La Cina continua a incrementare i suoi investimenti in ricerca scientifica e sviluppo tecnologico (R&S) al ritmo del 7% annuo. Gli Stati Uniti hanno un ritmo di crescita del 3% annuo. Cosicché nel 2024, fra appena cinque anni, il grande paese asiatico supererà il grande paese americano e diventerà leader assoluto al mondo per la spesa in R&S (a parità di potere d’acquisto della moneta): è questa la previsione proposta dalla rivista R&D Magazine nel suo recente rapporto 2019 Global R&D Funding Forecast. D’altra parte già oggi la Cina vanta il maggior numero di persone dedite alla ricerca. La qualità della ricerca resta ancora superiore in Nord America (e in Europa), ma anche per questo aspetto la Cina sta facendo passi da gigante.
E tuttavia non c’è solo la Cina a dimostrare il riposizionamento dell’asse scientifico e tecnologico del mondo. È l’intera Asia che si propone ormai come il continente che investe di più nella scienza e nell’innovazione. Nel 2018 la spesa in R&S di quel grande continente (Medio Oriente escluso, ma Australia inclusa) è salita a qualcosa come 977,8 miliardi di dollari, ben superiore a quella delle Americhe (680,6 miliardi di dollari) e più del doppio rispetto alla spesa dell’intera Europa, Russia esclusa, che ammonta a non più di 463,6 miliardi di dollari.
La supremazia asiatica è testimoniata dal fatto che tra i primi sei paesi per investimento in R&S, ben quattro appartengono a quel continente: la Cina, appunto, che è seconda assoluta, con una spesa equivalente a 485,5 miliardi di dollari; il Giappone, terzo (con 191,5 miliardi di dollari); la Corea del Sud quinta, con 90,2 miliardi di dollari e l'India sesta, con una spesa equivalente a 86,2 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti, come abbiamo detto, restano primi (anche se a quanto pare ancora per poco), con 565,8 miliardi di dollari investiti in R&S nel 2018 mentre la Germania è quarta con una spesa di 120,8 miliardi di dollari.
L’elenco completo dei paesi inseriti nell’area asiatica è contenuto in Tabella 2 e dimostra come anche in Asia la scommessa sulla – o meglio, la fiducia nella – scienza e nell’innovazione sia piuttosto variegata. Sia in termini di spesa sia in termini di qualificazione della spesa.
La Cina, per esempio, sta incrementando molto gli investimenti in ricerca di base o curiosity-driven, come si dice adesso. Perché convinta – come sosteneva Vannevar Bush nel suo famoso rapporto, Science: the Endless Frontier del 1945 –, che è proprio questo tipo di ricerca che non ha altri obiettivi immediati se non soddisfare la curiosità dei ricercatori il motore dell’intera catena dell’innovazione. Così, per esempio, la Cina vuole diventare leader nel campo della Fisica delle Alte Energie costruendo un acceleratore, il China Electron Prositron Collider (CEPC) destinato a superare l’europeo LHC come macchina più grande del mondo. La sua inaugurazione è prevista per il 2030. Non è solo una gara di tipo quantitativo. La Cina intende, anche con progetti come questo, aumentare il tasso di internazionalizzazione della sua ricerca, premessa per una crescita di tipo qualitativo. I passi da fare sono molti, ma non moltissimi ormai. Ne sia prova il fatto che nella classifica delle migliori università al mondo nel settore della matematica e della computing research l’università di Tsinghua ha superato le americane MIT e Stanford University ed è ora considerata prima al mondo.
Gli investimenti crescono di meno in Giappone (a un ritmo di appena l’1% annuo). Ma di recente il ministro dell’Educazione (MEXT), ha annunciato la volontà del governo nipponico di aumentare del 10% gli investimenti pubblici con un obiettivo che è più applicativo che fondamentale: competere con USA e Cina nella realizzazione del computer più veloce e potente del mondo.
Quanto alla Corea del Sud, che è un paese di medie dimensioni, mette in campo la più alta intensità di ricerca al mondo (intesa come spesa in R&S rispetto al Prodotto interno lordo, il PIL). La Corea del Sud investe infatti il 4,35% della ricchezza che produce in R&S, superando Israele (4,04% del PIL) e il Giappone (3,5% del PIL).
Ma, forse, la vera novità – quella destinata a breve a rivoluzionare la geografia della ricerca alle spalle di USA e Cina – è l’India. Per ora investe molto meno di quei due giganti, appena 86,2 miliardi di dollari, il che la pone, come abbiamo detto, al sesto posto assoluto nel mondo. Ma il ritmo con cui questi investimenti crescono è piuttosto sostenuto. Tanto che, prevede il R&D Magazine, quest’anno l’India è destinata a superare la Corea del Sud e a collocarsi al quinto post assoluto. È probabile che, nel giro di un decennio, l’India supererà anche Germania e Giappone, raggiungendo il terzo posto assoluto.
In definitiva, l’Asia è non solo il contenente che investe di più al mondo in R&S. È anche quello in cui c’è maggiore crescita. La forbice con USA ed Europa è destinata a crescere nei prossimi anni.
L’asse scientifico del mondo è, dunque, di nuovo cambiato. Se solo cento anni fa era saldamente collocato in Europa e se a cavallo della Seconda guerra mondiale si era spostato negli Stati Uniti d’America, ora è centrato nell’Asia centro-orientale.