SOCIETÀ

Recovery fund, il miracolo UE che accontenta tutti

Un lungo applauso liberatorio, all’alba di martedì 21 luglio, ha sancito l’accordo finalmente raggiunto al vertice europeo sul Recovery Fund e sul bilancio 2021-2027. Una firma arrivata al termine di una trattativa estenuante, durata quattro giorni e quattro notti. Quasi un record. Un applauso certamente rivolto all’Europa in quanto istituzione, che per la prima volta nella sua storia riesce a mettere in campo risorse di questa portata (750 miliardi di euro) per aiutare i 27 paesi membri a fronteggiare le conseguenze economiche e sociali, drammatiche, della pandemia da coronavirus. La traduzione in pratica dell’idea stessa di “Unione”: perché mai prima d’ora il debito era stato condiviso. Un intervento, peraltro, così cospicuo che nessun governo potrà dire domani che non aveva i mezzi per uscire dal pantano. Ma, in fondo, quell’applauso, ciascuno dei 27 leader lo stava rivolgendo anche a se stesso. Perché dopo giorni tensioni, di accuse, di pretese, di strappi, di insulti più o meno velati, di sospetti, di pugni sbattuti sul tavolo, tutti ne vengono fuori con un successo, piccolo o grande, da poter vantare in patria e/o sulla scena internazionale. Miracoli della politica. 

Deal!

— Charles Michel (@eucopresident) July 21, 2020

Ci torneremo tra poco. Intanto vediamo le basi dell’accordo stabilite dai 27 leader, salutato alle 5,31 del mattino con un tweet del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel (“Deal!”) e due minuti più tardi da quello del presidente francese Macron (“Jour historique pour l’Europe!”). Il fondo di risanamento dell'UE sarà composto da 390 miliardi di euro in sovvenzioni e 360 ​​miliardi di euro in prestiti (la ripartizione, nella proposta iniziale, era di 500 milioni in sussidi e 250 da restituire). I 750 miliardi complessivi saranno raccolti direttamente dalla Commissione Europea tramite l’emissione di Eurobond a scadenza trentennale. Mentre il bilancio 2021-2027 dell’Unione (vale a dire l’impegno di spesa) è stato fissato a 1.074 miliardi. 

Una manna per l’Italia

L’Italia sarà il paese che più d’ogni altro beneficerà di questi finanziamenti, in quanto più d’ogni altro colpito dalla pandemia (dopo l’Italia c’è la Spagna). In totale quasi 209 miliardi di euro (per l’esattezza: 208,8 miliardi, circa il 28% della torta), così ripartiti: 81,4 miliardi a fondo perduto e 127,4 in prestiti che dovranno, in tempi assai diluiti e a tassi assai agevolati, essere restituiti. Ben più della prima proposta della Commissione Europea, presentata a maggio, quando le stime offrivano al nostro paese 173 miliardi complessivi (circa 82 miliardi in sussidi e 91 in prestiti). Il premier italiano si è dichiarato molto soddisfatto: «È un momento storico per l’Europa e per l’Italia», ha dichiarato Conte nella conferenza stampa finale. «Abbiamo approvato un piano di rilancio ambizioso e adeguato alla crisi che stiamo vivendo. Un risultato che abbiamo conseguito tutelando la dignità del nostro Paese». «L’approvazione di questo piano rafforza l'azione del governo italiano», ha poi proseguito. Ora avremo una grande responsabilità: con 209 miliardi abbiamo la possibilità di far ripartire l'Italia con forza e cambiare volto al Paese». Appena rientrato in Italia Conte è stato ricevuto al Quirinale. Anche il capo dello Stato, Mattarella, ha espresso «Soddisfazione per un accordo che rafforza l’Ue. Ora bisogna predisporre rapidamente un concreto ed efficace programma di interventi».

🔴 Accordo concluso al Consiglio europeo. In diretta da Bruxelles 🔴

Pubblicato da Giuseppe Conte su Lunedì 20 luglio 2020

Ironia della sorte, l’Italia ha ottenuto 36 miliardi in più rispetto a quanto previsto: esattamente la stessa cifra che avrebbe ottenuto decidendo di ricorrere al Mes, il Meccanismo Europeo di Stabilità, per spese destinate a rinforzare il sistema sanitario, che tante polemiche aveva scatenato. «La mia posizione non è mai cambiata: il Mes non è il nostro obiettivo. Spero anzi che il Recovery Fund possa contribuire a distrarre l’attenzione morbosa attorno al Mes», ha ribadito Conte. Che ha poi annunciato l’intenzione di costituire una task force operativa per stabilire al più presto le modalità del piano di rilancio. «Con 209 miliardi abbiamo la possibilità di far ripartire l’Italia con forza e cambiare volto al Paese. Ora dobbiamo correre», ha promesso il premier. Di fatto sfidando quel che è da sempre un vulnus della politica italiana: la capacità di spesa dei fondi europei. Per dire: dal 2014 a oggi l’Italia, su 75 miliardi di euro stanziati a suo favore, ne ha spesi soltanto 26 miliardi, pari al 35% del totale.

Investimenti sì, ma con “il freno d’emergenza”

Il tempo dirà se saremo in grado di invertire il trend. Oltretutto con la consapevolezza che saremo comunque controllati. Uno degli argomenti più spinosi che aveva rallentato (fin quasi a bloccarlo) l’iter del summit era stato il tema della “governance” del Recovery Fund. Vale a dire: chi controlla che quei soldi verranno spesi correttamente da ogni singolo paese per questioni legate al rilancio dell’economia post-pandemia e che gli investimenti rispettino i “comandamenti” compresi nel Green New Deal presentato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen? I cosiddetti “paesi frugali” (Paesi Bassi, Austria, Danimarca, Svezia) chiedevano che le spese fossero condizionate da un’approvazione all’unanimità dei 27 paesi membri, di fatto chiedendo un potere di veto che avrebbe paralizzato qualsiasi azione. Una questione di palese sfiducia, superata al prezzo di tensioni e toni alti come (quasi) mai era accaduto a Bruxelles. Riassume così il Sole 24 ore:  «Il compromesso raggiunto prevede che i piani presentati dagli Stati membri vengano approvati dal Consiglio Europeo a maggioranza qualificata in base alle proposte presentate dalla Commissione. La valutazione sul rispetto delle tabelle di marcia e degli obiettivi fissati per l'attuazione dei piani nazionali sarà affidata al Comitato economico e finanziario (gli sherpa dei ministri delle Finanze). Se in questa sede, “in via eccezionale”, qualche Paese riterrà che ci siano problemi, potrà chiedere che la questione finisca sul tavolo del Consiglio europeo prima che venga presa qualsiasi decisione». E’ stata questa la chiave che ha sbloccato la trattativa: l’individuazione di un “freno d’emergenza” da attivare in caso di necessità. 

Chi vince e chi vince

Così alla fine tutti possono esultare. Di Conte abbiamo già detto: torna a casa con una quantità di risorse insperata fino a poche ore fa, rafforzando la sua immagine personale e quella del governo italiano, oltre al suo “peso” politico. Ma esulta anche il suo acerrimo “nemico” Mark Rutte, il premier olandese che per quattro giorni aveva interpretato il ruolo del cattivo, dell’intransigente, del signor No, opponendosi con tutte le sue forze al concetto stesso di sussidio, di concessione di stanziamenti a fondo perduto, soprattutto ai paesi del Sud, storicamente poco rigorosi nelle modalità di spesa. Alla fine i “frugali” hanno accettato la formula del freno d’emergenza, ma non gratis. In cambio hanno ottenuto corposi sconti sui contributi al bilancio Ue, i cosiddetti “rebates”. Non si tratta di cifre di poco conto: circa 26 miliardi di euro che rientreranno direttamente nelle casse dei “frugal four”. L’Olanda avrà così 1,9 miliardi di rimborsi (rispetto agli 1,5 del passato), alla Danimarca 322 milioni (da 222), all’Austria 565 milioni (da 287), alla Svezia poco più di un miliardo (da 823 milioni). Per il premier olandese, che ha ottenuto anche un incremento del margine sui dazi doganalidell’Ue dal 20 al 25%, una bella carta da giocare alle prossime elezioni (marzo 2021), che si presentano estremamente incerte, con l’estrema destra antieuropeista che infatti è già partita all’attacco («All'Italia 82 miliardi di regali con i soldi olandesi»).

Il successo di Merkel-Macron

Festeggia, per motivi analoghi, anche il premier austriaco Sebastian Kurz: «Possiamo essere molto soddisfatti di essere riusciti a ottenere una riduzione dell’importo totale dei sussidi, che era la nostra richiesta principale, oltre a un aumento degli sconti per l’Austria e la garanzia che investimenti e riforme saranno controllati. E’ davvero un ottimo risultato». Qui una raccolta di commenti, dai vari paesi dell’Unione, all’esito del summit. Ma la firma sull’accordo segna anche il successo della stessa Unione Europea, che ne esce rafforzata, più solida e credibile, e dei “pesi massimi” che hanno lavorato per mediare e indirizzare la decisione finale. Come il presidente francese Macron, che ha condensato la sua soddisfazione nel tweet a caldo “Un giorno storico per l’Europa”. E come la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che ha commentato: «Questa volta l’Ue non potrà essere accusata di aver fatto “troppo poco e troppo tardi”: più di 90 ore di trattative, ma ne è valsa la pena».

Ma il vero successo è della “regista”, la cancelliera tedesca Angela Merkel, presidente di turno del Consiglio Europeo. Il Recovery Fund era il primo scoglio da superare, difficile. Ma è riuscita nell’operazione mettendo in campo la sua scaltrezza, affrontando a viso aperto i passaggi più aspri («I negoziati sono incredibilmente duri, ma le situazioni straordinarie richiedono uno sforzo straordinario: spero che le divergenze residue possano essere superate», aveva dichiarato pochi giorni fa), senza temere le impuntature e i protagonismi dei paesi più intransigenti: anche se c’è chi teme che le tensioni e le “ferite” emerse in questo vertice potranno avere ripercussioni in futuro. Resta comunque che il risultato è arrivato. E il merito di Angela Merkel, in tandem con il presidente francese Macron, è limpido.

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