Sofocle scrive nell’Antigone che “non esiste una città abitata da un solo uomo”: un concetto ancora di grande interesse e attualità anche per quanto riguarda le prime risultanze circa l’insorgenza e la diffusione di infezioni, come quella dovuta al nuovo coronavirus (SARS-CoV-2). La grande attenzione rivolta ai fenomeni e alle cause di diffusione del contagio non può far passare in secondo piano un ulteriore importante aspetto, che è quello della “dose infettante”. Non è infatti sufficiente, affinché un soggetto si infetti, che venga in qualche modo a contatto con il virus: è anche necessario che un quantitativo minimo di virus attivo superi le difese del suo organismo e penetri all’interno di esso. Ad esempio in agenti patogeni quali Salmonella ed Escherichia coli il numero di microrganismi costituenti la dose infettante è superiore a 100.000.
Per quanto riguarda invece i meccanismi di diffusione del contagio, la trasmissione aerea per diversi virus respiratori che sono agenti eziologici di alcune malattie, come ad esempio la Severe Acute Respiratory Syndrome (SARS), la Middle East Respiratory Syndrome (MERS) e l’H5N1 (influenza aviaria), è stata riconosciuta come una delle principali vie di diffusione degli stessi. Simili modalità di diffusione sembrano valere anche per il SARS-CoV-2, causa della pandemia attualmente in corso, come riscontrato tra gli altri da WHO, National Research Council e Dyani Lewis su Nature.
In particolare ci sono conferme sperimentali che individuano quali vettori o substrati (“carrier”) per la diffusione aerea del SARC-CoV-2 aerosol e goccioline (“droplet”) prodotti da individui infetti tramite tosse, sternuti, l’atto del parlare e la respirazione, ovviamente con intensità differenti. Lavori recenti hanno dimostrato che in condizioni controllate di laboratorio il virus può permanere nelle suddette goccioline per qualche ora, mentre tempi di permanenza fino a 72 ore sono stati riscontrati su diverse tipologie di superfici plastiche e metalliche. Tale tempo di permanenza potrebbe variare notevolmente in ambiente esterno anche in relazione alle specifiche condizioni meteorologiche (temperatura, umidità, raggi ultravioletti, altri agenti ossidanti, etc.).
L’evidenza scientifica della presenza di SARS-CoV-2 in aerosol è stata riscontrata all’interno dei reparti di due ospedali di Wuhan dove erano ricoverati pazienti affetti dal virus. Gli autori di quest’ultimo studio concludono che la ventilazione degli ambienti e gli spazi aperti inducono la riduzione della possibilità di diffusione del virus e quindi del contagio. Risultati simili sono anche riportati in un recente studio riferito alle stanze di isolamento dell’ospedale universitario del Nebraska dove erano ricoverati 13 pazienti affetti da SARC-CoV-2.
“ Il virus è presente su polveri e droplet, ma forse non in quantità sufficiente per infettare
Lo stato attuale delle conoscenze in merito alla trasmissione aerea indica una probabilità bassa che ciò avvenga in ambienti aperti mentre questa sembra essere più elevata in ambienti chiusi, in particolare negli ospedali o in altri luoghi dove i pazienti sono messi in quarantena o siano presenti casi di infetti asintomatici. Inoltre, Daniele Contini e Francesca Costabile dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (ISAC-CNR) evidenziano che all’aperto risulta essere molto poco probabile che il numero di virus SARS-CoV-2, se presenti, penetrino nell’organismo mediante la respirazione raggiungendo la dose infettante, ulteriore condizione necessaria affinché si possa avere diffusione dell’infezione.
Al di là delle reali conseguenze ai fini della diffusione del contagio, appare comunque plausibile che il virus possa essere trasportato (in forma attiva o non attiva) anche dalle polveri presenti nell’aria degli ambienti esterni: si giustifica quindi la necessità di ulteriori attività di ricerca scientifica finalizzate a verificare e comprendere meglio tale fenomeno.
Per quanto riguarda, invece, il possibile legame fra l’eventuale presenza di SARS-CoV-19 nelle polveri sottili dell’aria esterna e la diffusione del contagio, l’attività di ricerca richiede un approccio integrato e multi-disciplinare in grado di tenere in debito conto una molteplicità di fattori, fra i quali anche quelli cosiddetti confondenti che spesso, se trascurati, possono portare a risultati e conclusioni errate.
A oggi quest’ultimo aspetto non risulta essere stato ancora adeguatamente affrontato (secondo quanto rilevato nel 2020 da Società Italiana di Aerosol, Rete Italiana Ambiente e Salute, Caserini et al.), per cui si ritiene utile fare alcune considerazioni circa gli approcci metodologici, con particolare riferimento a quello statistico, necessario per poter associare ai risultati ottenuti la corretta significatività.
Inferenza statistica
La statistica è uno strumento estremamente potente per analizzare dati di sistemi complessi; tuttavia l’interpretazione dei risultati può portare a conclusioni errate o logicamente deboli a volte per scelta deliberata, a volte per l’utilizzo di un approccio metodologico non corretto.
In questa seconda specie possono rientrare alcune conclusioni caratterizzate da una non sufficiente investigazione del nesso di causa-effetto e dalla non considerazione di fattori rilevanti che possono influire sulle manifestazioni osservate del fenomeno in studio.
Occorre qui richiamare per sommi capi le differenze tra associazione, correlazione e causalità di fenomeni. Il termine associazione dovrebbe essere riferito a una generica relazione tra variabili, tra le quali si osservano variazioni concomitanti. Correlazione è un termine per esprimere in modo più specifico, ancorato a precise definizioni statistiche, una possibile relazione: ad esempio nello studio di un dato fenomeno si osserva una correlazione lineare positiva o negativa tra due o più variabili. Il nesso di causalità tra due o più variabili presenta una specificità e una caratterizzazione ancora maggiore rispetto ai concetti di associazione e di correlazione, in quanto prevede che la variazione di una variabile determini in modo causale la variazione di una o più variabili. In sintesi, la correlazione implica associazione, ma non causalità; la causalità implica associazione, ma non correlazione.
“ In statistica correlazione implica associazione, ma non causalità; la causalità implica associazione, ma non correlazione
Laddove si assuma una mera associazione o correlazione tra concentrazione di particolato (variabile X) e numero di contagiati (variabile Y), ciò non può essere interpretato aprioristicamente come relazione causa-effetto (X causa Y), perché si trascurerebbero altri fenomeni. Ad esempio il numero di contagiati potrebbe essere causato da un terzo fattore (variabile Z) o, come spesso accade, da altri molteplici fattori (variabili V, W…), e l’inquinamento atmosferico potrebbe avere il ruolo di amplificatore (“boost”) degli effetti del virus su un sistema respiratorio già indebolito dalla presenza, per esempio, delle polveri sottili.
Assunzioni metodologiche simili a quella su descritta, tra l‘altro già riportate in letteratura, deviano il giudizio (in inglese “cognitive bias”) verso conclusioni logicamente deboli e molto probabilmente non corrette. Senza entrare nello specifico sulla tematica della relazione causa-effetto, si segnala che appropriate metodologie possono essere desunte da scienze come l’environmental forensic o l’epidemiologia, dove la ricerca delle cause e/o concause di uno specifico incidente/malattia è uno degli obiettivi principali. In particolare gli studi epidemiologici non possono prescindere da una attenta analisi anche di tutta una serie di fattori cosiddetti confondenti.
Le cause che possono portare alla diffusione di certe malattie sono sempre molteplici e spesso legate anche a fattori di tipo sociale, economico e culturale. Per esempio la maggiore presenza di attività economiche ed industriali in talune aree rispetto ad altre, la maggiore circolazione di merci e traffico veicolare, sono tutti fattori che possono influire sia sull’inquinamento atmosferico ma anche sulla maggiore permanenza di individui in luoghi chiusi per lo svolgimento della loro attività (minore distanziamento sociale). Questi ed altri fattori devono essere attentamente analizzati e correlati al fine di poter stabilire eventuali nessi di causalità.
Conclusioni: manca ancora l’evidenza scientifica ma si continua a investigare
Sulla base di quanto emerso dall’analisi della letteratura scientifica, a tutt’oggi non esiste una evidenza scientifica di una possibile diffusione del contagio da SARS-CoV-2 tramite il particolato atmosferico. Risulta sicuramente necessaria una ulteriore attività di ricerca al fine di meglio definire e comprendere il ruolo che il particolato atmosferico potrebbe a tale fine avere.
L’approccio scientifico e metodologico da utilizzare dovrà inevitabilmente essere caratterizzato, vista la complessità dei fenomeni analizzati, da una forte multidisciplinarietà e dovrà altresì includere anche una attenta analisi di tutti quei fattori confondenti al fine di evitare di addivenire a conclusioni sbagliate e/o parziali.
Inoltre, considerato il notevole impatto sociale ed economico che ha la conoscenza ma anche la comunicazione che ha ad oggetto la diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2, è quanto mai utile un forte richiamo al senso di responsabilità evitando la diffusione di notizie non ancora supportate da una comprovata evidenza scientifica.
Nota
L’articolo è frutto della collaborazione tra Alberto Pivato (Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale - ICEA, università di Padova), Vincenzo Baldo (Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica, università di Padova), Giovanna Cappai (Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Architettura - DICAAR, università di Cagliari), Francesco Di Maria (Dipartimento di Ingegneria, università di Perugia), Gianni Formenton (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente - ARPAV), Andrea Marion (Dipartimento Di Ingegneria Industriale - DII, università di Padova), Stefano Vanin (Dipartimento di Scienze della Terra, dell'ambiente e della Vita - DISTAV, università degli Studi di Genova) e Tiziano Bonato (esperto chimico).