SOCIETÀ

Con gli occhi delle bambine

È stata presentata a pochi giorni dalla Giornata internazionale dei diritti dell'infanzia che si tiene il 20 novembre di ogni anno, l'undicesima edizione dell'Atlante dell'infanzia a rischio 2020 di Save the children, quest’anno intitolata 'Con gli occhi delle bambine'. La pubblicazione, curata da Vichi De Marchi e arricchita anche dai contributi di sette famose scrittrici, fotografa la condizione dell’infanzia in Italia dedicando un approfondimento al mondo delle bambine e delle ragazze.  

Iniziamo dal principio. In Italia nascono sempre meno bambine e bambini. Nel 2019 con 420.170 nuove nascite, record negativo per il settimo anno consecutivo, è stato segnato il valore più basso mai registrato in oltre 150 anni di unità nazionale. E se da una parte questo è dovuto al fatto che nel nostro Paese sono sempre meno le donne in età fertile, dall'altra dipende dalle scelte dei singoli e delle coppie che, per decidere se avere un (altro) figlio, devono prima fare i conti con la precarietà dell’occupazione, la scarsità di servizi, le insicurezze economiche che, come rileva il rapporto, pesano in particolare sulle giovani donne. A compensare tuttavia la scarsa natalità, sono i minori stranieri che oggi sono l'11% del totale. E non solo si nasce poco, ma si nasce anche piuttosto poveri. Da 2008, infatti, in Italia la povertà economica – misurata dall’Istat attraverso l’indicatore della povertà assoluta – è aumentata in modo esponenziale soprattutto nella fascia d’età 0-17 anni quadruplicando il suo valore in 12 anni (dal 3,1% del 2007 all’11,4% nel 2019). Il rischio di povertà è maggiore per le donne tra i 25 e i 54 anni e questo a causa di percorsi di vita segnati da bassa o nessuna occupazione, da salari inferiori (sia in media sia a parità di mansioni) e da pensioni più basse rispetto agli uomini. Un trend che torna anche nel mondo del lavoro dove il tasso di mancata occupazione tra i 15-34enni, che somma i disoccupati e chi non cerca un'occupazione ma è disponibile a lavorare (gli scoraggiati), è più elevato per le giovani donne. Tra i 25 e i 34enni, nel 2019, 334 mila giovani donne sono state definite “scoraggiate” contro 271 mila giovani. A queste si aggiungono 419 mila giovani donne che lavoravano in part-time involontario a fronte di 239 mila giovani maschi e un 40% di giovani occupate definite dall’Istat “sovra-istruite” contro il 35% dei coetanei maschi.

Nell’ambito della formazione, le ragazze sono più brave a scuola, falliscono meno e si laureano in numero maggiore rispetto ai maschi. Ed è grazie al titolo di studio che trovano lavoro, anche se in numero minore dei coetanei in possesso dello stesso titolo: -10% contro il -8% dei maschi (che guadagnano comunque il 19% in più). È proprio l’ingresso nel mondo del lavoro che evidenzia il crescere del divario di genere. Le lavoratrici con un diploma di scuola secondaria superiore sono infatti solo il 56%, a fronte dell’80% di occupati tra i diplomati della stessa fascia d’età mentre sono il 36% le donne che lavorano senza diploma superiore contro il 70% dei maschi.

E oggi il Coronavirus è un preoccupante acceleratore delle diseguaglianze. Con l’impennarsi delle povertà economiche in seguito alla crisi del 2008 e la sottovalutazione delle povertà educative concentrate in territori abbandonati, l’Italia ha guadagnato il triste primato anche per numero di 'neet' cioè di giovani che non studiano, non si formano, non cercano lavoro: nel 2019, i 'neet' tra i 15 e i 19 anni nel nostro Paese erano il 22% contro la media UE del 12,5%. E anche in questo il mondo femminile è un passo indietro: a livello nazionale si trova, infatti, nella condizione di non studio o lavoro o formazione circa una giovane su 4 (il 24%) a fronte di un giovane su 5 (il 20%). Sempre nell’ambito della formazione, l’Italia è uno dei Paesi europei con un tasso elevato di dispersione scolastica. Nel 2019 la percentuale di giovani che ha abbandonato gli studi è stata del 13,5% (561 mila giovani) e di questi l’11 % sono ragazzi e l’8% ragazze.

Il divario di genere nella composizione dei 'neet' è ancora meno comprensibile alla luce dei risultati scolastici delle ragazze, in media e ormai da tempo, più istruite dei coetanei maschi e con più diplomi in tasca. Ma l’istruzione non basta, sono pregiudizi e stereotipi a limitare gli orizzonti di ragazze e bambine, in particolare datori di lavoro che preferiscono assumere i maschi per scongiurare il rischio di prolungate assenze per maternità o per la cura dei figli, maggiori difficoltà di reinserimento nel mercato del lavoro delle giovani madri dopo il parto, la forte probabilità di accedere a professioni poco retribuite o di carattere precario.

Inoltre, tra gli stereotipi più condivisi in Italia, il fatto che debba essere l’uomo a provvedere alle necessità economiche della famiglia (27%), che per l’uomo più che per la donna sia molto importante avere successo nel lavoro (32%) e che sempre lui sia poco adatto ad occuparsi delle faccende domestiche. Anche da considerazioni come queste dipende la squilibrata ripartizione dei carichi di lavoro domestico tra donne e uomini occupati: 4 ore al giorno per le prime, quasi due ore per i secondi. Una sproporzione sostanziale che non riguarda solo gli adulti ma coinvolge anche figlie e figli minori.

Gli stereotipi di genere agiscono anche su quella che viene chiamata “segregazione formativa” che vede una presenza di massa delle ragazze nei percorsi formativi che hanno al centro le materie umanistiche e sociali ma solo in piccolissima parte nelle discipline scientifico-tecnologiche (STEM- Science, Technology, Engineering, Mathematics). Questa la situazione generale ed europea da cui si discosta leggermente l’Italia dove circa un quarto di tutti i laureati proviene dall’area tecnico-scientifica (37% del totale dei laureati) mentre le donne si attestano al 16,5%, contro una media europea del 12,5%. Una scelta, quella di preferire un percorso STEM, che è effetto di dinamiche culturali del passato difficili da abbandonare.

Per come appare nelle oltre 200 pagine del rapporto, quello riservato alle bambine e alle ragazze italiane di oggi è un percorso ancora tutto in salita; ancora più impegnativo se si considera che la pandemia da Covid-19 rischia in molti casi di compromettere le conquiste e i passi fino ad ora avanzati. Un percorso che bambine e ragazze sembrano però poter sostenere con maggior forza grazie alla capacità di resilienza dimostrata e alla spinta ad affrontare la realtà anche con meno risorse disponibili.

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