SOCIETÀ

Il conflitto intergenerazionale nell’Antropocene: una questione di politica climatica

Pur rimanendo cauti e mantenendo la massima obiettività, negli ultimi rapporti gli scienziati dell’IPCC non lasciano dubbi sulla gravità della crisi climatica, i cui effetti avranno notevoli conseguenze sia nel breve sia nel lungo periodo.

Traducendo in numeri i giudizi qualitativi (livello di rischio “basso”, “moderato”, “probabile” e “molto probabile”) rilasciati dall’IPCC sulle condizioni di rischio dei diversi scenari possibili, un gruppo internazionale e interdisciplinare di ricercatori ha reso ancor più evidente la precarietà della situazione attuale. Dal loro studio – pubblicato su Nature – emerge, infatti, come i rischi dovuti alla crisi climatica continueranno a crescere, nei prossimi decenni, nonostante tutti gli interventi di mitigazione che verranno (sperabilmente) messi in atto.

Infatti, nemmeno se si attuassero i più ambiziosi sforzi di adattamento e di mitigazione si riuscirebbe a eliminare del tutto quella tendenza all’innalzamento dei livelli di rischio il cui aumento è stimato, per i decenni che vanno dal 2020 al 2100, del 30% per ogni 0,5°C di incremento della temperatura globale. Di certo, serie politiche di adattamento ridurrebbero l’incidenza dei rischi causati dal cambiamento antropogenico, ma tale diminuzione non supererebbe, secondo i calcoli dei ricercatori, il -40% a livello globale. Per di più, i modelli tratteggiano un quadro globale di forte diseguaglianza: a dover affrontare le condizioni di vita più difficili saranno infatti i paesi a basso reddito, e non gli stati industrializzati.

Diseguaglianza è una parola chiave: a meno che non si cambi rapidamente direzione – e per questo guardiamo con trepidazione agli esiti dell’ormai vicina COP26 – i costi sociali, ambientali ed economici della crisi climatica non saranno equamente suddivisi. L’ingiustizia climatica attraversa lo spazio e il tempo: a pagare il prezzo più alto saranno sia i poveri del mondo, sia le future generazioni.

La quotidianità dei più giovani? Sarà segnata dagli eventi estremi

Come sottolineano alcuni studi comparsi su Nature e Science, due fra le più importanti riviste scientifiche internazionali, le generazioni più giovani (e, ancor di più, quelle che verranno) riceveranno in eredità dai loro predecessori un pianeta dal clima profondamente alterato: la loro esposizione a eventi climatici estremi – come le ondate di calore, le alluvioni, gli uragani, ma anche i grandi incendi e le carestie – sarà esponenzialmente più alta, e questo avrà un grave impatto sulla salute e sulla qualità di vita degli individui.

Secondo i firmatari della ricerca pubblicata da Science, i nati nel 2020 incorreranno, nel corso della propria vita, in una probabilità da 2 a 7 volte più alta di affrontare eventi climatici estremi rispetto ai nati nel 1960. Ciò significa che un bambino di oggi potrebbe trovarsi ad affrontare 30 ondate di calore, mentre i suoi genitori o nonni, nati nel 1960, ne affrontano circa 4 lungo tutta la vita. Ovviamente, questa tendenza si accentua man mano che le temperature medie globali salgono: ad esempio, nello scenario che prevede un aumento di 3°C rispetto all’epoca preindustriale si prevedono rischi ben più alti rispetto a quelli che si verificherebbero con un aumento di “soli” 1,5°C.

Diseguaglianze nel tempo e nello spazio

Per di più, anche questo studio conferma che la crisi climatica porta con sé diseguaglianze anche sul piano geografico: infatti, pur non discostandosi dai risultati delle proiezioni globali, i modelli suggeriscono una forte variazione nell’esposizione al rischio tra le diverse regioni del pianeta. Gli abitanti di aree quali il Medio Oriente, l’Africa settentrionale e l’Africa sub-sahariana sperimenteranno, con ogni probabilità, i rischi climatici più estremi. In generale, i bambini che verranno al mondo in Paesi a basso reddito saranno più esposti alle conseguenze negative della crisi climatica, che saranno mitigate invece nei paesi più ricchi. Inoltre, sono proprio i paesi in via di sviluppo a presentare ancora una forte crescita demografica, a differenza delle ricche ma sempre più anziane nazioni industrializzate. Dunque, se questa tendenza non dovesse invertirsi (e non sembra che ciò accadrà), nei prossimi decenni la maggior parte dei bambini del mondo dovrà fare i conti con un clima instabile e con eventi estremi sempre più frequenti.

Questo fosco quadro sarebbe già sufficiente per giustificare la rabbia e la delusione dei milioni di ragazzi che, ormai da anni, chiedono a gran voce ai governi un cambiamento di rotta. Eppure, il conflitto intergenerazionale non è limitato a questo aspetto: gli interventi che i più giovani chiedono affinché sia tutelato il loro futuro mettono in crisi le generazioni più anziane non tanto (o non solo) per pigrizia o per attaccamento allo status quo, ma perché – come dimostra un altro articolo di Nature – queste ultime non ne trarrebbero alcun beneficio.

Conflitto intergenerazionale: una questione economica

Lo studio quantifica, in termini strettamente economici, i guadagni e le perdite che gli individui di età diverse trarrebbero da più o meno stringenti politiche di mitigazione e adattamento. Dai risultati emerge che i nati fino al 1960 subirebbero una netta riduzione del PIL pro capite quasi in tutti paesi del mondo, e in particolar modo nei paesi a basso reddito. Al contrario, ancora nei paesi a reddito basso o medio-basso i nati dopo il 1990 (e ancor più marcatamente i nati dal 2020 in poi) trarrebbero un netto vantaggio da politiche di mitigazione coerenti con gli Accordi di Parigi.

È interessante notare come costi e benefici della lotta al cambiamento climatico varino sensibilmente a seconda che si consideri una prospettiva di breve o di lungo periodo. A breve termine, anche i cittadini più giovani subirebbero, nei paesi più benestanti, una riduzione del PIL pro capite; invece, nel lungo periodo si nota un netto beneficio a favore delle nuove generazioni.

Un altro dato interessante consiste nella data di nascita della cosiddetta “generazione di pareggio”, cioè la generazione che non trarrà né costi né benefici dalle azioni di mitigazione. In molti paesi a basso reddito, questa generazione è già adulta, essendo nata nella maggior parte dei casi prima del 1990: e poiché in questi stati l’età media è generalmente bassa, ciò significa che più della metà della popolazione trarrebbe più vantaggi che svantaggi da politiche incentrate sulla riduzione degli effetti della crisi climatica, ed è quindi più probabile che sia favorevole ad esse.

Più passano gli anni – e più la crisi climatica avanza –, più aumenta la disparità intergenerazionale: le generazioni più vecchie subiscono costi economici sempre più alti e una riduzione della qualità della vita, mentre le generazioni più giovani ricevono, sul lungo periodo, un vantaggio economico che consiste nella mancata perdita di risorse che si verificherebbe invece in assenza di interventi di mitigazione. Si tratta, dunque, di un vero e proprio wicked problem, un dilemma pressoché insolubile, dal punto di vista politico: si fronteggiano interessi contrapposti, e appianare il conflitto intergenerazionale sarà in futuro sempre più difficile.

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