CULTURA

Gatti marinai e polpi indovini. Insolite storie di animali famosi

Nel 2010, a conquistare la scena internazionale fu il polpo Paul, apparentemente capace di indovinare l’esito delle partite della Germania ai mondiali di calcio. A far commuovere intere generazioni, invece, è stato il fedelissimo akita giapponese Hachiko, che dopo la morte improvvisa del padrone, continuò ad aspettarlo invano alla fermata del treno per dieci anni. E poi ci sono storie, forse meno note, di animali che hanno cambiato per sempre il nostro sguardo sull’intelligenza e la socialità delle altre specie che abitano con noi il pianeta. Sono gatti, cavalli, scimmie, cetacei, corvi e persino piccioni: animali hanno segnato passi importanti negli studi di etologia o sul benessere animale. E che ci hanno addirittura aiutato a riconoscere loro alcuni diritti. 

A raccogliere le storie sorprendenti, audaci, talvolta drammatiche e difficili, di queste celebrità bestiali è il saggio “Gatti marinai e polpi indovini. Insolite storie di animali famosi” (Hoepli, 2022) appena sfornato dalla penna del naturalista e giornalista scientifico Alfonso Lucifredi. Per il suo quarto saggio pubblicato per la collana Microscopi di Hoepli, Lucifredi è riuscito a scovare – e a raccontare con uno stile sempre leggero e puntuale – le vite di alcuni animali diventati celebri nella loro epoca, che ci hanno costretto a rivedere le nostre conoscenze sul mondo animale e a ridimensionare l’ego dell’umanità.

Una tra tutte è la storia di Jack, il primo babbuino segnalatore. Siamo alla fine dell’Ottocento, gli scambi ferroviari funzionano tramite leve azionate da umani, ma nella provincia del Capo – in Sudafrica – una passeggera nota con grande stupore e un pizzico di sgomento che tale lavoro di segnalazione è affidato a un babbuino. All’epoca, considerato stupido e spregevole. Inviperita, inoltra una lettera di reclamo all’azienda ferroviaria, che è ignara di tutto. Si scopre così che Jim, il segnalatore umano, reduce dall’amputazione di entrambe le gambe, si faceva aiutare dal suo babbuino Jack. Jack aveva capacità sorprendenti, aveva imparato come azionare correttamente le leve, certo, ma un affare del genere restava uno scandalo. Così le autorità ferroviarie decisero di far sostenere un esame al babbuino, che ne uscì a pieni voti: non sbagliò neanche uno scambio, diventando ufficialmente l’assistente di Jim e passando alla storia come Jack, il primo babbuino a lavorare per una ferrovia, con uno stipendio di frutta e verdura.

Oggi, un secolo e mezzo dopo queste vicende, sarebbe scandaloso far lavorare un altro primate. Abbiamo ben chiaro il rapporto di parentela che unisce noi esseri umani alle altre scimmie, conosciamo molto più a fondo la loro socialità, la loro intelligenza, la loro cultura e le loro forme di comunicazione o di utilizzo di strumenti. E addirittura negli ultimi anni si discute quanto sia etica la detenzione di scimmie antropomorfe negli zoo o se dovremmo considerarle “persone non umane”. È proprio questo il punto che solleva Lucifredi: comincia dalla storia di Jack per approfondire poi anche l’evoluzione del nostro pensiero e delle nostre conoscenze sugli altri primati, nostri cugini. Nei box a fine capitolo, Lucifredi mette sempre in fila aneddoti diversi, per ricapitolare anche un pezzetto del pensiero scientifico attraverso le storie bestiali seminate in capitoli differenti.

Le nostre conoscenze sugli animali in cattività, in particolare sui cetacei, si sono stravolte invece grazie a Keiko: un giovane maschio di orca, protagonista del film campione di incassi Free Willy. Come racconta Lucifredi, dopo l’uscita della pellicola nelle sale, nel 1993, cominciò una mobilitazione pubblica per riportare l’orca in libertà. Keiko, infatti, viveva in un parco acquatico in Messico e presentava evidenti segni di sofferenza. Così si decise di trasferirla nelle acque islandesi, in un’area recintata appositamente creata per lei, in prossimità dell’isola di Heimaey. Ma il piano si rivelò più complesso del previsto: nelle uscite in acque aperte, l’orca restava sempre vicino alla barca degli scienziati che la monitoravano, non interagiva con i suoi simili, e soprattutto non mangiava a sufficienza e non si immergeva alle profondità consone per la sua specie. Insomma, Keiko, che aveva vissuto sin dall’infanzia in un parco acquatico non sapeva più fare l’orca in natura. Anche l’incontro con un altro pod (così si chiamano i gruppi formati da questi cetacei) non andò come sperato: Keiko se ne allontanò subito. Ci vollero mesi per convincere l’orca a uscire dal recinto, prendere il largo e nutrirsi da sola. E fino alla sua morte, avvenuta nel 2003 per una polmonite, Keiko continuò a vivere una vita in semilibertà, continuando a fare uscite in mare aperto seguita dagli scienziati. Keiko, insomma, non tornò mai a fare la vita da orca, aggregandosi a qualche pod. Ma è soprattutto grazie a lei se oggi si ragiona sul benessere dei grandi cetacei come le orche o i delfini in cattività, detenuti in vasche di cemento asettiche, magari per dare spettacolo. 

La triste storia di Keiko e quella di Jack il babbuino, sono solo alcune delle vicende che ha scelto di raccontare Lucifredi. Dal corvo della Nuova Caledonia Betty al cavallo Hans, tutte hanno segnato un punto di svolta nella nostra comprensione delle capacità, dell’intelligenza e della socialità degli altri animali. Sono vite che hanno assottigliato il confine tra “noi, umani” e “loro, animali”, che lo hanno reso più sfumato. E dar voce a queste vite, tanto più nell’epoca della sesta estinzione di massa, ci ricorda il nostro posto nel mondo e ci mette di fronte alle nostre responsabilità.

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