CULTURA

La fotografia di Doisneau: l'infanzia, gli innamorati, i bistrot, le banlieue di Parigi

Inizia con il sorriso gentile di un uomo che, da un tetto di Parigi, si mette in posa senza riuscire a nascondere un certo imbarazzo. È il 1986 e a realizzare quel ritratto è Henri Cartier-Bresson: il protagonista è Robert Doisneau (Gentilly 1912 - Montrouge 1994), esponente illustre della fotografia umanista francese del XX secolo e del fotogiornalismo di strada, ora al centro di una mostra, allestita a Palazzo Roverella a Rovigo, che nel titolo riporta semplicemente il suo nome, nel tentativo di ritrovare l'identità profonda dell'uomo e dell'artista dietro l'opera (23 settembre 2021 - 30 gennaio 2022). Quella immagine, la prima dell'esposizione rodigina, testimonia la stima che i due fotografi nutrivano l'uno per l'altro. "Se c'è qualcuno che adoro, quello è Doisneau. L'intelligenza, la profondità di Doisneau, la sua umanità. È un uomo meraviglioso", Henri Cartier-Bresson, Voir est un tout, Editions du Centre Pompidou, 2013.

Ironia, tenerezza, attenzione sociale in fotografie "aperte", capaci di offrirsi come "trampolino del sogno". Vi sono diversi aspetti da scoprire nella produzione di Doisneau, "sviluppati appieno nel periodo più fertile, che va dagli anni Trenta ai Sessanta del Novecento", spiega il curatore Gabriel Bauret, sottolineando l'importanza di andare oltre le immagini iconiche che lo hanno reso celebre. Tra tutte, Le baiser de l’Hôtel de Ville, presente in questa mostra ma accompagnata da più di 130 stampe ai sali d’argento in bianco e nero, provenienti dalla collezione dell’Atelier Robert Doisneau a Montrouge - archivio, oggi gestito dalle figlie, con immagini custodite per oltre cinquant’anni, che conta quasi 450.000 negativi -, e dal documentario Robert Doisneau, le révolté du merveilleux (Robert Doisneau. La lente delle meraviglie), realizzato nel 2016 dalla nipote Clémentine Deroudille.

Se c'è qualcuno che adoro, quello è Doisneau. L'intelligenza, la profondità di Doisneau, la sua umanità. È un uomo meraviglioso Henri Cartier-Bresson

Le immagini raccontano il mondo operaio - per cinque anni Doisneau lavora alla Renault e, ricordando quel periodo, definendosi "riconoscente", scrive: "Tra le scintille di polvere di magnesio ho imparato a conoscere il mondo di coloro che si svegliano presto" - e l'infanzia, gli scatti dedicati ai bambini sono tra i più belli e svelano la sensibilità e la sincera partecipazione del fotografo: Les frères, 1934, La première maitresse, 1935, La dent e L'information scolaire, 1956. E ancora, le periferie nel dopoguerra, i bistrot, i balli di notte, le portinerie, le presenze femminili, gli innamorati, i matrimoni, la relazione tra esseri umani e animali, le grandi figure dell'arte, della letteratura, della scienza. Infine anche la moda, che Doisneau fotografa per un paio d'anni, su invito nel 1950 di Edmonde Charles-Roux, giornalista di Vogue, ma per la quale non si sente portato: "Pochissime delle immagini scattate per Vogue resistono al passare del tempo - spiega -. Questo prova che si trattava di un errore di percorso". Doisneau preferisce la strada e le periferie (è del 1949 il libro La banlieue de Paris, realizzato con l'amico scrittore Blaise Cendrars), la vita delle persone comuni: “Mi piacciono le persone per le loro debolezze e difetti. Mi trovo bene con la gente comune. Parliamo. Iniziamo a parlare del tempo e a poco a poco arriviamo alle cose importanti. Quando le fotografo non è come se fossi lì ad esaminarle con una lente di ingrandimento, come un osservatore freddo e scientifico. È una cosa molto fraterna, ed è bellissimo far luce su quelle persone che non sono mai sotto i riflettori”.

“Il fotografo deve essere come carta assorbente, deve lasciarsi penetrare dal momento poetico [...] Quello che cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere" (da una dichiarazione riportata da Frank Horvat, Entre vues, Editions Nathan, 1990).

Il gioco di sguardi, un'altra magia, risultato delle celebri messe in scena, ovvero la costruzione delle foto, come lo stesso bacio parigino del 1950 realizzato per la rivista Life. Una scelta, determinata dalla volontà di modificare liberamente le situazioni, che Doisneau intervalla agli scatti dal vivo del reportage.

All'ironia di Un regard oblique del 1948 (è la foto qui sopra, aguzzate la vista e seguite le direzioni degli occhi) segue il divertente e divertito gioco di sguardi che non si incrociano mai dei soggetti ritratti in Fox-terrier au Pont des Arts del 1953. Di quest'ultimo scatto, Doisneau svela genesi e trucchi: "Questa è una foto completamente costruita. Eravamo un bel gruppetto in un caffè di rue de Seine, tutti un po' brilli; con noi c'era una ragazza che il compagno pittore voleva ritrarre sul Pont des Arts. Io gli ho suggerito di dipingerla nuda, per vedere come avrebbe reagito la gente". Così, una donna vestita (di cui scorgiamo solo un piede) viene ritratta nuda da un pittore di spalle, che viene guardato da lontano da un uomo, il cui cane, a sua volta, guarda il fotografo. "Finisce con un dubbio, irrisolto, su cosa stia realmente guardando il padrone del cane - spiega il curatore Gabriel Bauret -. Nella storia che non si vede, invece, c'è un grande fotografo, bravissimo non solo a cogliere l'attimo, come fanno i grandi fotografi, ma anche a inventarselo, come fanno i grandi artisti, pur dandoci l'illusione, come fanno i grandi prestigiatori, che – puf! – quella foto sia frutto del caso. A differenza dei prestigiatori, però, a Doisneau piaceva svelare i suoi trucchi".

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