SOCIETÀ

Qualcosa sta cambiando? Le parole del papa e il mondo LGBT*

Non smettono di piovere reazioni per alcune frasi del papa a proposito delle unioni civili e i legami tra persone omosessuali finite in un documentario presentato alla Festa del Cinema di Roma di quest’anno. Il film del regista russo Evgeny Afineevsky si intitola semplicemente Francesco ed è realizzato attraverso il montaggio di materiali di repertorio. Tra questi, uno stralcio di un’intervista realizzata da Valentina Alazraki per la televisione messicana Televisa, in cui il papa dice che «le persone omosessuali hanno il diritto di essere in una famiglia. Sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo. Ciò che dobbiamo creare è una legge sulle unioni civili. In questo modo sono coperti legalmente». Parole inequivocabili, che vanno in direzione contraria all’immagine che normalmente abbiamo del mondo cristiano, e di quello cattolico in particolare. Parole per le quali la reazione più forte è probabilmente il silenzio della Chiesa stessa: papa Francesco non è stato smentito.

Il sorprendente estratto

Nel 2019, Televisa non ritenne una notizia quelle frasi che oggi fanno tanto discutere, tanto che nella versione andata in onda nel 2019 furono tagliate. La stessa emittente in questi giorni ha ribadito che il focus dell’intervista erano gli abusi sessuali del clero e non considerava quelle frasi come interessanti perché Francesco aveva già ribadito in altre occasioni che sosteneva le unioni civili. Insomma, non c’era niente di nuovo. Nel frammento, riemerso solamente ora perché inserito nel film di Afineevsky, il papa parla in particolare della necessità di una legge che tuteli le coppie omosessuali. Come succede in Argentina dal 2010, con il matrimonio egualitario, e dove le uniones civiles sono state approvate a Buenos Aires già nel 2002, quando proprio il cardinale Bergoglio le sosteneva come sembra fare oggi da papa. Un commento, quello emerso in questi giorni, che è stato  preso da alcune parti, soprattutto dai mezzi di comunicazione più mainstream, come un’apertura papale al mondo LGBT.

È lo stupore, quindi, la prima reazione di Arcigay nazionale. In un comunicato ufficiale il segretario Gabriele Piazzoni parla di «una gradita sorpresa». Ma non basta per annoverare il papa tra i paladini dei diritti civili delle persone LGBT: «In Italia quella legge è giunta dopo anni di battaglie delle persone lgbti per il matrimonio egualitario e vogliamo puntualizzare, senza arroganza e con benevolenza, che sono state quelle battaglie innanzitutto ad aver prodotto quella vittoria». La battaglia oggi si è già in parte spostata sulla legge contro l’omolesbobitransfobia, il tanto discusso ddl Zan che si discute in questi giorni in Parlamento, e che è una necessità per questo paese, come dimostrano i numeri della violenza contro le persone LGBT.

Netta separazione tra religione e stato è quello che vorrebbe anche Omphalos, associazione LGBTI di Perugia, che per voce del proprio presidente Stefano Bucaioni ricorda come «in uno Stato laico, le parole di un capo religioso non dovrebbero avere peso nel percorso legislativo». Libera Chiesa in libero Stato, ricordando una frase di Charles Forbes conte di Montalembert usatissima da Cavour nel secolo passato. «Il papa, i vescovi, i cardinali non sono gli interlocutori delle nostre lotte per i diritti civili», dice Bucaioni. Motivo per cui Omphalos, a differenza di Arcigay nazionale, non ha ritenuto fare una dichiarazione ufficiale. Però secondo Bucaioni il problema, in modo almeno in parte controintuitivo, non è della Chiesa, ma della politica «che si deve spogliare dell’influenza religiosa, di tutte le religioni, per svolgere al meglio il proprio compito».

 

Le persone omosessuali hanno il diritto di essere in una famiglia. Sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo. Ciò che dobbiamo creare è una legge sulle unioni civili. In questo modo son Papa Francesco

Il contesto

Ma cosa succede attorno a Francesco che fa queste dichiarazioni? È vero che il papa ha già più volte parlato delle persone LGBT con toni di accoglienza e comprensione. È successo, per esempio, nel 2013 in una famosa chiacchierata informale con i giornalisti sul volo di rientro da Rio de Janeiro. All’esplicita domanda su come intendesse affrontare la  “lobby gay”, Francesco rispose citando l’inizio del secondo capitolo della Lettera ai Romani di San Paolo: “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?”.

Ma è lo stesso papa che nel 2016, nel mezzo del dibattito italiano intorno alla legge Cirinnà che ha introdotto le unioni civili, ha ricordato che «non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione». Lo ricorda a caldo, rispetto alla presunta apertura di questi giorni, Francesco Colombrita sul sito de La Falla, l’almanacco del Cassero LGBT Center di Bologna: «in quella dichiarazione risiedeva tutta la retorica del conservatorismo cattolico, e pescato a piene mani dalle destre, che vuole una scissione simbolica e quindi sostanziale tra il concetto di famiglia come composta da un uomo e una donna rispetto a ogni altra forma di legame». Legame che si rende particolarmente evidente, per esempio, in un contesto come quello polacco, in cui alcune regioni si dichiarano “LGBT-free” e dove il governo annuncia in questi giorni di voler scendere in campo contro l’aborto “per difendere le chiese”. Una posizione non sgradita allo stesso Francesco, che non più tardi di un mese fa chiedeva ai legislatori di fare un atto di coscienza sul tema e benediva, ai margini di un’udienza ufficiale, la campagna polacca 'La Voce dei non Nati'.

Sempre sul fronte della Chiesa cattolica, inoltre, Francesco deve affrontare diverse fronde interne. Una, per esempio, è quella della diocesi di Essen, in Germania, dove da qualche tempo si sta svolgendo un sinodo - dovrebbe concludersi nel febbraio del 2022 - che vuole cambiare il modo in cui la Chiesa si relaziona con il mondo LGBT. «La Chiesa si allontani dalla terminologia “morale sessuale”», ha dichiarato la direttrice della diocesi Claudia Fockenberg, «e la ridefinisca per accettare la sessualità di tutti gli individui. È un bisogno fondamentale e un diritto di tutti». Una posizione progressista, pluralista che trova eco nelle parole dell’arcivescovo di Amburgo, Stefan Hesse, che auspica anche un cambiamento del catechismo della Chiesa cattolica, eliminando l’idea di peccato dal rapporto sessuale tra persone dello stesso sesso. Ma che cozza con l’omofobia diffusa all’interno del mondo cattolico e con il dettato della dottrina

La Chiesa si allontani dalla terminologia “morale sessuale” Claudia Fockenberg, direttrice della diocesi di Essen, Germani

A cominciare dall’Humana persona, il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1975 - e mai contraddetto nella sostanza - in cui si legge che gli omosessuali «sono definitivamente tali per una specie di istinto innato o di costituzione patologica, giudicata incurabile» e la «loro colpevolezza sarà giudicata con prudenza; ma non può essere usato nessun metodo pastorale che, ritenendo questi atti conformi alla condizione di quelle persone, accordi loro una giustificazione morale».

Certo, siamo in un contesto precedente alla dichiarazione del 1993 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità secondo cui l’omosessualità non è una malattia psichiatrica. Ed è pur vero che nello stesso documento della Congregazione si può leggere una parziale apertura perché gli «omosessuali devono essere accolti con comprensione e sostenuti nella speranza», ma rimane fermo nella condanna e nella colpa del peccato. Stesse posizioni che si rispecchiano anche nel Catechismo ufficiale della Chiesa cattolica approvato durante il papato di Giovanni Paolo II, con Joseph Ratzinger come Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Sembra, insomma, che le ultime dichiarazioni di papa Francesco esplodano in uno scenario tutt’altro che uniforme, ma in un perpetuo movimento di forze che tirano e spingono in direzioni diverse, come testimoniano le esperienze delle associazioni LGBT di credenti.

Mara e Agostinello

«Quando nostro figlio, il maggiore di quattro, si è dichiarato gay, noi ci siamo trovati in una situazione difficilissima, in cui dovevamo scegliere tra lui e la dottrina della Chiesa». Si emoziona ancora oggi Mara Grassi, mamma cattolica e credente di un figlio oggi quarantenne che dopo il coming out, a un certo punto decide di andare via di casa «perché non riusciva più a vedere la mia faccia triste e a sentirsi in colpa come causa della mia sofferenza». Assieme al marito Agostinello Usai sono vicepresidenti della Tenda di Gionata, un’associazione che raccoglie genitori e persone LGBT credenti. 

Ci siamo trovati in una situazione difficilissima: dovevamo scegliere tra nostro figlio e la dottrina della Chiesa Mara Grassi e Agostinello Usai, La Tenda di Gionata

Storie di figli che se ne vanno perché non accettati, perché “sbagliati” rispetto alla fede in cui sono stati cresciuti, sono per Grassi e Usai il primo pensiero rispetto alle parole di Francesco. Il primo diritto di una persona che si scopre gay, lesbica o transessuale è quello di restare nella propria famiglia, di essere amati come figli, «perché non sono figli sbagliati, sono tutti figli di Dio». Inoltre, le unioni civili di cui ha parlato il papa, anche se non potranno mai sostituire l'istituto del matrimonio, sono una forma di tutela e riconoscimento per le relazioni omosessuali che anche la Chiesa deve prendere in considerazione e sostenere perché il mondo è cambiato rispetto a quando è stata messa nero su bianco la dottrina. «Mi sono chiesta», prosegue Grassi, «se fosse mio figlio o la dottrina a essere sbagliata, e mi sono rigirata in testa una frase di un teologo - Aristide Fumagalli - secondo cui la dottrina non è un monolite che non si può cambiare, ma deve essere al servizio dell’uomo». Non è stato un percorso semplice, perché Grassi e Usai, fermi nella loro fede cattolica, si sono ritrovati nel silenzio degli amici di una vita, che non capivano e non riuscivano ad accettare. Ma, nello spirito del Concilio Vaticano II, che «ha identificato la Chiesa nel popolo di Dio», e non nei suoi apparati, «ho capito che la Chiesa deve amare ogni uomo e ogni donna, e non può negare a nessuno il diritto di essere felice».

Il loro racconto sembra dare un peso maggiore al riferimento all’accettazione e alla comprensione che appare in documenti, come l’Humana persona, che oggi paiono almeno in parte fuori sincrono rispetto alla contemporaneità. È come se la loro testardaggine, quella che li fa dire «siamo parte della Chiesa, vogliamo continuare a esserlo e nessuno ci può buttare fuori», fosse talmente travolgente da allargare come un cuneo quello che sembra solo una piccola breccia quasi invisibile. La stessa che è stata - a loro avviso - ulteriormente allargata dalle parole di Francesco. 

Un futuro plurale?

Certo, sembra impossibile per ora che si possa realizzare il sogno di Grassi e Usai di una lotta comune tra mondo dei credenti (omosessuali o meno) e quello della galassia di associazioni LGBT. Eppure la richiesta di laicità dello Stato sottolineata da Bucaioni di Omphalos, riecheggia anche nelle posizioni della Tenda di Gionata: non dovrebbe essere la morale cattolica, o di nessun’altra religione, a dare forma alle leggi dello Stato. Rimane una distanza forse difficile da colmare con chi ritiene che stare dentro la Chiesa significhi legittimare anche ogni azione del suo passato. Oppure non riconoscere che dentro alla Chiesa esistono posizioni diverse, molto più articolate e complesse.

Allo stesso tempo, non si può isolare un segmento del corpo della Chiesa e spalmarne i meriti su tutte le altre parti. Continuano a esistere istanze morali - fine vita e aborto, giusto per citarne due che sono state al centro di dibattiti negli ultimi anni - che godono di larga accettazione interna e che sono difficilmente conciliabili con una visione laica, libertaria e basata sull’autodeterminazione dell’individuo. Rimane anche il silenzio di fronte a chi sfrutta la Chiesa e le sue posizioni per altri scopi, politici e utilitaristi, utilizzando rosari e croci come simboli identitari divisivi. 

La parole di Francesco, pronunciate in un contesto che non fa presagire un cambiamento della dottrina a breve termine, sono però il segnale che rispetto ad altri esponenti della Chiesa, questo papa è più attento al dibattito contemporaneo e ai mutamenti nella sensibilità del proprio popolo. Hanno avuto probabilmente il merito di dare sollievo immediato a chi nella fede ha vissuto la propria condizione di gay, lesbica o transessuale con sofferenza. Non cancellano il catechismo e i dogmi, non lasciano intravvedere una Chiesa in cui le coppie LGBT saranno parte della "normalità", ma sono il barometro che qualcosa sta cambiando anche dentro al mondo cattolico e alla cristianità, magari con tempi lunghi o lunghissimi. E forse non per forza in linea retta.

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