CULTURA

Palmaria, La Spezia: un’isola ex carcere molto importante e poco studiata

Se si osserva una carta delle acque marine intorno alla penisola italiana appare evidente come la maggior parte delle isole si trovi sul Tirreno, anche un poco sopra e profondamente sotto il mar Tirreno, piccole e grandi, da Palmaria a Lampedusa, in più punti della stessa longitudine, più o meno accanto allo stesso meridiano, meno di un’ora a est rispetto a quello di Greenwich. In Adriatico il numero è certamente maggiore ma molto lontane dall’Italia, nessuna davvero grande, tutte verso ovest, con le differenti parziali eccezioni della laguna di Venezia in Veneto e dell’arcipelago delle Tremiti in Puglia. L’uso antropico del “doppio isolamento” in uno o più momenti storici le riguarda comunque quasi tutte, il binomio isola - carcere è carattere diffusissimo nell’intero crogiuolo dei nostri mari. Domanda: potete segnalare un’isola o più isole abitata/e da Homo sapiens nel Mare Mediterraneo mai usata/e qualche tempo a scopo detentivi ()?

Palmaria è l'isola (piccola) più grande della regione ligure. Oggi (dal 1997) è patrimonio mondiale dell’Umanità dall’Unesco (insieme alle vicine mitiche Cinque Terre) e parco (“Parco Naturale Regionale di Porto Venere”, comprensivo di una piccola area marina protetta). Come altri ecosistemi analoghi, fu carcere e il suo uso detentivo non è stato finora molto studiato e citato. Eppure risulta rilevante, almeno nei due periodi in cui le forze armate italiane vi “chiusero” detenuti: civili dopo il 1860 e militari dopo il 1950. Vediamo innanzitutto bene di che isola si tratta. Siamo all’interno dell’arcipelago spezzino, comune di Porto Venere a sud-ovest del golfo di La Spezia, la provincia più a est della Liguria, al confine con la Toscana, in cima al Mar Tirreno. Le tre isolette sono contigue, sembrano una matrioska che via via si rimpiccolisce da nord a sud: Tinetto minuscola a sud, Tino decisamente meno di un chilometro quadrato, infine Palmaria, poco più grande, nemmeno due chilometri quadrati, 189 ettari.

L'isola ha forma triangolare: i due lati che si affacciano verso nord, comune e golfo, sono quelli più antropizzati e in parte degradano abbastanza dolcemente sino al livello del mare, ricoperti dalla tipica vegetazione mediterranea (nel passato anche molti vigneti e uliveti). Il lato dell'isola rivolto a ovest, verso il mare aperto, è invece caratterizzato da impervie falesie a picco sull'acqua, con alcune grotte come quella Azzurra, visitabile in barca, e quella dei Colombi, raggiungibile dall’alto calandosi con le corde e al cui interno furono ritrovati fossili di animali del Pleistocene e di sapiens del Neolitico (datati circa cinquemila anni fa). L’uso di fortificazione sistematica è ovviamente connesso alla collocazione geografica, e inizia forse nel dodicesimo secolo, quando la Repubblica di Genova creò a Porto Venere un insediamento mirante al dominio dell'estremo levante ligure e lo volle proteggere da assalti provenienti dal mare e da terra, munendolo di una cinta muraria e di una fortezza evolutasi nel tempo fino all’imponente aspetto rinascimentale che attualmente presenta.

La notevole vicinanza dell’isola con la costa e il clima mite (scarsa escursione termica, pur con venti forti e piogge) hanno comunque sempre consentito il passaggio nell’ecosistema insulare di individui di molte specie e anche l’antropizzazione civile (meno sul lato orientale), con relativo crescente impatto sulla flora e sulla fauna (alla fine degli anni Sessanta vi furono pure trasferiti addirittura moltissimi dei troppi gatti presenti nel capoluogo cittadino). Venerio, il patrono del golfo e dei fanalisti (custodi dei fari), accostato a molte leggende e tradizioni locali, vi nacque nel 560 d.C., divenne monaco cristiano, probabilmente proprio sull’allora monastero dell’isola (non restano tracce, nemmeno del successivo piccolo borgo abitato sullo stesso punto), fu abate in zona e in Corsica, vi tornò definitivamente nel 610 per essere solo eremita, soprattutto in assoluto romitaggio sull’isola di Tino dove condusse vita ascetica per il resto dei giorni, fin circa al 630.

Sono rimarchevoli e significativi altri eventi e personaggi legati all’isola di Palmaria in quel contesto geografico e sociale (frequenti le pericolose scorribande di navigatori e pirati provenienti da lontano con proprie lingue e religioni, ai primi del dodicesimo secolo fu ceduta alla Repubblica di Genova dalla famiglia aristocratica dei Signori di Vezzano, durante il successivo periodo delle guerre tra genovesi e pisani subì ripetute devastazioni, e via così), pur se la storia moderna e contemporanea di Palmaria è caratterizzata soprattutto dalle cave e dalle armi: l’antica funzione cruciale, prevalente e in parte perdurante, dell’isola è collegata agli usi militari di difesa della costa italiana, all’interno dei quali sono pure serviti carcere e carcerati e accanto ai quali restava comunque un nucleo ristretto di residenze civili.

Nei secoli scorsi erano proficuamente attive le cave di “portoro”, il caratteristico marmo pregiato nero con chiare screziature giallo/dorate, rimaste operative fino a pochi decenni fa (1983), le visitò il re Carlo Alberto nel 1837. Comunque, il problema della difesa armata della costa preesisteva e fu nel 1808, durante il periodo napoleonico della Repubblica Ligure, che prese corpo l'ipotesi di edificare un fortilizio a protezione e dominio dell’isola e dell’arcipelago, un primo abbozzo fu disegnato da un generale francese. Tuttavia, il progetto iniziò a concretizzarsi soltanto più tardi, con l'avvento del Regno di Sardegna, che nel 1849 incaricò un'apposita commissione, impegnata a studiare, tra l'altro, il trasferimento dell'attività militare della Marina da Genova a La Spezia (avvenuta con la costruzione del famoso apposito Arsenale).

Il primo forte a Palmaria fu edificato nel 1860 durante il terzo governo (all’inizio sabaudo) del conte Camillo Benso di Cavour, che fu anche il governo che portò alla progressiva unificazione dell’Italia e che continuò dopo l’elezione del nostro primo Parlamento all’inizio del 1861. L'evolversi dell'architettura militare e dei vari armamenti modificarono, nel tempo, sia il progetto che la struttura primaria di Forte Cavour. Prevista come una fortezza a due piani circondata da un fossato e da due cavalieri (alti bastioni), di levante e di ponente (da disegno napoleonico), fu invece edificato in un unico piano con un fronte di 450 metri, mantenendone la capienza prevista di 330 uomini. Nel 1880 alla struttura venne aggiunta una batteria armata di cannoni di 6 obici da 28 cm (contro eventuali assedi), a cui si aggiunsero poi un'altra batteria agli inizi del XX secolo (obici da 305/17) e postazioni antiaeree negli anni trenta. Dopo il 1860 e soprattutto nel 1870 accadde che furono via via trasferiti sull’isola complessivamente migliaia di carcerati per i pesanti lavori forzati della sua costruzione. Oggi la fortezza è in stato di abbandono e degrado, l’area è sempre restata militare e non è visitabile.

Nel periodo della progressiva unificazione dell’Italia vecchio e nuovo Regno decisero, in realtà, di militarizzare l’intero golfo con strutture e imbarcazioni navali, la stessa città di La Spezia inizia a quel punto la sua storia di forte urbanizzazione militare e, conseguentemente, civile e infrastrutturale. Per costruire edifici e imbarcazioni “fortificati”, la forza lavoro fu soprattutto quella dei detenuti, a loro si debbono imponenti mura e forti dell’isola di Palmaria, avamposto marino di controllo e difesa. Così, nei decenni successivi all’unità, l’isola fu sempre più occupata da forze armate e si aggiunsero altre strutture, come la Batteria Fortificata Umberto I (poi riadibita a carcere nel 1950 per qualche anno, oggi “Fortezza del mare”). La costruzione avvenne tra il 1887 e il 1890 come batteria “bassa, a 30 metri sul livello del mare. Vi erano ovviamente vari edifici connessi come la casa del Direttore del Carcere sulla Punta della Scola. La scelta di istituirvi un carcere militare fu conseguente alla fuga di alcuni detenuti dal vicino carcere (terrestre) di Sarzana. Il posto era adatto.

A fine Ottocento la scoscesa propaggine montuosa di Palmaria che scende al mare viene in parte sbancata per costruire l’insediamento fortificato, in modo da fondersi con lo sperone roccioso: le strutture seguono l’andamento del terreno, nascoste in una nicchia, praticamente invisibili dal mare. Anche da terra il forte risulta difficilmente aggredibile o “fuggibile”, mostrando solamente due lati esposti ad eventuali attacchi. I meccanismi per lo spostamento degli armamenti erano coadiuvati da un impianto a vapore, furono spesi quasi dieci milioni di lire dell'epoca. Negli anni Trenta viene aggiunta una batteria antiaerea (Schenello) attorno alla preesistente cupola. Oggi il forte è stato recuperato e restaurato con fondi europei, gestito dalla Fondazione Marenostrum (fondata nel 2002), ed è divenuto sede di un centro culturale legato al mare con spazi espositivi, congressuali e laboratori didattici nel campo dell'archeologia subacquea e delle scienze marine; vi si possono pure celebrare matrimoni, ospitare convegni, mostre ed eventi.

Sulla parte più alta di Palmaria (188 metri slm) è poi situata la terza batteria, che anticamente era una torre in pietra a sezione circolare, per avvistamento ed eventuale allarme contro invasioni dal mare. Nel 1890 vi fu costruita una fortificazione “alta” per la difesa esterna del golfo, in modo di poter colpire i ponti delle navi nemiche con il tiro curvo dei sei obici. L'edificio ha pianta quasi rettangolare e si sviluppa a livello del piano cortile ad eccezione di pochi locali al seminterrato sul fianco sinistro. La Marina Militare vi installò poi una vera e propria Stazione semaforica che diede il nome al sito, Batteria del Semaforo, per il controllo del traffico navale civile e militare. I dati meteomarini osservati e registrati dal 1932 al 1962 (quando fu smantellata) sono risultati di fondamentale importanza per determinare le previsioni dello stato del mare (pubblicati dall’Istituto Idrografico della Marina). Recentemente è stata restaurata e adibita a Centro di Educazione Ambientale, accanto a un ostello (presso quella che fu la Batteria Sperimentale della Marina).

L’utilizzo forzato dei detenuti per lavori pubblici, in particolari militari (maggiori livelli di controlli e sicurezza) è stato diffusissimo nei secoli scorsi, potremmo dire in parallelo con l’abolizione della schiavitù, col senno di poi. Riguardò vari paesi e innumerevoli costruzioni (lo stesso Arsenale di La Spezia), così come nel tempo aveva frequentemente riguardato l’antropizzazione nelle isole. Un po’ come per gli insediamenti civili nei cantieri attuali, anche a Palmaria venne organizzata per alcuni anni una colonia penale, i detenuti furono proprio trasferiti sull’isola, pare che l’imbarcazione per il trasporto si chiamasse “Palmaria”. Guardie e carcerati dormivano all’interno dei rispettivi alloggi collettivi, al chiuso, vi sono ancora i resti di celle e ceppi. Era un uso “ufficiale”, andavano coinvolte sia le strutture del Ministero competente all’amministrazione della giustizia, sia spesso le ditte private che attivavano contratti di “affitto” rispetto ai prigionieri.

Oggi a Palmaria possiamo andare tutti, nella buona stagione e soprattutto nei caldi mesi estivi si riempie di bagnanti ed escursionisti, mezzora di traghetto dal porto di La Spezia (12 euro circa andata e ritorno), pochi minuti da Porto Venere (cinque euro). Il mare è stupendo; una volta sbarcati non attendetevi nulla di lucido o lussuoso, è meraviglioso turismo naturalistico “eroico” quel che si pratica (come per la gestione delle vigne liguri): vi sono due spiagge sassose (Punta Secco e Pozzale), qualche attrezzatura ma prevalentemente libere; si può mangiare, vi sono quattro o cinque trattorie; si può dormire alla locanda o in ostello; si può ormeggiare (i beati); si può girare con il dovuto abbigliamento per sentieri impervi e punti panoramici, andando verso l’alto o girandole intorno fin dove si riesce. Restano per altro, residui del passato (pure carcerario) e vi è ancora una certa presenza militare, quella visibile talora funzionale a periodi di caute vacanze del personale di Marina e Aeronautica.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012