SCIENZA E RICERCA

Quasi mezzo secolo fa, i primi movimenti per l’ambiente

Il 22 aprile del 1970, milioni di persone scesero in piazza per protestare contro gli impatti sull’ambiente e sulla salute umana di quasi due secoli di sviluppo industriale. Negli Stati Uniti e in tutto il mondo, dove intanto nascevano grandi movimenti di massa per la protezione dell'ambiente, cresceva l’evidenza scientifica degli effetti dello smogsulla salute umana, dei ritardi nello sviluppo dei bambini legati all'inquinamento atmosferico, del declino della vita animale e vegetale e degli habitata causa dell'uso massiccio di pesticidi e altri inquinanti.  Sempre negli Stati Uniti, nel 1962, la biologa Rachel Carson pubblicò Primavera Silenziosa, un libro destinato a cambiare la percezione del rischio ambientale. Carson aveva identificato il rischio legato all’uso di pesticidi in nome della cosiddetta "Rivoluzione Verde” (che aveva aperto le porte alla meccanizzazione agricola, alle monoculture, all'impiego di genotipi selezionati e omogenei ottenuti dal miglioramento genetico, all'impiego di fertilizzanti e pesticidi di sintesi). 

La consapevolezza ecologica globale stava crescendo e il Congresso e l’allora presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, avevano reagito favorevolmente e rapidamente a questi movimenti.  Nel luglio del 1962 gli USA fondarono l'Environmental Protection Agency (EPA), un’agenzia governativa con funzioni di regolazione. Quattro anni dopo l’EPA emanò alcune storiche leggi ambientali, come il Clean Water Acte la Endangered Species Act, che hanno aperto la strada ad analoghe iniziative legislative anche in Europa.  In Italia, nel 1966 nasceva la sezione nazionale del WWF e nell’estate del 1970 il pretore Adriano Sansa, per la prima volta nella storia del nostro Paese, proibiva di fare il bagno in tratti della riviera ligure perché inquinati. 

Da allora la consapevolezza ambientale tra i cittadini del mondo è aumentata.  Come pure, purtroppo, i problemi ambientali. 

Oggi, Earth Day

Per sensibilizzare i cittadini e aumentare la consapevolezza ambientale ogni anno, il 22 aprile, viene celebrata la Giornata Mondiale della Terra, la più grande giornata di mobilitazione del pianeta. Quest'anno circa un miliardo di persone, in 192 nazioni, parteciperà alle iniziative dell'Earth DayMolti giovani e giovanissimi, quest'anno galvanizzati dalle iniziative Fridays for Futurescenderanno in strada per manifestare e firmare petizioni, incontrare scienziati, per fare azioni dimostrative, come ripulire spiagge e piantare alberi.  I leader religiosi, in primis Papa Francesco, parteciperanno alla Giornata della Terra per proteggere il Creato, gli esseri umani, la biodiversità del pianeta su cui viviamo e di cui tutti abbiamo bisogno. 

L'Earth Day di quest'anno è dedicato al tema della perdita della diversità biologica e dell'estinzione delle specie.  Gli obiettivi dell'iniziativa sono: 

  • informare e sensibilizzare i cittadini sull'accelerazione del tasso di estinzione di milioni di specie e sulle cause e le conseguenze di questo fenomeno;
  • raggiungere importanti risultati politici in termini di protezione di ampi gruppi di specie, nonché di singole specie e dei loro habitat;
  • costruire e attivare un movimento globale che abbracci la tutela della natura e dei suoi valori;
  • incoraggiare azioni individuali, come l'adozione di una dieta sostenibile, basata su alimenti ottenuti senza l'uso di antiparassitari, insetticidi ed erbicidi. 

Perché la conservazione della Natura

Il declino della biodiversità è uno dei più importanti e complicati problemi ambientali. La biodiversità non è un concetto semplice da comunicare ai politici e ai cittadini, ed anche per questo la sua importanza e la gravità del suo declino non sono ben percepiti dal grande pubblico e dalla gran parte dei decisori politici.  Una sorta di "elefante nella stanza”, una evidente verità ignorata.

Con il termine biodiversità, abbreviazione di diversità biologica, s’intende la varietà della vita sul pianeta e delle relazioni che si stabiliscono tra gli esseri viventi e gli habitat. La Convenzione sulla Diversità Biologica distingue tre livelli in cui i milioni di piante, animali e microrganismi si organizzano: il livello dei geni, che dà vita alla diversità e all’eredità di ciascuna specie; il livello delle specie che sono parte di un ecosistema, quali farfalle, salamandre, salmoni, pioppi, querce, petunie; il livello degli ecosistemi, intesi come entità reali del mondo naturale (foreste pluviali, steppe, barriere coralline, fiumi, ghiacciai, ecc.). Secondo un modo più ‘filosofico’ di intenderla, la biodiversità rappresenta la conoscenza appresa dalle specie, nel corso di un processo evolutivo di milioni di anni, su come sopravvivere alle condizioni ambientali in fase di grandi variazioni. Alcuni studiosi dicono che con il declino dell’integrità biologica della Terra l'umanità si sta "bruciando la Biblioteca della Vita”. 

Oltre al valore intrinseco, la biodiversità è importante perché è fonte per l’umanità di beni e servizidiretti e indiretti, ed è il pre-requisito della prosperità dell’umanità e della sua sopravvivenza. Questi beni e servizi sono stati distinti in quattro categorie: servizi di fornitura, quali gli alimenti, l’acqua dolce e altre materie prime come il legno, le medicine; servizi di regolazione, tra cui il mantenimento della fertilità del suolo, l'impollinazione delle colture da parte degli insetti, la regolazione del ciclo dell'acqua, la prevenzione dell'erosione dei suoli e il controllo del clima; i servizi legati agli habitat, i quali custodiscono la diversità genetica all’interno delle specie e sostengono i cicli di vita delle specie che ospitano; i servizi culturali, che includono i benefici non-materiali, quali la ricreazione e il turismo, l’istruzione e le esperienze spirituali e culturali legate alla fruizione e al ricordo di una specie, di un habitat o di un paesaggio. 

La biodiversità aiuta a regolare il clima. Prima di tutto attraverso lo stoccaggio del carbonio. I dati del Global Carbon Projectci dicono che nei suoli—nonostante decenni e decenni di pratiche di deforestazione e di agricoltura non sostenibile che li hanno resi fonti di emissioni di gas-serra verso l’atmosfera—sono immagazzinate quantità di carbonio comprese tra 1.500 e 2.000 miliardi di tonnellate di carbonio, una quantità doppia rispetto a quella contenute nell'atmosfera (830-850) e tripla rispetto a quella nella vegetazione (450-650). 

Inoltre gli ecosistemi naturali e semi-naturali regolano il controllo delle precipitazioni locali, filtrano l'aria e l'acqua e attenuano l'impatto di disastri naturali come frane e tempeste. I benefici diretti includono il legname proveniente da foreste, il pescato proveniente da oceani e sistemi di acqua dolce, alimenti, fibre e medicinali provenienti da piante, l'identità culturale e spirituale e i benefici per la salute derivanti dall'accesso alla natura. 

Lo stato dell’arte

In tutto il pianeta, i biologi hanno descritto 1.371.500 specie animali. Tuttavia, diversi studi riportano che il vero numero di animali viventi sul pianeta possa variare da 2 a 11 milioni. È possibile che ci siano ancora Mammiferi sfuggiti all’osservazione degli zoologi. I Funghi descritti sono circa 100.000, ma il loro numero potrebbe essere compreso tra 600.000 e 10 milioni. Le specie di piante descritte sono 307.700, ma è possibile che con le scoperte il loro numero possa salire intorno a 450.000.  Solo l’1% dei batteri è stato inventariato. Il pianeta Terra, insomma, almeno per le forme viventi è per molti versi ancora uno sconosciuto. 

La sesta edizione del Global Earth Outlook(GEO-6), pubblicato lo scorso mese di marzo dall’Agenzia Ambientale dell’ONU, dedica un intero capitolo alla perdita di biodiversità. Il capitolo riporta prove consolidate che indicano un declino irrevocabile e continuo della diversità genetica, delle specie e degli ecosistemi, a livello locale e globale. Gli scienziati sono sempre più preoccupati del fatto che, nel caso in cui le pressioni delle attività umane sulla biodiversità dovessero continuare al ritmo attuale, si perpetri un nuovo evento di estinzione di massa nella storia della Terra, il sesto dopo di quello che ha portato 65 milioni di anni fa alla scomparsa dei dinosauri (quella volte non per cause umane). In questo caso il ritmo di estinzione delle specie, per cause umane, sta procedendo a un ritmo da 100 a 1000 volte più veloce di quello ‘naturale’, registrati in epoca pre-umana, e riguarda batteri, funghi, protisti, piante e animali. Dal 1500 a oggi le specie estinte documentate sono 765, di cui 79 mammiferi, 145 uccelli, 36 anfibi. Adesso le estinzioni procedono al ritmo di un numero compreso tra 10 e 690 specie per settimana. Di tutte le estinzioni, il 75% è stato causato da un eccessivo sfruttamento delle specie (caccia, pesca, commercio illegale di piante e animali) o dalle attività agricole, dall’inquinamento e dall’introduzione di specie aliene invasive. Gli scienziati dicono che il cambiamento climatico diventerà un problema sempre più dominante nella crisi della biodiversità e già adesso si contano estinzioni (almeno 20) legate al caos climatico. 

Secondo la "lista rossa” dell'Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), sono minacciati di estinzione 1.199 mammiferi (il 26% delle specie descritte), 1957 anfibi (41%), 1.373 uccelli (13%) e 993 insetti (0,5%).  Un’indagine condotta in 16 Paesi, dall’America meridionale all’Indonesia, afferma che il 25% delle 625 specie di primati oggi conosciute è in pericolo di estinzione, a causa della caccia, del commercio illegale, della distruzione degli habitat, dei cambiamenti climatici.

Anche la ricchezza della biodiversità italiana è seriamente minacciata e rischia di essere irrimediabilmente perduta, a causa della distruzione degli habitat e della loro frammentazione e degrado, l’invasione di specie aliene invasive, le attività agricole, gli incendi, il bracconaggio, i cambiamenti climatici. 

Dai dati dell’Annuario dei dati ambientali ISPRA emerge che - per quanto riguarda il grado di minaccia delle 672 specie di Vertebrati valutate nella recente “Lista Rossa IUCN dei Vertebrati Italiani” (576 terrestri e 96 marine) - 6 sono estinte nel territorio nazionale in tempi recenti: due pesci, lo storione comune e quello ladano; tre uccelli: la gru, la quaglia tridattila, il gobbo rugginoso; e un mammifero, il pipistrello rinolofo di Blasius. 

Le specie minacciate di estinzione sono 161 (138 terrestri e 23 marine), pari al 28% delle specie valutate. Considerando che per il 12% delle specie i dati disponibili non sono sufficienti a valutare il rischio di estinzione e assumendo che il 28% di queste sia minacciato, si stima che complessivamente circa il 31% dei Vertebrati italiani sia minacciato. Il 50% circa delle specie di Vertebrati italiani non è a rischio di estinzione imminente.  

Oltre al valore intrinseco, la biodiversità è importante perché è fonte per l’umanità di beni e servizi, diretti e indiretti, indispensabili per la sua sopravvivenza e la sua prosperità. Questi beni e servizi sono stati distinti in quattro categorie: servizi di fornitura, quali gli alimenti, l’acqua dolce e altre materie prime come il legno, le medicine; servizi di regolazione, tra cui il mantenimento della fertilità del suolo, l'impollinazione delle colture da parte degli insetti, la regolazione del ciclo dell'acqua, la prevenzione dell'erosione dei suoli e il controllo del clima; i servizi legati agli habitat, i quali custodiscono la diversità genetica all’interno delle specie e sostengono i cicli di vita delle stesse specie che ospitano; i servizi culturali, che includono i benefici non-materiali, quali la ricreazione e il turismo, l’istruzione e le esperienze spirituali e culturali legate alla fruizione e al ricordo di una specie, di un habitat o di un paesaggio. 

I fattori critici di pressione sulla biodiversità sono ben riconosciuti. La biodiversità è erosa dalla distruzione degli habitat e in generale dalle trasformazioni d'uso del suolo e dal consumo di suolo, dallo sfruttamento eccessivo delle risorse, dall'inquinamento, dalle specie aliene invasive e dai cambiamenti climatici. Mentre la perdita e la trasformazione dell'habitat è probabilmente la pressione attuale più significativa, i cambiamenti climatici possono esserlo nei prossimi decenni. 

A preoccupare i botanici e gli zoologi c’è la drammatica riduzione della popolazione delle specie. Tra il 1970 e il 2014, l’abbondanza della popolazione globale di vertebrati è diminuita in media del 60%. Analoga percentuale di riduzione è stata dimostrata nell’abbondanza degli impollinatori, senza i quali la produzione agricola rischia di collassare. Dieci habitat terrestri su quattordici hanno visto una diminuzione della produttività vegetale e poco meno della metà di tutte le eco-regioni terrestri sono classificate in “stato sfavorevole” di conservazione.  Le specie invasive native e non native minacciano ecosistemi, habitat e altre specie. 

Le pressioni spesso si sovrappongono e vi sono cicli di feedback positivi tra molti di essi. I cambiamenti dell'habitat possono aumentare l'esposizione a inquinanti, parassiti, agenti patogeni esotici e malattie infettive emergenti dannose sia per l'uomo (febbre aviaria, per esempio) sia per il bestiame e la fauna selvatica e esacerbare i conflitti tra uomo e natura. Le foreste subiscono alterazioni a causa di molteplici cambiamenti nell'uso del suolo, l'estrazione mineraria, la costruzione di strade e l'espansione agricola; la conseguente frammentazione dell'habitat e la perdita di biodiversità possono ridurre la resilienza delle foreste agli impatti dei cambiamenti climatici e all'introduzione di specie invasive. 

La produzione di energia, l'estrazione di risorse, il prelievo e il commercio illegali di animali selvatici e il bracconaggio, i rifiuti chimici e la plastica nell'ambiente marino stanno esacerbando i fattori che contribuiscono al declino della biodiversità. 

I costi economici, sia diretti sia indiretti, della perdita dell’integrità biologica ammontano a molti miliardi di dollari l’anno, secondo il GEO-6.  La biodiversità contribuisce positivamente alla salute e al benessere dell'uomo. Il sostentamento di oltre il 70% della popolazione mondiale che vive in condizioni di povertà dipende in una certa misura dalle risorse naturali e oltre l'80% della biodiversità globale si trova nei territori tradizionali delle popolazioni indigene. Inevitabilmente, l'esaurimento di questo capitale naturale finirà con l’incidere di più sulle persone e sulle comunità più vulnerabili e in particolare su quelle che hanno scarse capacità di contenere le perdite o di porvi rimedio. Inoltre, la perdita di biodiversità riduce la resilienza degli ecosistemi e aumenta la vulnerabilità alle minacce, compresi gli impatti negativi dei cambiamenti climatici. Le evidenze scientifiche ci dicono che, a scala locale, che gli ecosistemi con maggiore biodiversità siano più produttivi e più stabili nel tempo. 

La diversità genetica all’interno di ogni singola specie è la materia prima che consente l'adattamento alle variazioni ambientali. Il declino delle dimensioni della popolazione di molte specie costituisce una perdita della diversità genetica. La diversità genetica delle colture, delle specie che sono parenti selvatici delle stesse colture tutelano la resilienza dei sistemi agricoli agli ambienti che cambiano. La perdita della diversità genetica delle colture e del bestiame è una minaccia per la sicurezza alimentare. 

Il rapporto UNEP sostiene che non c'è alcun rallentamento della velocità di declino della popolazione delle diverse specie investigate a livello globale. Le specie di acqua dolce hanno il più alto tasso di diminuzione della popolazione, mentre gli anfibi, i coralli e le Cicadee sono i taxacon la più alta percentuale di specie ora considerate a rischio di estinzione. Meno dati e informazioni sono disponibili su alcuni gruppi di invertebrati, ma recenti evidenze scientifiche indicano un forte calo dell'abbondanza a scala locale. La perdita d’impollinatori invertebrati è stata evidenziata come un problema crescente, con importanti conseguenze per la produzione agricola, il funzionamento degli ecosistemi e il benessere umano. 

Non esiste una panoramica globale della salute degli ecosistemi. Lo stato di molti tipi di habitatè molto probabilmente in declino, circa 10 habitat terrestri su 14 hanno visto una diminuzione della produttività della vegetazione  e ormai poco meno della metà di tutte le eco-regioni terrestri sono classificate dagli esperti in uno stato ‘sfavorevole’. Le zone umide naturali e gli habitat marini, come gli ecosistemi dei mari profondi e le barriere coralline, sono evidenziati come hot spota livello mondiale. 

Quali sono i biomi più a rischio

La perdita di biodiversità riguarda ormai tutti i principali biomi(ogni tipo di ambiente terrestre caratterizzato da una particolare vegetazione e da un particolare clima) della Terra. Negli oceani, il sovra-sfruttamento degli stockittici sta portando al collasso della pesca; il global warmingsta annichilendo le barriere coralline e sta minacciando gli habitatdei sistemi costieri, come le foreste di mangrovie, sempre più esposte a maggiori rischi di erosione, esponendo le comunità locali a danni legati agli eventi meteo estremi. L'inquinamento marino da plastiche è una minaccia considerevole e crescente per la biodiversità. Nei sistemi di acqua dolce, l'inquinamento agricolo e chimico, compreso l'aumento degli impieghi di azoto in agricoltura, provoca una proliferazione di alghe tossiche e una diminuzione della qualità dell'acqua potabile; le specie invasive si stanno diffondendo attraverso i corsi d'acqua; e le specie di acqua dolce stanno diminuendo a un ritmo più veloce di quelle di qualsiasi altro bioma. 

Nell'ambiente terrestre, l'innalzamento delle temperature sta trasformando le praterie in deserti e gli arbusteti in steppe.  L'irrigazione non sostenibile ha trasformato i terreni semi-aridi in paesaggi inospitali e tossici, inadatti alla fauna o alla coltivazione agricola. Gli ecosistemi montani e le regioni polari sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici e le estinzioni possono essere probabili per le specie ai limiti superiori delle loro gamme termiche e quelle dipendenti dal ghiaccio marino. Le foreste tropicali rappresentano alcuni degli ecosistemi terrestri più ricchi si biodiversità, ma la deforestazione e il degrado forestale continuano in molte regioni, per effetto della crescente richiesta di legname, di fibre, di prodotti alimentari e di combustibili come l'olio di palma. L’espansione incontrollata delle città e delle infrastrutture sta divorando centinaia di migliaia di ettari di suolo (in Italia 30 ettari al giorno), sottraendoli alla natura e alla sicurezza alimentare.

Le misure per contrastare il declino della vita sono già in atto, occorre applicarle e rinforzarle

Negli ultimi 50 anni una gamma di strumenti nazionali e internazionali è stata messa in piedi per conservare la biodiversità. Questi includono i piani nazionali di strategie e azioni sulla biodiversità, ai sensi della Convenzione sulla diversità biologica (CBD), il Piano strategico per la biodiversità 2011-2020 (che comprende gli obiettivi di Aichi), il Protocollo di Cartagena sulla bio-sicurezza, il Protocollo di Nagoya e la piattaforma intergovernativa per la biodiversità e i servizi eco sistemici. Nell’UE, nel 2011 è stata adottata la strategia europea per la tutela della biodiversità.

Specie ed ecosistemi sono tutelati in modo più efficace attraverso la conservazione degli habitat naturali. Progressi significativi sono stati fatti nell'espansione della rete globale delle aree protette, ma l'area totale sotto protezione rimane insufficiente e comunque non implica che gli habitat all'interno delle aree protette non siano degradati. L’UE e gli Stati membri hanno messo in atto una vasta gamma di normative, tra cui la rete Natura 2000 di aree protette, il fulcro della strategia dell'UE per la protezione della Natura.  Natura 2000è un sistema di aree destinate alla conservazione della biodiversità presente nel territorio dell'UE e in particolare alla tutela di una serie di habitat, specie animali e vegetali ritenute meritevoli di protezione a livello continentale. Natura 2000, che si basa sull'implementazione delle Direttive 2009/147/CE (meglio nota come Uccelli) e 92/43/CE (Habitat), viene sviluppata da ciascuno Stato membro e spesso funziona in combinazione con altre aree protette designate a livello nazionale. Dal 1995, quando è stata istituita la prima zona protetta nell'ambito delle due direttive per la protezione degli uccelli e degli habitat, la superficie protetta è cresciuta fino a raggiungere quasi un quinto del territorio dell’UE. Dal1995, quando fu istituita la prima area protetta all’interno delle Direttive per la protezione degli uccelli e degli habitat, quasi un quinto della superficie territoriale dell'UE è oggi protetta. In Italia, siamo perfettamente nella media UE. Uno studio di Gamero et al. del 2016 ha concluso che le direttive Uccelli e Habitatsono state fondamentali per la conservazione delle specie e degli habitata scala continentale e che gli stessi risultati complessivi non sarebbero mai stati raggiunti se gli sforzi di conservazione fossero stati condotti separatamente da ogni singolo stato.

La conservazione ex-situ del germoplasma può contribuire alla conservazione della diversità genetica. Banche di semi e banche genetiche, anche grazie agli sviluppi della genomica, contribuiscono alla conservazione della diversità genetica delle colture e dei loro parenti selvatici (importanti per il miglioramento della resistenza a patogeni e parassiti e all’adattamento al cambiamento globale). I progressi della tecnologia consentono ora il sequenziamento del genoma in maniera più economica e rapida.  Tuttavia per la maggior parte delle specie selvatiche mancano ancora dati genetici.

A scala localele popolazioni indigene e le comunità locali svolgono un ruolo chiave per la protezione della biodiversità.  Esse possono offrire soluzioni che partono dal basso, spontanee, autonome, economicamente vantaggiose, innovative e hanno il potenziale di essere estese ad altre realtà. Tali soluzioni offrono un approccio di governance pratico in alternativa alle impostazioni top-down, decise dall’alto. Anche queste, comunque, possono avere un ruolo essenziale per raggiungere gli stelli obiettivi di conservazione e molti degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

Le risposte delle politiche per la conservazione della biodiversità sono tangibili e hanno funzionato a livello internazionale, nazionale e locale.  Tuttavia esse non sono state sufficienti a rallentare o invertire il declino della biodiversità globale.  È urgente rafforzare le attuali risposte politiche. Un’area importante di lavoro è quella dell’integrazione degli obiettivi della conservazione della biodiversità nelle politiche di settore, da quello agricolo e forestale al turismo, dall’energia ai trasporti, dal settore manifatturiero alla cooperazione internazionale (mainstreaming). Esistono ulteriori opportunità per mantenere la biodiversità e il contributo della natura attraverso una corretta gestione delle fasi di distribuzione, accesso e governance, e riconoscendo il ruolo chiave delle popolazioni indigene e delle comunità locali nella conservazione della biodiversità.

Purtroppo i benefici associati alla biodiversità e ai servizi ecosistemi e i costi della loro degradazione non sono sufficientemente integrati nel processo decisionale, a tutti i livelli, sia pubblico sia privato.  Riconoscere l’enorme importanza della biodiversità e della natura per tutte le attività economiche fornisce una ragione politica ed economica in più per perseguire la conservazione della biodiversità e la protezione della natura e arrestare questo grave declino. 

L’inazione, nel breve e nel lungo periodo imporrà costi molto più elevati, come dimostrato da molti casi di studio, quali la diffusione di specie invasive e il consumo di suolo.  Le estinzioni di specie avranno costi incommensurabili per le generazioni future.

Una sintesi del GEO-6

Se non vengono intraprese azioni urgenti per proteggere l’ambiente, la salute umana si troverà in gravi difficoltà.  Questo è il grido d’allarme e il monito della sesta edizione del Global Earth Outlook (in breve, GEO-6), il rapporto delle Nazioni Unite pubblicato agli inizi di marzo a Nairobi, Kenia, nel corso della quarta assemblea generale delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEA). Fin dalla sua prima edizione, il GEO rappresenta la valutazione più completa e rigorosa sullo stato dell'ambiente mondiale.  Questa sesta edizione del GEO ci dice che i danni al pianeta sono così devastanti che la salute delle persone sarà sempre più minacciata, a meno che non venga intrapresa un'azione urgente.  Il rapporto, redatto da 250 scienziati ed esperti provenienti da oltre 70 Paesi, afferma che siamo di fronte alla scelta di (i) aumentare drasticamente la protezione dell’ambiente, (ii) oppure città e intere regioni in Asia, Medio Oriente e Africa potrebbero contare milioni di morti premature entro la metà del secolo. Un altro rischio su cui il GEO-6 concentra l’attenzione sul crescente livello  di inquinanti nei nostri sistemi di acqua dolce,  che daranno vita a vari problemi, tra cui la resistenza antimicrobica. Questa potrebbe diventare una delle principali cause di morte entro il 2050.  Gli interferenti endocrini avranno un impatto sulla fertilità maschile e femminile, così come sul neuro-sviluppo dei bambini.  Ma il rapporto sottolinea il fatto che, rispetto al passato,  il mondo dispone di sapere scientifico, tecnologia e risorse finanziarie sufficienti per muoversi verso un percorso di sviluppo più sostenibile.  Ciò che manca ancora, invece, è  il sostegno sufficiente da parte dei cittadini comuni, delle imprese e dei leader politici, ancora aggrappati a modelli obsoleti di produzione e sviluppo. Il GEO-6 è stato pubblicato alla presenza dei ministri dell'ambiente di tutto il mondo e molti capi di stato, convenuti a Nairobi per partecipare al forum ambientale di più alto livello del mondo. Nel corso del summit sono state affrontate questioni critiche come la riduzione e la prevenzione dello spreco alimentare, la promozione della diffusione della mobilità elettrica e l'eliminazione della crisi dell'inquinamento da plastica nei nostri oceani, oltre a molte altre sfide altrettanto urgenti (tra cui il ruolo del settore tessile e della moda nella degradazione dell’ambiente globale).  

"La scienza è chiara. La salute e la prosperità dell'umanità sono direttamente legate allo stato del nostro ambiente", ha affermato Joyce Msuya, direttore esecutivo del programma ONU per l’Ambiente (UN Environment). "Questo rapporto indica una prospettiva per l'umanità. Siamo ad un bivio. Dobbiamo scegliere se continuare sulla strada attuale, che porterà ad un futuro fosco per l’umanità; o viceversa concentrarci su un percorso di sviluppo più sostenibile. Questa è la scelta che devono fare i nostri leader politici, ora."  La prospettiva di avere in futuro un pianeta sano con persone sane si basa su un nuovo modo di pensare, dove il modello "adesso cresciamo, a ripulire pensiamo dopo" deve essere sostituito da un modello che ambisce a un'economia in cui i rifiuti siano pressoché nulli entro il 2050. Secondo il GEO-6, un volume di investimenti verdi pari al 2% del Prodotto Interno Lordo dei Paesi produrrebbe una crescita a lungo termine egualmente elevata di quella attualmente prevista, ma con un minor impatto dei cambiamenti climatici, della scarsità d'acqua e della perdita di natura ed ecosistemi.  Al momento il mondo non è sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi (17 in tutto, di cui almeno la metà con una forte componente ambientale) per lo sviluppo sostenibile definiti dall’Agenda 2030 dell’ONU, né entro il 2030 né entro il 2050.  Ciò che serve, adesso, è un'azione decisa, poiché qualsiasi ritardo nell'azione per il clima aumenta il costo del raggiungimento degli obiettivi dell'accordo di Parigi o invertire i nostri progressi e ad un certo punto, renderli impossibili.  

Il rapporto considera prioritario per il futuro del pianeta un cambio radicale della dieta e propone l'adozione a scala globale di diete a basso contenuto di carne. La riduzione degli sprechi alimentari nei paesi sviluppati e in via di sviluppo ridurrebbe la necessità di aumentare la produzione alimentare del 50%, un aumento necessario - secondo alcuni studi - per nutrire i 9-10 miliardi di persone che popoleranno il pianeta nel 2050.  

Attualmente, il 33 per cento del cibo commestibile globale viene sprecato e il 56 per cento dei rifiuti avviene nei paesi industrializzati, conferma il rapporto.  A scala mondiale, mentre l'urbanizzazione sta procedendo a ritmi senza precedenti, il rapporto sostiene che è possibile creare opportunità per aumentare il benessere dei cittadini, riducendo al contempo l'impatto ambientale attraverso una migliore governance, la pianificazione dell'uso del territorio e la creazione di nuove infrastrutture verdi e il mantenimento di quelle già esistenti. Inoltre, investimenti strategici ed efficaci nelle aree rurali ridurrebbero la pressione a migrare.   Il rapporto richiede un'azione forte per frenare ogni anno il flusso verso gli oceani degli 8 milioni di tonnellate di inquinamento plastico. Anche se il tema delle plastiche in mare ha ricevuto maggiore attenzione negli ultimissimi anni, non esiste ancora un accordo globale per affrontare la questione.  

Gli scienziati notano progressi nella raccolta di statistiche ambientali, in particolare di dati geo-spaziali, e sottolineano l'enorme potenziale di far progredire le conoscenze utilizzando i big data e collaborazioni più solide per la raccolta dei dati tra partner pubblici e privati.  Gli interventi politici che riguardano interi sistemi - come energia, cibo e rifiuti - piuttosto che questioni singole, come l'inquinamento delle acque, possono essere molto più efficaci. Ad esempio, un clima stabile e l’aria pulita sono tra loro interconnessi; le azioni di mitigazione del clima per raggiungere gli obiettivi dell'accordo di Parigi costerebbero circa 22 trilioni di dollari, ma i benefici per la salute combinati derivanti da una riduzione dell'inquinamento atmosferico potrebbero ammontare a 54 trilioni di dollari.  "Il rapporto UNEP dimostra che esistono già le politiche e le tecnologie per creare nuovi percorsi di sviluppo che evitino questi rischi e conducano verso la salute e la prosperità di tutte le persone", hanno dichiarato Joyeeta Gupta e Paul Ekins, co-presidenti del processo GEO-6. "Ciò che manca attualmente è la volontà politicadi implementare politiche e tecnologie a una velocità e a una scala sufficienti”.  

Il Programma Ambiente delle Nazioni Unite (UN Environment) è la principale voce globale sull'ambiente globale. Il Programma fornisce leadership e incoraggia la partnership nella cura dell'ambiente, ispirando, informando e consentendo alle nazioni e ai popoli di migliorare la loro qualità di vita senza compromettere quella delle generazioni future. UN Environmentcollabora con i governi, il settore privato, la società civile e con altre entità delle Nazioni Unite e organizzazioni internazionali di tutto il mondo. 

Lorenzo Ciccarese, Valentina Rastelli e Anna Luise dell’ISPRA, avendo contribuito a vario titolo alla redazione del GEO-6, al fine di aumentare la divulgazione di questo importante documento hanno tradotto il riassunto per i decisori politici del GEO-6, ora scaricabile qui

Il documento completo del GEO-6 è scaricabile qui

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