CULTURA

Tra la memoria e la scienza, “l’ora poetica” di Levi

Il 12 giugno scorso scrittori, artisti e studiosi si sono dati appuntamento alla New York Public Library per una lettura multilingue e integrale di Se questo è un uomo - If this is a man. Il prossimo 2 luglio accadrà a Roma: il Teatro Flaiano ospiterà una maratona di lettura, dalle 18 all'alba, in cui a leggere saranno cittadini di tutte le età e provenienze (alcuni brani saranno proposti in lingue straniere). A 100 anni dalla nascita, Primo Levi - uomo, autore, testimone, scienziato - si rimette necessariamente al centro: in Italia e nel mondo si moltiplicano gli eventi, tra convegni, reading, spettacoli e concerti per celebrare il centenario del 31 luglio.

Le pagine scritte continuano a svelarne il pensiero e le tante anime, anche quelle nascoste. La testimonianza del dolore dell’essere umano si mostra evidente in libri di riferimento come Se questo è un uomo, La tregua, I sommersi e i salvati, la sua professione di chimico (si laureò all’Università di Torino nel 1941 con una tesi sull’inversione di Walden), a cui tornò dopo la deportazione lavorando in una fabbrica di vernici, e quel suo legame stretto con il mondo scientifico sono rintracciabili nei racconti de Il sistema periodico (che, nel 2019, coincide con il 150esimo anniversario della tavola periodica degli elementi chimici e la recente pubblicazione del quaderno Cucire parole, cucire molecole, curato da Alberto Piazza dell’Accademia delle Scienze di Torino e da Fabio Levi del Centro internazionale di studi Primo Levi), nel Dialogo con Tullio Regge e nel piccolo pianeta 4545 tra Giove e Marte, scoperto nel 1989, che dal 2011 unisce nome e cognome, fondendoli in Primolevi.

[...] il Sistema Periodico di Mendeleev, che proprio in quelle settimane imparavamo laboriosamente a dipanare, era una poesia, più alta e più solenne di tutte le poesie digerite in liceo: a pensarci bene, aveva perfino le rime! Primo Levi, "Il sistema periodico"

Tra memoria e scienza, esiste anche un'altra via, quella poetica, segreta, intima, incerta. E dunque viene da chiedersi che cosa la poesia possa raccontarci di lui. È forse possibile ritrovare Levi indagando la sua anima meno visibile? Cosa emerge dalla raccolta di versi Ad ora incerta del 1984? Dopo l’edizione del 1990, arricchita da versi scritti tra il settembre 1984 e il gennaio 1987, ora Garzanti ha ripubblicato la raccolta, in occasione del centenario ed è interessante ritrovarne i versi e le riflessioni critiche di intellettuali e poeti del suo tempo attorno alle sue prove poetiche. “C’è sempre qualcosa di autobiografico in quel che scrivo. Questo penso che valga per quasi tutti gli scrittori”, sosteneva in una intervista Rai del 1962. E allora ci si potrebbe chiedere se, in qualche modo, oggi sia possibile rileggere il suo percorso di vita attraverso la sua poesia, indagandone la parte più segreta.

“Uomo sono. Anch’io, ad intervalli, “ad ora incerta”, ho ceduto alla spinta: a quanto pare, è inscritta nel nostro patrimonio genetico”. Levi non si riteneva un grande poeta, nell’introdurre la sua raccolta scriveva: “In alcuni momenti la poesia mi è sembrata più idonea della prosa per trasmettere un’idea o un’immagine. Non so dire perché, e non me ne sono mai preoccupato: conosco male le teorie della poetica, leggo poca poesia altrui, non credo alla sacertà dell’arte e neppure credo che questi miei versi siano eccellenti. Posso solo assicurare l’eventuale lettore che in rari istinti (in media, non più di una volta all’anno) singoli stimoli hanno assunto naturaliter una certa forma, che la mia metà razionale continua a considerare innaturale”. Riscoprire Levi poeta significa rintracciare i semi sparsi in una esistenza segnata quasi sempre da altre urgenze e altri percorsi ma, nonostante la poca fiducia dell’autore stesso nei propri versi, la poesia sembra aver attraversato in più momenti gli interessi e l’esperienza umana di Levi: la memoria del dolore (è possibile scrivere poesia dopo l’Olocausto?) e persino la scienza.

In Shemà del 10 gennaio 1946, da una antica preghiera della liturgia ebraica, si ritrovano le tracce più note del suo dolore, la sue parole più note, quelle scelte per aprire Se questo è un uomo del 1947.

Voi che vivete sicuri

Nelle vostre tiepide case,

Voi che trovate tornando a sera

Il cibo caldo e visi amici:

           Considerate se questo è un uomo

           Che lavora nel fango

           Che non conosce pace

           Che lotta per mezzo pane

           Che muore per un sì o per un no.

           Considerate se questa è una donna,

           Senza capelli e senza nome

           Senza più forza di ricordare

           Vuoti gli occhi e freddo il grembo

           Come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:

Vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

Stando in casa e andando per via,

Coricandovi alzandovi;

Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,

La malattia vi impedisca,

I vostri nati torcano il viso da voi.


Così anche la poesia 25 febbraio 1944, scritta il 9 gennaio 1946, racchiude la sofferenza della prigionia intrecciando così i versi alla memoria della vita vera.

Vorrei credere qualcosa oltre,

Oltre che morte ti ha disfatta.

Vorrei poter dire la forza

Con cui desiderammo allora,

Noi già sommersi,

Di poter ancora una volta insieme

Camminare liberi sotto il sole.


E ancora, Il tramonto di Fossoli, scritta il 7 febbraio 1946, custodisce gli echi del trauma, citando il campo di transito di cui scrisse nel primo capitolo di Se questo è un uomo: “Come ebreo, venni inviato a Fossoli, presso Modena, dove un vasto campo di internamento, già destinato ai prigionieri di guerra inglesi e americani, andava raccogliendo gli appartenenti alle numerose categorie di persone non gradite al neonato governo fascista repubblicano”.

Io so cosa vuol dire non tornare.

A traverso il filo spinato

Ho visto il sole scendere e morire;

Ho sentito lacerarmi la carne

Le parole del vecchio poeta:

“Possono i soli cadere e tornare:

A noi, quando la breve luce è spenta,

Una notte infinita è da dormire”. 


 

Al convegno internazionale di studi su Primo Levi tenutosi a Torino nel marzo 1988, evidenziando il suo “compito ingrato”, Franco Fortini così interveniva analizzando la qualità della poesia dell'autore: “Questi versi non sono eccellenti, anche se ve ne sono che vanno letti con attenzione perché hanno una loro verità ed un loro timbro da comunicarci […] Con questo si vuol dire che sono nella loro maggioranza deboli in quanto versi, in quanto cioè si presentano come iscritti nel genere che nel nostro e anche nel passato secolo è quello delle cosiddette poesie […] La ragione va cercata in quei singoli stimoli di cui Levi discorre, ossia nelle occasioni, nella natura di quegli stimoli. Bisogna in altri termini, censire gli spunti, gli argomenti, i temi. A partire dalla epigrafe di Se questo è un uomo, con titolo Shemà che, fra l’altro, è una delle poesie giustamente più note e che assume però tutta la sua forza dall’essere posta sulla soglia del libro di morte […]”. E concludeva: “Le sue poesie non sono abbozzi o accenni alle prose: stanno a tutta la sua opera di prosatore come Shemà sta a Se questo è un uomo, un grido di apertura che si vieta quello finale. Sono accordi di preludio e vogliono dire: Ascoltate, queste note vengono dalla nostra metà non raziocinabile. Si spengono subito e comincia il discorso implacabile della prosa e della ragione. Ma leggendo quest’ultimo non dimenticate mai la nota stridula, inspiegabile e irragionevole come l’esistenza, che ha preceduto il suo inizio”.

Questa le considerazioni di Fortini, ma è la riflessione proposta da Cesare Segre nel suo testo introduttivo a Romanzi e poesie, contenuto nel secondo volume delle Opere (Einaudi, Torino 1988) e riproposto nella raccolta Garzanti, a risultare condivisibile e illuminante. Segre sottolineava la necessità di scollegare questa poesia dalla lirica: non siamo di fronte a un poeta che parla con se stesso, scriveva, “al contrario abbiamo un messaggio rivolto ad altri, o in forma di ammonimento o in forma di apologo […] La novità espressiva non è mai nell’ambito della parola o della frase, ma in quella del discorso, rivelatore nei suoi accostamenti o nelle sue implicazioni. Le poesie sono quasi sempre indirizzate a un collettivo voi, che può anche includere tutti gli uomini, e si articolano sul succedersi di parallelismi e anafore, con una solennità antica. Il procedimento caratterizza le prime poesie […] ma torna fino all’ultimo. I materiali compositivi risalgono principalmente a due ambiti: quello dell’orrore, rappresentato da parole e locuzione del linguaggio del Lager, e quello della visione o dell’intelligenza più alta, tratto da libri sacri ebraici, o dalla prediletta Divina Commedia, di cui è nota la presenza salvifica anche in Se questo è un uomo: il poema è visto come un culmine espressivo, capace di dar parole di pensieri più alti come all’ineffabile infernale”. Più che in Se questo è un uomo, in Ad ora incerta “è netta l’universalizzazione dell’esperienza personale”, nell’onnipresenza del dolore. E Segre punta anche l’attenzione sulle origini “scientifiche” di certi versi, come in Sidereus nuncius dell'11 aprile 1984, dove ritroviamo Galileo "primo fra gli uomini", e ancora Nel principio Le stelle nere: “A Levi bastava la lettura di un’opera scientifica, o magari di un numero di Scientific American, per essere stimolato a riflessioni che coinvolgono tutto l’universo”.

Ho visto Venere bicorne

Navigare soave nel sereno.

Ho visto valli e monti sulla Luna

E Saturno trigemino

Io Galileo, primo fra gli umani;

Quattro stelle aggirarsi intorno a Giove,

E la Via Lattea scindersi

In legioni infinite di mondi nuovi.

Ho visto, non creduto, macchie presaghe

Inquinare la faccia del Sole.

Quest’occhiale l’ho costruito io,

Uomo dotto ma di mani sagaci:

Io ne ho polito i vetri, io l’ho puntato al Cielo

Come si punterebbe una bombarda.

Io sono stato che ho sfondato il Cielo

Prima che il Sole mi bruciasse gli occhi.

Prima che il Sole mi bruciasse gli occhi

Ho dovuto piegarmi a dire

Che non vedevo quello che vedevo.

Colui che m’ha avvinto alla terra

Non scatenava terremoti né folgori,

Era di voce dimessa e piana,

Aveva la faccia di ognuno.

L’avvoltoio che mi rode ogni sera

Ha la faccia di ognuno.

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