Sull’ultimo numero di Lancet c’è un breve commento dal titolo “Il Covid-19 ha sovvertito la salute globale?”. L’articolo, firmato da Richard Cash e Vikram Patel della Harvard Medical School, parte da un dato: più del 90% delle vittime si trova nei Paesi ricchi. Se aggiungiamo a questi, anche il Brasile, la Cina e l’Iran si arriva al 96%. Significa che per fortuna questa pandemia ha colpito molto limitatamente, per ora, i Paesi più poveri, come quelli africani.
Esistono due fattori – lo riporta anche Lancet – alla base della mancata espansione di Covid-19 nelle aree più povere del pianeta: il primo è la giovane età media di questi Paesi, il secondo è che in questi Paesi non esiste l’abitudine delle case di riposo per gli anziani che sono curati in casa. Infine c’è il tema, anche se per ora meno comprovato sul piano scientifico, di una maggiore capacità di reazione del sistema immunitario di queste popolazioni, più flagellate da altre malattie, come, per esempio, Ebola.
C’è un’ultima parte dell’articolo di Lancet su cui è il caso di soffermarsi: quello della salute globale, che deve essere sempre calata nei contesti particolari e deve avere come riferimento la giustizia e la lotta alle disuguaglianze. Lancet riporta molti altri dati interessanti, mostrando come in Africa forse la quarantena generalizzata potrebbe non essere la scelta migliore per queste aree, perché ridurrebbe ulteriormente l’accesso ai sistemi sanitari spesso non all’altezza e alle cure per tante altre malattie. Interventi, di nuovo, troppo drastici potrebbero comunque aumentare i livelli di disuguaglianze già presenti a causa delle modifiche del contesto di vita sociale e culturale.
La proposta finale è la seguente: se la pandemia dovesse allargarsi in questi Paesi – non potendo cambiare e potenziare il sistema sanitario presente – si dovrebbe fare affidamento a un approccio basato sulla comunità e sulle reti territoriali. Questo perché non c’è salute che non sia rispettosa del contesto e della uguaglianza e della giustizia sociale.