SOCIETÀ

Criticamente gnorri. Come sfuggire alle trappole della disinformazione

Gran parte di ciò che sappiamo del mondo si basa su quanto leggiamo online, e proprio le informazioni che acquisiamo sul web hanno un peso fondamentale nella nostra personale interpretazione della realtà. Purtroppo, però, come sappiamo, accanto a contenuti informativi di alta qualità, in rete circolano anche notizie fuorvianti, manipolative e – nei casi peggiori – false che non arricchiscono la nostra visione del mondo e che non meritano, in altre parole, di contribuire a quel bagaglio di credenze e opinioni che vogliamo portare con noi nella vita di tutti i giorni. A complicare la situazione sono fin troppo spesso le piattaforme di ricerca e le testate giornalistiche online che, a suon di titoli accattivanti e contenuti che fanno leva sulle emozioni negative (come rabbia, paura e indignazione) si litigano senza troppi complimenti quella che alcuni professori di psicologia cognitiva e dell’educazione definiscono, in un articolo su The conversation, la risorsa cognitiva più preziosa e limitata che possediamo: l’attenzione.

Gli studiosi in questione – Ralph Hertwig e Anastasia Kozyreva del Max Planck Institute for Human Development, Sam Wineburg della Stanford University e Stephan Lewandowsky dell’università di Bristol – affermano che per riacquisire il controllo della nostra attenzione quando essa sembra essere diventata un prodotto messo all’asta al miglior offerente possa tornarci utile ciò che spesso si impara (o che si dovrebbe imparare) a scuola sul pensiero critico, ovvero l’abilità intellettiva di valutare accuratamente la qualità delle informazioni che incontriamo per decidere se considerarle affidabili oppure no.

Eppure, secondo Hertwig e colleghi, per quanto il pensiero critico sia fondamentale per orientarci nel mondo dentro e fuori dal contesto scolastico, da solo non basta per proteggerci dalle trappole della rete. Se, infatti, l’attenzione è una risorsa preziosa e limitata, impiegarla per valutare criticamente ogni informazione in cui incappiamo online è un compito dispendioso e impegnativo. Sarebbe opportuno, piuttosto, imparare a fare economia della nostra attenzione, comportandoci nel mondo digitale così come siamo “programmati” per natura ad agire nella vita reale: ignorando alcuni degli stimoli provenienti dall’ambiente esterno per concentrarci invece su quelli che ci interessano in un determinato momento per svolgere uno specifico compito cognitivo.

Per questo i sopracitati psicologi suggeriscono che il modo migliore per difenderci dall’infodemia del mondo digitale sia imparare ad applicare la strategia cognitiva del critical ignoring. L’espressione può essere tradotta grossolanamente con “ignoranza critica” intendendo il termine “ignoranza” non come la mancanza di conoscenza ma come la decisione volontaria di trascurare, tralasciare e, in altre parole, non concedere attenzione a un contenuto o a uno stimolo esterno. Detto questo, per amor di precisione e considerandola al pari di un termine tecnico non perfettamente traducibile nella nostra lingua, continueremo qui a usare l’espressione critical ignoring.

Il critical ignoring, secondo la riflessione dei quattro studiosi, consiste nella capacità di saper discriminare, a monte, quali informazioni considerare, e quindi approfondire, e quali invece saltare a piè pari. Ignorare consapevolmente e deliberatamente le informazioni inutili ci permette di riappropriarci del nostro tempo e della nostra energia mentale, nonché di evitare le notizie false.

Per interiorizzare questo modus operandi e applicarlo con successo alla nostra esperienza nel mondo digitale è necessario, in primo luogo, imparare a riconoscere i segnali che indicano scarsa affidabilità quando leggiamo una notizia online. Gli autori individuano, in particolare, tre macrogruppi di “contenuti tossici” diffusi online, suggerendo altrettante strategie di difesa. Per rafforzare il controllo sui nostri ambienti informativi ed evitare contenuti che sembrano notizie mentre in realtà sono solo pettegolezzi, fake news o pubblicità “travestite” da notizie si possono modificare le impostazioni sulla privacy dei nostri account, browser e app o limitare il tempo massimo da trascorrere sui social o altre app distraenti dall’effetto altamente polarizzante. Per fare questo si può, ad esempio, silenziare le notifiche fastidiose e non fornire il consenso ai siti che ci chiedono di raccogliere i nostri dati per mandarci pubblicità mirate, ovvero quelle che con più probabilità ci possono distrarre dal nostro obiettivo e dalla ricerca online delle informazioni che ci interessano.

Un'altra strategia da adottare è quella che gli autori definiscono “lettura laterale” e consiste in una verifica delle fonti preliminare alla decisione di approfondire un contenuto online. Se, dopo una breve ricerca, concludiamo che il sito, l’organizzazione o la persona che ha scritto o diffuso una notizia non merita la nostra fiducia perché non abbastanza autorevole sull’argomento o ha degli interessi che non condividiamo, allora meglio passare oltre.

Il critical ignoring si basa, infine, sul riconoscimento e l’evitamento di troll e cyberbulli che fomentano litigi online, sui social e non solo. Spesso gli scontri da tastiera hanno proprio lo scopo di creare distrazione e disordine, oppure di diffondere notizie false facendo leva sull’emotività delle persone e tentando di accendere la miccia dell’indignazione. Meglio evitare quindi le discussioni online e segnalare, quando possibile, troll e cyberbulli.

Secondo Hertwig e coautori, il critical ignoring dovrebbe diventare parte integrante dei percorsi di alfabetizzazione digitale organizzati in ambito scolastico. Abbiamo approfondito quest’ultimo punto con il professor Mino Conte, docente di filosofia dell’educazione all’università di Padova.

“Si tratta di una questione già affrontata in ambito pedagogico da alcuni studiosi inglesi nel 2000, in un numero monografico della rivista Journal of philosophy of education”, commenta il professor Conte. “Questo ci permette di capire come già vent’anni fa stesse iniziando ad affermarsi quella cultura della fretta e della velocità rispetto alla trasmissione della conoscenza in cui siamo immersi oggi. La vasta disponibilità di informazioni immediatamente accessibili sul web ci dà l’impressione di poter ottenere una risposta rapida a problemi complessi e di poter diventare esperti di un qualsiasi argomento in pochi minuti. Questo fenomeno, decisamente affascinante da approfondire in ambito filosofico, sociologico e psicologico, impone la necessità di implementare strategie educative che aiutino le persone a riconoscere ed evitare le trappole della disinformazione.

Per questo motivo, l’insegnamento del critical ignoring può sicuramente rivelarsi utile per sensibilizzare la popolazione più giovane (ma non solo) rispetto all’importanza di valutare la qualità, la credibilità e l'affidabilità delle informazioni in rete. Non basta però elargire questi insegnamenti in modo sporadico. Le nozioni di alfabetizzazione digitale trasmesse in ambito scolastico dovrebbero essere trasversali a tutti gli insegnamenti, a prescindere dalla disciplina, e dovrebbero essere proposte costantemente, come un fil rouge che caratterizza l’intero percorso formativo.

Oltre alla strategia del critical ignoring, però, i percorsi di alfabetizzazione digitale in questione dovrebbero insegnare anche l’importanza di approfondire i contenuti che si sceglie di leggere (evitando di sfogliare le notizie leggendone solo i titoli o scorrendole in modo superficiale) e l’umiltà intellettuale, cioè la consapevolezza dell’impossibilità di diventare “esperti in cinque minuti”.

Vale la pena, infine, segnalare un possibile “effetto collaterale” del critical ignoring, ovvero l’aumento del rischio di cadere preda del cosiddetto bias di conferma, un pregiudizio cognitivo innato a tutti noi che ci rende inclini ad accettare solo i fatti e le spiegazioni che avvalorano le credenze che già possediamo e a scartare invece i dati che mettono in discussione la nostra visione del mondo. Se tendiamo per natura a ignorare ciò che non conferma quello che già pensiamo e ad affidarci a fatti e interpretazioni coerenti con tali giudizi, come essere sicuri di praticare un critical ignoring “onesto” e che non si basi invece sull’ignorare deliberatamente solo i contenuti che rischiano di confutare le nostre credenze?

“Non è facile agire consciamente rispetto al rischio del bias di conferma, ma è comunque importante provarci”, riflette il professor Conte. “L’eccessiva polarizzazione delle opinioni (il fenomeno per cui ognuno di noi tende a chiudersi in contesti sociali e informativi in cui circolano solo le idee che già possiede, rafforzandole di conseguenza ed evitando di confrontarsi con chi la pensa diversamente, ndr) comporta dei seri rischi anche per la tenuta di una società democratica, la quale dovrebbe avere tutto l’interesse a incoraggiare la diffusione di una cultura scientifica. Si tratta della capacità critica di mettere sempre al vaglio un fatto, essendo disposti a cambiare idea quando emergono nuove prove o considerazioni che smentiscono le nostre ipotesi. Proprio questa lezione pedagogica della scienza può rappresentare un possibile antidoto alla polarizzazione delle opinioni e alla difficoltà di valutare criticamente le informazioni online”.

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