SOCIETÀ

La Conferenza sul futuro dell’Europa: verso una “Unione di cittadini”

Il nuovo anno inizia per l’Unione Europea all’insegna di una doppia sfida.

Da un lato, la Brexit, con le sue questioni ancora pendenti e l’incertezza dei suoi effetti di medio-lungo termine che potranno influenzare gli sviluppi del processo di integrazione. Dall’altro, l’annuncio di una “Conferenza sul futuro dell’Europa” aperta alla partecipazione di “gruppi di cittadini” ed esponenti della società civile, secondo l’idea lanciata inizialmente dal presidente Macron con una lettera del marzo 2019 indirizzata ai Cittadini d’Europa: “Al fine di proporre tutti i cambiamenti necessari […] senza tabù, neanche quello della revisione dei trattati”.

L’idea è stata poi fatta propria dalla neo-presidente della Commissione Ursula von der Leyen che nel suo programma (Un’unione più ambiziosa. Il mio programma per l’Europa) ne ha previsto l’avvio a partire dal 2020 e la conclusione nel 2022:  “Voglio che i cittadini possano dire la loro nell’ambito di una conferenza sul futuro dell’Eu­ropa da avviare nel 2020 per una durata di due anni. La conferenza dovrebbe riunire i cittadini (compresi i giovani, cui andrebbe attribuito un ruolo importante), la società civile e le istituzioni europee in qualità di partner paritari” (come si legge nella parte finale del programma intitolata “Un nuovo slancio per la democrazia europea”). 

Potrebbe essere questa l’occasione di un salto di qualità capace di “generare nuovi concetti per guidare il futuro del­l’Europa”: come afferma un documento di proposta franco-tedesco su quelle che dovrebbero essere le principali questioni e linee guida della Conferenza (Conference on the Future of Europe: Franco-German non-paper on key questions and guidelines).

Allo stato è forse lecito dubitarne, tenuto conto che di proposte di riforma dell’Unione ne sono state avanzate molte in questi anni; ma in un contesto di leadership europea ancora piuttosto debole e incerta, carente di volontà d’azione da parte delle istituzioni dell’Unione, Parlamento e Commissione, nei confronti degli stati membri. Per cui le evidenti difficoltà di gestione di una tale iniziativa lasciano trasparire il dubbio che si tratti di una ‘invenzione’, sia pure creativa, di limitata quanto improbabile portata applicativa (sul modello sostanzialmente delle numerose iniziative di consultazione e dialogo con i cittadini già sperimentate in passato dalla Commissione), piuttosto che di una coraggiosa ‘innovazione’ idonea a influire sulla definizione delle politiche e sui relativi meccanismi decisionali dell’Unione.

Peraltro, proprio per questo, è certo che sempre maggiori e più diffuse sono le aspettative di qualcosa di nuovo nel panorama istituzionale e delle politiche dell’Unione

C’è dunque motivo per sperare che questa Conferenza – come si legge nel documento franco-tedesco – possa affrontare tutte le questioni in gioco per rendere l’Ue “più unita e sovrana”: mettendo a fuoco sia il tema delle “priorità politiche” (inclusa la possibilità di modifiche ai trattati), sia il tema delle riforme istituzionali, in quanto “questione trasversale”, con l’intento di “promuovere la democrazia e i valori europei e garantire un funzionamento più efficiente dell’Unione e delle sue istituzioni”.  E ciò, con un “forte coinvolgimento” dei cittadini europei, allo scopo di dare vita a un processo di riforma “dal basso” (bottom-up process) che dovrebbe concludersi con la formulazione di “raccomandazioni” da presentare al Consiglio europeo “per il dibattitto e l’attuazione” (for debate and implementation). 

Il Consiglio europeo (EUCO), nella riunione del 12-13 dicembre 2019, pur prendendo in considerazione “l’idea di una Conferenza sul futuro dell'Europa da avviare nel 2020 e portare a compimento nel 2022 […] che dovrebbe contribuire allo sviluppo delle politiche dell’Unione nel medio e lungo periodo [e] fare tesoro della positiva esperienza acquisita con i dialoghi con i cittadini tenutisi negli ultimi due anni e prevedere un'ampia consultazione dei cittadini”, ha rinviato ogni decisione in proposito, dando mandato alla  “presidenza croata del Consiglio di adoperarsi per definire una posizione del Consiglio sui contenuti, la portata, la composizione e il funzionamento di tale conferenza e di avviare il dialogo con il Parlamento europeo e la Commissione su tale base” (come si legge nelle Conclusioni). 

Dal canto suo, il Parlamento europeo ha istituito un gruppo di lavoro che ha elaborato un documento (Main outcome of the Working Group), dove sono riassunti i principali punti d’accordo raggiunti da una maggioranza dei gruppi politici, circa modalità organizzative, ambito e obiettivi della Conferenza: il cui avvio dovrebbe essere preceduto da una “fase di ascolto” per “consentire ai cittadini di tutta l’Unione di esprimere idee, proporre suggerimenti e la propria visione di ciò che l’Europa significa per loro”; prevedendo inoltre un meccanismo di democrazia partecipativa in forma di  “assemblee tematiche” (Thematic Citizens’ agoras) composte da gruppi selezionati di cittadini, alle quali dovrebbero affiancarsi due assemblee di rappresentanti del mondo dei giovani (Youth agoras), di età compresa tra i 16 e i 25 anni.

A giudicare dai documenti citati, tutti (eccetto forse quello più circospetto dell’EUCO) convergenti nel mettere in risalto l’esigenza di ascoltare la voce dei cittadini europei, due ambiti spiccano in particolare: quello della democrazia partecipativa e quello delle politiche comuni al livello dell’Unione. In entrambi assume rilievo il tema della cittadinanza,  come punto di partenza da cui muovere verso il traguardo di una unità politica europea. 

Invero, la crisi che oggi più sembra minare alle fondamenta il processo di integrazione è sostanzialmente una crisi di credibilità dell’Ue agli occhi dei suoi cittadini, imputabile a una situazione in cui stati e governi nazionali formalmente uniti dai trattati continuano di fatto a essere disuniti per via di interessi diversi e confliggenti, resistenze e diffidenze reciproche.        

Di qui il paradosso di un’Europa unita sulla carta, ma di fatto divisa e comunque mediata dalla ragion di stato: una sorta di “stati uniti d’Europa senza Europa”, cioè senza il comune denominatore di una “cittadinanza” quale vero fondamento di legittimazione di un’Unione provvida di misure per tutti quei problemi, economico-sociali, ambientali e di sicurezza, che al livello europeo possono (devono) trovare soluzioni condivise all’interno di un circuito istituzionale e decisionale trasparente e democratico, nel rispetto di valori e principi comuni che diano forma, peso e significato a una ‘sovranità’ dell’Unione che abbia, appunto, a base e ‘a cuore’ l’interesse generale dei ‘suoi’ cittadini.

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