SOCIETÀ

Odio in rete. Il problema dello Zoombombing

L'odio in rete, purtroppo, non è una novità, e non lo sono neanche gli attacchi e le azioni di disturbo, da parte di gruppi di estremisti e di incitatori all'odio, che irrompono in eventi, manifestazioni e convegni per disturbare e seminare il caos.
In un periodo in cui le manifestazioni in presenza non sono possibili, e tutto è stato spostato online, anche la violenza e l'hate speech si stanno trasferendo sulle piattaforme di incontro virtuale, i cui sistemi di sicurezza, talvolta, non funzionano come dovrebbero. Il risultato di tutto questo è il fenomeno del cosiddetto “zoombombing”, definito come l'irruzione, da parte di individui o gruppi di disturbatori virtuali, spesso membri di gruppi estremisti, in ogni tipo di incontro online come conferenze, eventi, riunioni e anche lezioni scolastiche. Interrompere eventi virtuali è molto più facile e immediato rispetto a organizzare azioni di disturbo dal vivo, perché la rete dà a ognuno la possibilità di arrivare praticamente ovunque.

La pervasività e la frequenza di questo tipo di attacchi negli Stati Uniti è tale da preoccupare spesso gli organizzatori di eventi online e persino l'FBI, che a marzo ha diffuso un comunicato per segnalare il problema e spingere la popolazione a denunciare episodi di questo tipo. Come riporta il New York Times, inoltre, sono stati presi particolarmente di mira gli incontri degli alcolisti anonimi, che dovrebbero rappresentare dei luoghi sicuri per chi si sente vulnerabile, e che invece vengono periodicamente invasi da troll che mostrano immagini offensive, accompagnate da prese in giro e insulti.

Questo fenomeno non è estraneo neanche all'Italia, tanto è vero che nell'ultimo periodo abbiamo assistito a più di un episodio di questo tipo. Particolarmente grave è stato l'attacco compiuto da parte di un gruppo neonazista, i cui membri hanno fatto irruzione durante la presentazione online dell'ultimo libro della scrittrice Lia Tagliacozzo, urlando frasi di odio, insulti razzisti e mostrando immagini di svastiche e di Hitler.

Abbiamo approfondito le caratteristiche di questo fenomeno insieme al professor Davide Bennato, docente di sociologia dei media digitali all'università degli studi di Catania.

L'intervista completa al professor Davide Bennato. Montaggio di Barbara Paknazar.

Quali sono, per chi li compie, i vantaggi di questi raid telematici? Gli organizzatori di queste irruzioni riescono forse a ottenere una maggiore visibilità dei loro attacchi, quando questi sono virtuali?

In realtà no, nel senso che questo è semplicemente un nuovo modo per fare quello che è sempre esistito con la rete che è il trolling: disturbare e comportarsi in modo tale che la conversazione o il dibattito in corso siano interrotti o alterati da queste operazioni di disturbo”, risponde il professor Bennato. “Alcune volte, queste interruzioni sono semplicemente delle goliardate, un modo piuttosto adolescenziale per esprimere la propria presenza.
Nei casi un po' più gravi, invece, sono azioni politiche con lo scopo di mettere in discussione il relatore o la discussione nel suo complesso, che quindi assumono anche un valore di cyberbullismo e di violenza esercitata. Quindi bisogna sempre capire di che tipo di azione si tratta, se una goliardata o una manovra politica”.

È possibile delineare il profilo del “disturbatore tipo”, o almeno di un tipo di disturbatore? Oppure chiunque potrebbe essere un troll?

Non è possibile fare una profilazione sociodemografica di questi soggetti, perché questi possono essere di qualunque tipo e di qualunque estrazione sociale. C'è però la possibilità di fare una profilazione dal punto di vista delle azioni e delle intenzioni. Si tratta di solito di persone che non condividono il setting, la situazione di conversazione, la seriosità della conferenza, i temi trattati, le ideologie condivise o l'introduzione di alcuni relatori. Mi ha fatto riflettere il fatto che la maggior parte delle azioni di zoombombing di cui ho avuto testimonianza, come presentazioni di libri, dibattiti politici, e così via, erano rivolte alle donne: quindi a delle relatrici piuttosto che a dei relatori. Questo fa capire che le persone che vogliono criticare o disturbare il tranquillo svolgersi di questo tipo di interazioni, hanno delle motivazioni che sono legate al mancato riconoscimento della autorità dell'altro: non riconoscono un ruolo alla persona che sta parlando, non danno importanza né a lei né alla situazione, e si comportano di conseguenza”.

Come ci si difende allora? Come dovrebbe agire, per contrastare questo fenomeno, chi partecipa a degli incontri online, o a maggior ragione, li organizza?

C'è un modo per difendersi: bisogna studiare delle strategie per vincolare l'accesso a uno spazio virtuale e riconoscere il più possibile i partecipanti. Viene spesso fatta la raccomandazione, infatti, sia nelle policy delle aziende che organizzano incontri online, sia spesso anche nelle università, di diffondere il link tramite la posta elettronica, per avere un minimo di controllo delle persone che possono essere coinvolte. Meglio non diffondere i link di accesso sui social, a meno che non si voglia permettere un accesso indiscriminato, con la possibilità, però, che sia presente un pubblico di disturbatori e di troll.

Elaborare delle strategie di accesso può essere interessante perché è anche un motivo di engagement. Chi riceve un invito sulla casella di posta elettronica, invece, sarà motivato a cercare la mail con il link e a cliccarci sopra solo se l'argomento lo incuriosisce. Questo promuove una dimensione motivazionale: partecipa all'incontro chi ha l'interesse ad ascoltare e non disturbare.
Al contrario, se gira in rete un link a cui si può accedere molto facilmente, diventa semplice scrivere una frase inappropriata sotto un commento, o cliccare ed entrare in una manifestazione pubblica con un login anonimo per fare il troll o il disturbatore. Per questo, la strategia più opportuna è creare una dimensione simbolica di controllo di accesso: simbolica non perché è esclusiva, e permette l'accesso solo ad alcuni, ma perché coinvolge le persone tramite un invito”.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012