© collezione Alessandro e Oliana Zinelli
A volte sono gli incontri più inaspettati che cambiano la vita delle persone, ne è convinto Simone Zinelli, presidente della Fondazione culturale Carlo Zinelli che dal 1996 promuove l’opera e la figura dell’artista di cui quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario della morte. La fondazione ha sede nel paese natale di Carlo Zinelli, San Giovanni Lupatoto in provincia di Verona e da qui si adopera per preservare la sua opera e valorizzare il suo contributo all’arte contemporanea.
Simone Zinelli ci racconta che per il suo prozio Carlo l’incontro cruciale è stato quello con lo psichiatra e scrittore Vittorino Andreoli che nel 1959 prende in cura un paziente del manicomio veronese e riesce a vedere nei suoi dipinti la luce del genio, capendo così l’uomo e l’artista oltre la malattia. «Carlo Zinelli, Antonio Ligabue, Pietro Ghizzardi o Gino Sandri sono artisti che hanno tratto sicuramente beneficio dalla pittura, ma tutti sono stati graziati dagli incontri. Se queste persone non avessero fatto degli incontri, fortuiti o ricercati, sarebbero rimasti probabilmente soltanto dei malati psichiatrici. Carlo ha avuto una grande fortuna: incontrare chi gli ha dato un’opportunità, gli ha teso una mano. Altrimenti sarebbe rimasto solo uno tra gli 8-9 mila pazienti del manicomio, uno tra gli 80 stipati in una stanza e avrebbe probabilmente graffiato sui muri… se nessuno gli avesse dato l’opportunità di manifestare in qualche modo questa sua pulsione artistica, lui non sarebbe quello che oggi ricordiamo.»
Nelle parole di Simone Zinelli riecheggia una frase che quest’anno, che è anche il centenario basagliano, è forse fra le più citate nel ricordare lo psichiatra veneziano. Si tratta di quella di Sergio Zavoli che intervistando Franco Basaglia gli chiede “le interessa di più il malato o la malattia?” e lui risponde “sicuramente il malato”, cioè la persona che c’è dietro il disagio mentale e quindi al di là della diagnosi che la etichetta.
Un artista in manicomio
Oggi ricordiamo Carlo Zinelli come una figura di spicco nel panorama dell’arte contemporanea, la cui vita e opera offrono un’importante occasione per riflettere sul rapporto tra creatività e disagio mentale. Nato nel 1916, Zinelli ha vissuto un’esistenza segnata da eventi drammatici che hanno influenzato profondamente la sua arte. Cresciuto in un ambiente rurale, Carlo trascorre la sua infanzia immerso nella natura, un’esperienza che avrà ricadute anche sulla sua sensibilità artistica.
Diventato adulto, dopo un breve periodo sotto le armi, nel 1939 inizia a mostrare segnali di un disagio mentale che lo porterà a essere ricoverato nell’ospedale psichiatrico di Verona. È nel perimetro limitato del manicomio che Zinelli si avvicina alla pittura, sotto la guida di psichiatri come Andreoli, che fu anche suo amico. Nel 1957 Michael Noble apre un atelier artistico all’interno dell’ospedale, e questo rappresenta un momento di svolta per Carlo e per altri pazienti, perché offre uno spazio per l’espressione creativa, dove l’arte è anche una forma di terapia e liberazione.
Zinelli sviluppa il suo stile caratterizzato da colori vivaci e forme astratte, spesso ispirato ai suoi ricordi e alle esperienze vissute. Le sue opere riflettono non solo il suo stato interiore ma anche una visione del mondo che trascende le barriere del disagio mentale. L’arte diventa un ponte tra il suo vissuto e il mondo esterno, permettendo a chi guarda di entrare in contatto con le sue emozioni più profonde. Negli anni ’60, grazie all’interessamento di Andreoli e alle critiche positive dell’artista Jean Dubuffet, le opere di Zinelli iniziano a ricevere vari riconoscimenti. I suoi quadri vengono esposti in diversi musei e gallerie, contribuendo a mettere in luce l’importanza dell’arteterapia e il valore espressivo degli artisti con esperienze di vita simili alla sua.
Anche la fondazione presieduta da Simone Zinelli «vuole promuovere la figura e la storia di Carlo Zinelli dando risalto alle sue opere e promuovendo nel contempo la cultura dell’Art brut. L’artista veronese è stato collocato all’interno di questo movimento dopo che Dubuffet ne aveva accolto alcune opere nella sua collezione nel 1963, ma oggi l’arte di Carlo trova spazio anche nei musei al di fuori di questo perimetro. Come affermava Dubuffet, questa “è l’arte di coloro che non hanno frequentato le accademie, quindi arte non convenzionale, arte che è sostanzialmente espressione libera”. E la nostra fondazione vuole valorizzare tutti i percorsi che Carlo Zinelli ha fatto nell’Art brut e non solo: sostanzialmente da quando ha iniziato a dipingere fino agli anni ’70.»
Art brut, outsider art o arte irregolare?
Qui va fatta una piccola precisazione, perché Zinelli e altri artisti con esperienze simili sono a volte inseriti nel filone dell’Art brut, a volte nell’outsider art o ancora nella cosiddetta “arte irregolare”… Per provare a fare chiarezza, abbiamo chiesto a Simone Zinelli se questi termini sono sinonimi o ci sono delle differenze? «Outsider art è un termine coniato dallo storico dell’arte Roger Cardinal nel senso di arte “non convenzionale” ma oggi c’è chi non ama molto inserire in questo contesto maestri riconosciuti dell’Art brut come Carlo Zinelli o Aloïse Corbaz, e vorrebbe tendenzialmente togliere qualsiasi etichetta affinché possano essere semplicemente chiamati artisti. Capisco questo punto di vista e lo appoggio, ma la realtà è che in Italia i cosiddetti “irregolari” (come Ligabue) fanno fatica a trovare la loro dignità perché siamo nel mondo del classico, nel nostro paese il bello è ovunque... Questi pittori si sono ricavati quindi una nicchia ma è estremamente difficile vedere le loro opere nei grandi musei accanto ai maestri del Rinascimento, al massimo trovano spazio nel ’900.»
La difficoltà a trovare una collocazione per le opere di pittori “irregolari” forse ha a che fare anche con i pregiudizi che tanto hanno pesato (e ancora non sono del tutto scomparsi) sulle persone con disagio mentale. Questa è anche l’opinione di Simone Zinelli secondo cui «lo stigma della follia ti tocca sempre ma, pur non avendo timore a parlare delle fragilità di Carlo, è importante che in una mostra ci siano anche le opere in modo che il visitatore riesca a metabolizzare la storia e a calarsi nella sua opera».
E invece proprio esporre i quadri di questi artisti può contribuire non solo a decostruire lo stigma legato al disagio mentale, ma anche a parlare dei benefici dell’arteterapia per chi si trova in uno stato di sofferenza psichica. Come ci racconta di nuovo Simone Zinelli, portando l’esempio del suo prozio: «l’arteterapia è ormai presente in molti centri di salute mentale e su questo basti dire che dal momento in cui Carlo è entrato nell’atelier di pittura del manicomio non ha più assunto psicofarmaci. Era uno schizofrenico grave con un disagio anche violento a volte, per cui veniva spesso contenuto, aveva subito elettroshock e insulinoterapia, ma tutto cambia dall’ingresso nell’atelier voluto da Noble. Già nel 1955 era stato fatto un tentativo terapeutico in cui si voleva insegnare a dipingere ai pazienti, ma non aveva funzionato. Poi Noble ha detto “no, diamo loro gli strumenti, la carta e i pennelli, ma lasciamoli completamente liberi di esprimere i propri stimoli”: da quel momento la medicina di Carlo è stata l’arte. Dunque, l’arte può aiutare a guarire, come testimoniano le cartelle cliniche, i racconti dei medici come Andreoli e anche della mia famiglia: Carlo si è assolutamente emancipato dalla malattia e dalla sua condizione struggente e drammatica con la pittura.»
Tutte le immagini sono della collezione Alessandro e Oliana Zinelli (si ringrazia la Fondazione culturale Carlo Zinelli).