SCIENZA E RICERCA

Elezioni europee, il futuro della ricerca secondo i candidati. Roberto Battiston

In vista delle prossime elezioni europee, che si terranno il 26 maggio 2019, la redazione de Il Bo Live ha deciso di porre alcune domande sui temi della ricerca e dello sviluppo tecnologico ad alcuni candidati delle principali liste elettorali. Qui vi proponiamo le risposte di Roberto Battiston, candidato per il Partito Democratico nella circoscrizione Nord Est.

Secondo lei, la ricerca scientifico e lo sviluppo tecnologico rappresentano un elemento di assoluta priorità oggi per l’Europa o ci sono altri problemi più urgenti da affrontare?

La complessità dei problemi di oggi possono essere affrontati solo con nuovi strumenti e conoscenze. Pensiamo ad esempio al problema del cambiamento climatico, forse il problema più importante che dobbiamo affrontare, da cui dipendono una miriade di problemi collegati. Per affrontare un problema come questo occorre più conoscenza e più ricerca, oltre, naturalmente, ad una politica che sappia prendere le necessarie decisioni. Per cui direi di sì, mantenere una condizione di eccellenza scientifica è una priorità assoluta per l’Europa. Nel mondo, ogni nazione forte si è dotata e mantiene una forte capacità scientifica: se l’Europa ha l’ambizione di giocare un ruolo di leadership globale ha bisogno una leadership scientifica e tecnologica.

Nel 2000 a Lisbona i membri del Consiglio Europeo si prefissarono l'obiettivo di fare dell'Unione Europea “la più dinamica e competitiva economia della conoscenza entro il 2010”. Due anni dopo il medesimo Consiglio Europeo riunitosi a Barcellona fissava al 3% del PIL l'investimento finanziario in ricerca e sviluppo necessario per raggiungere l’obiettivo di Lisbona. Quell'obiettivo non è stato raggiunto nel 2010 ed è stato spostato al 2020. Ma il 2020 è già domani e l’obiettivo è sempre lontano. Pensate che debba essere riproposto? E se sì, con quali modalità e tempi?

L’economia del futuro sarà sempre più economia basata sulla conoscenza: lo sviluppo dell’AI, di nuove dimensioni dell’economia come quella verde e quella spaziale, la riduzione dei costi dei servizi e dei beni, puntano in questa direzione. È in atto una rivoluzione epocale nel mondo del lavoro, della sua qualità e quantità individuale. Nel corso due generazioni, siamo passati da una industria caratterizzate da attività ad alta intensità di manodopera ad una automatizzazione sempre più sofisticata ed esperta. La conoscenza rappresenta una dimensione di per se stessa illimitata che può generare nuove forme di organizzazione sociale, nuove professioni: è una sfida enorme che dobbiamo affrontare con la massima preparazione possibile.

Antonio Ruberti, che nel 1992 fu Commissario europeo per la scienza, nel 1998 parlò in un suo libro di “uno spazio europeo della scienza”. Oggi la gran parte della spesa in ricerca proviene dai singoli Stati membri: i governi nazionali contribuiscono con il 95% agli investimenti in ricerca e sviluppo in Europa, mentre l'Unione Europa contribuisce con il 5%. Paesi come la Cina, la Russia e gli Stati Uniti godono di un finanziamento alla ricerca molto più centralizzato. Secondo voi le competenze in materia di ricerca e sviluppo in Europa dovrebbero essere più centralizzate?

È chiaro che in un contesto di molteplicità di attori vi sono possibilità di duplicazione programmatica, ma probabilmente l’ottimizzazione passa per un maggiore coordinamento piuttosto che per una centralizzazione che potrebbe allungare i tempi ed aumentare la burocrazia. Considerando le dimensioni europee non dobbiamo sorprenderci della presenza di diverse istituzioni attive nel mondo della ricerca e della tecnologia. Negli Stati Uniti o in Cina, sistemi politici molto più verticali, esiste una varietà di istituzioni attive nel settore della ricerca. L’importante è l’intensificazione dei meccanismi di coordinamento tra i paesi europei, e tra i vari paesi e l’Unione Europea. I ricercatori devono essere incentivati sempre più guardare all’Unione Europa come uno spazio comune della ricerca, occorre promuovere una Maastricht della ricerca, non necessariamente e non solamente collegato all’azione della Commissione.

Horizon 2020 è stato finanziato con circa 70 miliardi di euro, la maggior parte dei quali è stata allocata alla ricerca applicata e allo sviluppo tecnologico. I prossimi programmi di finanziamento dovranno dedicare maggiore attenzione alla ricerca di base o curiosity driven o bisogna insistere sullo sviluppo tecnologico?

Entrambe le direzioni devono essere sostenute. Occorre però tenere conto che nella storia dell’innovazione e delle scoperte i grandi passi in avanti sono stati per lo dovuti ad attività curiosity driven affiancate, naturalmente, da grande talento personale e da strumenti adeguati.

Sia nella ricerca applicata sia in ricerca di base, quali sono i settori strategici su cui puntare?

L’Europa ha già attivato flagship di ricerca nel settore del grafene, della struttura del cervello e della meccanica quantistica. Altri settori che meritano un sostanziale investimento in ricerca sono la fotonica, gli algoritmi di navigazione automatica, l’auto elettrica e la sua evoluzione, lo sfruttamento dei dati spaziali e geolocalizzati, forme di trasporto aereo con minore consumo e le tecnologie dell’economia eco-compatibile.

Nel finanziamento ERC i ricercatori italiani che risultano vincitori sono secondi, in termini assoluti, solo ai ricercatori tedeschi (che sono molti di più di quelli italiani), ma primi in termini relativi, ovvero in percentuale al numero totale di ricercatori del Paese. Eppure il 60% dei ricercatori italiani vincitori del finanziamento ERC scelgono di andare a spenderlo all'estero. Cosa pensate del finanziamento ERC e di come è strutturato?

Questo problema deve essere visto come cartina al tornasole delle difficoltà italiane nel trattenere le migliori competenze a causa di un ecosistema nel settore della ricerca che risulta insoddisfacente. Il problema non sta nel finanziamento ERC ma nella ricettività del sistema italiano. Ogni sforzo deve essere attuato per cercare di invertire la tendenza a lasciare il paese: ma questo vuole dire maggiore flessibilità nei confronti delle esigenze dei vincitori ERC in particolare per quanto riguarda gli aspetti familiari (es. lavoro del coniuge, livelli salariali etc.).

A vostro avviso le politiche europee di prevenzione e di adattamento ai cambiamenti del clima sono adeguate? E se no, in cosa dovrebbero cambiare?

No. Occorre sviluppare gli strumenti per un approccio globale al problema dell’inquinamento e della sostenibilità, aspetti che coinvolgano in profondità, attraverso una azione politica, la società civile, dalla scuola al mondo del lavoro. Occorre un nuovo patto tra politica e scienza per affrontare il problema dei cambiamenti climatici.

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