cinese a Genova, snodo strategico non solo tra Italia, Europa e Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ma anche meta designata per le grandi traiettorie commerciali della Nuova Via della Seta.

A marzo di quest’anno il governo italiano aveva firmato un memorandum d’intesa con il primo ministro cinese Xi Jinping durante la sua visita in Italia. L’accordo era stato subito accolto con ostilità dagli Stati Uniti, preoccupati che l’Italia, in autonomia dalle posizioni dell’Unione, fungesse da testa di ponte per uno sbarco cinese in Europa.

Il 12 dicembre prossimo è previsto l’avvio dello scalo portuale di Vado Ligure, in provincia di Savona, già sotto il controllo della Cina, che ne detiene il 49% del capitale (il resto della società è in mano al gruppo armatoriale danese della Maersk).

Si tratta di un polo portuale fortemente hi-tech, con caratteristiche uniche in Italia. I 16 metri di profondità consentiranno l’approdo delle navi porta-container di ultima generazione, mentre il piazzale sarà dotato di gru autonome che non necessitano di operatore (attivo da remoto). L’automazione gestirà anche l’accesso delle navi alle corsie del porto. L’innovazione tecnologica però non è al centro solo degli interessi commerciali cinesi.

Proprio sul porto di Genova si affaccia infatti una delle sedi dell’Istituto italiano di tecnologia (IIT), nel Centro per le tecnologie umane degli Erzelli, circondata da aziende di robotica, informatica, telecomunicazioni (Siemens, Ericsson, Nikon) e di scienze biomediche.

L’IIT è un centro di ricerca che conta 1700 ricercatori provenienti da 60 Paesi, tiene insieme ricerca pura ed applicata negli ambiti delle scienze della vita e delle nuove tecnologie ed è riconosciuto come eccellenza a livello mondiale. Nel 2016 si è trovato al centro di accese polemiche per i finanziamenti annunciati dal governo in vista della creazione dello Human Technopole, che sorgerà sulle ceneri di Palazzo Italia di Expo 2015 e la cui gestione proprio l’IIT inizialmente avrebbe dovuto coordinare.

Tra le aziende del polo tecnologico genovese ce n’è una, che produce macchinari per risonanze magnetiche, la Esaote, che è stata da poco acquisita da proprietà cinese. Tencent, una delle più importanti compagnie della tecnologia dell’informazione cinese insieme a Baidu e Alibaba, rispettivamente la Google e la Amazon cinesi che a queste ultime fanno concorrenza, ha pure iniziato a interessarsi all’area tecno-scientifica dell’IIT. Inoltre, è prevista a Genova l’apertura di una nuova filiale di Huawei, il colosso delle telecomunicazioni che sta battendo sul tempo le aziende americane nella corsa alla nuova infrastruttura del 5G.

L’espansione tecnologica e commerciale cinese è stata sostenuta in patria da una politica di ricerca altrettanto aggressiva (non senza conseguenze a dir poco controverse). Negli ultimi anni la Cina è cresciuta in modo impressionante in tutti gli indici bibliometrici delle pubblicazioni scientifiche e negli investimenti in ricerca, tanto da arrivare a minacciare il primato statunitense, che nei prossimi anni sarà molto probabilmente destinato a cadere.

L’IIT è un centro di ricerca pubblico, governato però dalle regole del diritto privato. È infatti controllato da una Fondazione che risponde direttamente al Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef). Ciò comporta procedure decisionali molto più snelle di quelle con cui devono misurarsi le pubbliche amministrazioni come l’università e il Cnr. La Cina da anni si è ormai candidata a leader mondiale nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale e di altri nuovi sviluppi tecnologici che fanno gola all’IIT, il quale ha già iniziato diverse collaborazioni con i ricercatori e le industrie cinesi. “Ma meno lo diciamo agli americani meglio è, con l’aria che tira” riportano i vertici dell’IIT in un articolo di Federico Rampini. Proprio per il fatto che la maggior parte dei finanziamenti all’IIT proviene dal Mef (al secondo posto quelli Ue), ogni mossa dell’istituto di ricerca genovese può venire interpretata come una “scelta di campo dell’Italia, nel confronto bipolare Usa-Cina” riporta Rampini.

Il clima che si respira assomiglia sempre di più a quello dei due blocchi continentali contrapposti. La guerra dei dazi messa in piedi da Trump mira a frenare la politica commerciale espansionista del Dragone, che nonostante ciò non accenna a rallentare la sua avanzata.

Oltre a Genova, l’altro polo portuale di riferimento della Belt and Road Initiative sarà Trieste, ma anche la gestione del terminal container del porto di Taranto sarà affidato per metà a un gruppo cinese, il China Cosco Shipping, lo stesso che controlla il porto di Vado Ligure (l’altra metà, a Taranto, andrà invece alla multinazionale turca Yilport).

Ma non è solo la Cina ha interessarsi del commercio marittimo italiano. Il porto di Prà è il più grande terminal container di Genova: gestisce il transito di 1,7 milioni di container l’anno. Singapore detiene il controllo di questo e dell’altro terminal container genovese, il Sech. La città-stato tra Oceano Indiano e Pacifico non solo è una superpotenza marittima, sta anche investendo come nessuno in quell’area sullo sviluppo tecnologico e, abilmente, pare tenersi equidistante da Cina e Usa.

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