CULTURA

Dissolvenze in mostra al Museo diocesano

Dissolvenza: operazione che viene dalla tecnica cinematografica o televisiva, ove aprendo o chiudendo gradualmente l’otturatore – parliamo ovviamente dell’era analogica – si ottiene l’apparizione o la sparizione progressiva delle immagini. Potremmo contrapporla all’impressione: se in quest’ultima la forma viene fissata e quasi cristallizzata (su una tela, una pellicola o nella mente), nella dissolvenza essa sembra progressivamente svanire, quasi dilavarsi nella memoria.

Ma in una società che, come la nostra, si nutre di immagini e rappresentazioni la dissolvenza è anche qualcosa di più. È il bombardamento di forme e di colori a cui siamo sottoposti, che si sovrappongono confondendosi, ma anche il mondo in cui viviamo, che continuamente muta e si disfa sotto i nostri occhi; è il sogno che emerge progressivamente dall’inconscio. Ed è proprio da un sogno – racconta Enrica Feltracco, curatrice assieme a Massimiliano Sabbion e Matteo Vanzan – che nasce la mostra Dissolvenze, aperta fino al 30 novembre 2019 al Museo Diocesano di Padova.

47 artisti italiani e stranieri raccontano le loro visioni dissolte attraverso pittura, scultura, fotografia, video art e installazioni, con opere originali sia nella forma che nel contenuto, molte delle quali create appositamente per l’occasione. Si possono ad esempio sfruttare le pellicole ortocromatiche dell’installazione di Pierangela Allegro per creare, con l’ausilio di una torcia elettrica, un gioco mutevole di ombre e luci. Si resta rapiti dai video di Isobel Blanck e di Michele Sambin, o dalle chimere create digitalmente da Giordano Rizzardi. I fili di ferro elettrosaldati da Jacopo Mandich sembrano scomporsi per uscire dal supporto e proiettarsi nell’ambiente circostante.

Nella dissolvenza l’assenza diventa essenza, invita a riflettere e pure a fantasticare

Pierluca Cetera usa colori a olio e tempere su fogli sovrapposti di carta lucida, con colori e contorni indefiniti che cambiano ad ogni leggero movimento, mentre Ioan Pilat e Nicola Vinci usano la tecnica fotografica per fissare rispettivamente ritratti onirici e lo scorrere del tempo. Fitti anche i rimandi alla classicità, ad esempio nei bassorilievi in tessuto di Leda Guerra, nelle opere di Daniele Fortuna e nelle splendide sculture in marmo di Carrara di Corrado Marchese. Del resto cos’altro racconta uno dei maggiori poemi dell’antichità, le Metamorfosi di Ovidio, se non una serie continua di dissolvenze e di sparizioni. Nominare solo alcuni degli artisti, come si è costretti a fare per ragioni di spazio, è comunque limitante, data la sorprendente qualità e coerenza delle opere esposte.

“Ho cercato di capire da dove mi venisse questa esigenza affrontare il tema della dissolvenza – spiega Enrica Feltracco –, l’ho ritrovata nei non finiti di Michelangelo, nelle sculture di Medardo Rosso e nelle opere di Gerhard Richter, nella fotografia di Francesca Woodman e nella pittura di Francis Bacon. Mi piaceva però l’idea che fossero artisti contemporanei, giovani ma importanti, a raccontare come oggi vedono la dissolvenza, scoprendo che in realtà molti di loro avevano già affrontato o stavano affrontando questo tema”.  Aggiunge Massimiliano Sabbion che “la memoria, come capita ai sogni, vive nella dissolvenza e si perde nella nebbia fatta di ricordi, di dubbi, di tracce passate che tendono, a volte, a sostituirsi alla rappresentazione oggettiva e reale”. Infine per Matteo Vanzan “il contemporaneo è un lungo viaggio nella dissolvenza, un percorso di disgregamento della forma verso l’Informe, vero momento di catarsi per coloro che che divennero artefici dell’universo concettuale”.

Si potrebbe quasi sostenere che, così come l’impressionismo raccontava – pur evidenziandone anche diversi aspetti problematici – un mondo ottimista, una civiltà e una tecnica in vorticosa ascesa, allo stesso modo questa sia l’epoca della dissolvenza, in cui vediamo disfarsi quasi in diretta molte delle strutture che ci hanno accompagnato finora. E l’arte non può che riflettere questo continuo spegnimento, nella nostalgia di ciò che perdiamo ma anche nella curiosità verso ciò che ci attende. Nell’intuizione che, in fondo, proprio nello sparire possa nascondersi l’anima della cose: “Nella dissolvenza l’assenza diventa essenza – scrive ancora Enrica Feltracco nella presentazione –, invita a riflettere e pure a fantasticare”. E forse Paul Valéry aggiungerebbe che, se Dio ha creato tutto dal nulla, tuttavia il nulla continua a trasparire.

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