SOCIETÀ

Relazione Dia: in Veneto ormai è impossibile negare la presenza delle mafie

“Aumentano i casi di intimidazioni nei confronti degli amministratori locali, sia consiglieri comunali sia sindaci”. L’allarme è stato lanciato dal direttore della Dia, Michele Carbone durante la presentazione della relazione semestrale prodotta dalla Direzione Investigativa Antimafia. Un focus, quello sugli amministratori pubblici, che avevamo già notato anche analizzando il report redatto dall’associazione Avviso Pubblico. In “Amministratori sotto tiro” si parla chiaramente di come le intimidazioni e minacce a sindaci, consiglieri, assessori o tecnici delle amministrazioni locali siano un fenomeno a cui prestare attenzione, sia che esse avvengano online che offline. Ora anche la Dia, cioè quell’organismo investigativo che concentra gli sforzi sulla criminalità organizzata, ha deciso di alzare l’attenzione. Il tema delle intimidazioni però non è l’unico allarme che è stato lanciato. 

Un altro importante focus è stato quello sulle armi sequestrate. “È un dato preoccupante e che si riflette su tutta l'Unione europea - ha dichiarato il direttore, Michele Carbone - Si sta registrando aumento delle armi nella disponibilità delle organizzazioni mafiose e bisogna mantenere la guardia alta per evitare che le organizzazioni alzino il tiro di conflittualità con le istituzioni. In alcune aree la presenza delle armi serve sempre a ricordare che le mafie non cambiano pelle e all'occorrenza sono in grado di usare queste armi". 

Il core business delle organizzazioni mafiose però continua ad essere il traffico di stupefacenti ed in questo campo è la ’ndrangheta a farla da padrona. Gli interessi mafiosi si estendono a tutti i settori, dall’edilizia al turismo, dalla gestione dei rifiuti fino al gioco d’azzardo e alle scommesse. Una conferma di ciò ci arriva anche dal PNRR. Dalla relazione emerge che sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono state effettuate 11.890 richieste di istruttoria antimafia di cui il 29% al Nord, il 43% al Centro e il 28% al Sud e di queste richieste, 6.439 sono in fase istruttoria, mentre 8 sono già state concluse con provvedimenti interdittivi. Ricordiamo che tutti questi dati si riferiscono al primo semestre del 2023, e che quindi racchiudono anche uno degli eventi più importanti della storia dell’antimafia: la cattura del latitante Matteo Messina Denaro avvenuta il 16 gennaio dello scorso anno. 

In Lombardia è estesa e preoccupante la presenza delle mafie italiane tradizionali, la ‘ndrangheta è presente da anni Relazione semestrale Dia

Oltre alla fase repressiva però, la relazione parla anche di un evento che si terrà nel 2026, ma che da diverso tempo sta attraendo le mire criminali. Già nel 2021 la Dia riferiva che era necessaria una “particolare attenzione per la prevenzione di probabili tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata che richiederanno anche i prossimi giochi olimpici e paralimpici di Milano e Cortina del 2026”.

Ora, nella relazione del primo semestre del 2023, ribadisce che i Giochi Milano-Cortina rappresentano “un’attrattiva per le organizzazioni criminali”, in particolare in Lombardia, “dove è più estesa e preoccupante è la presenza delle mafie italiane tradizionali e dove la ‘ndrangheta è presente da anni, tramite numerosi locali, con accentuato carattere imprenditoriale e con spiccate capacità di intercettare gli ingenti stanziamenti”. C’è un dato che spiega quanto fondata sia la preoccupazione della Direzione investigativa antimafia: nei primi sei mesi del 2023 le Prefetture lombarde hanno emesso 14 provvedimenti interdittivi antimafia ad aziende coinvolte nei lavori per le future olimpiadi. 11 di queste poi, erano collegate alla ‘ndrangheta.

La situazione del Veneto

Ndrangheta che, secondo la Dia, “è riuscita “ad accrescere i suoi interessi illeciti anche in Veneto, creando delle forme stanziali, proiezioni delle cosche calabresi, i cui interessi si sono espressi non solo nel traffico di stupefacenti ma anche in importanti operazioni di riciclaggio e di reinvestimento di capitali illeciti”. Due sono i processi emblematici in questo caso: “Isola scaligera” e “Taurus”, entrambi riferiti a famiglie residenti nel veronese.

La ‘ndrangheta è riuscita ad accrescere i suoi interessi illeciti anche in Veneto, creando delle forme stanziali Relazione semestrale Dia

Non c’è provincia nel Veneto che non abbia avuto problemi di criminalità organizzata, eccezion fatta, per ora per Rovigo. Possiamo affermarlo sia dal punto di vista storico, sia guardando la stretta attualità. Lo ribadisce, ancora una volta, anche la relazione semestrale Dia. “Importanti riscontri investigativi e giudiziari succedutisi nel tempo hanno evidenziato come anche il territorio di questa Provincia (Venezia ndr) sia di particolare interesse non solo per le organizzazioni criminali autoctone ma anche per quelle provenienti dal sud Italia e dall’estero da sempre alla ricerca di nuovi territori in cui estendere i propri traffici illeciti. A Venezia e nell’hinterland infatti è stata riscontrata la presenza della criminalità calabrese dedita, soprattutto, ad acquisire aziende in crisi di liquidità, tramite usura ed estorsioni. Aspetto questo evidenziato dagli esiti dell’operazione “Tetris”, conclusa dalla Guardia di finanza di Venezia e dai Carabinieri di Padova lo scorso anno, nell’ambito della quale sono stati ricostruiti alcuni episodi estorsivi e usurari in danno di imprenditori locali perpetrati da alcuni soggetti appartenenti al clan Bolognino collegato alla cosca Grande Aracri di Cutro (KR)”.

Cosca che, indagini e processi, hanno appurato come fosse ben presente, tramite persone a loro collegate, anche nelle province di Treviso, Padova e Verona. Nel trevigiano la relazione dice che, “sebbene nel semestre non vi siano evidenze investigative che accertino la presenza delle tipiche organizzazioni criminali, pregresse indagini hanno consentito di documentare interessi criminali di soggetti  calabresi affiliati alle cosche Grande Aracri e Bellocco (Rosarno)”, nel padovano è incentrata l’indagine sui Bolognino.

Il processo ai Bolognino è arrivato a sentenza in secondo grado proprio nel primo semestre 2023, con condanne pesanti per Sergio Bolognino (17 anni), Francesco Agostino (7 anni e due mesi), ad Antonio Gnesotto (7 anni e 6 mesi), ad Antonio Genesio Mangone (12 anni e 8 mesi),  all’imprenditore Luca De Zanetti (4 anni e 9 mesi),  a Emanuel Levorato (4 anni, 5 mesi e 10 giorni), e a Stefano Marzano ( 7 anni e due mesi ). Anche la Cassazione infine, ad inizio anno, ha messo il punto finale delle condanne, anche per i parenti di Sergio che sono stati condannati a 11 anni e 4 mesi (Michele Bolognino) e a 6 anni e 4 mesi (Francesco Bolognino). A queste si aggiunge la condanna a Donato Clausi, il commercialista del clan Grande Aracri, a 12 anni e 6 mesi.

Tutte condanne per aver creato “un’articolazione criminosa dell’associazione denominata ‘ndrangheta, in particolare legata alla cosca “Grande Aracri”, organizzazione criminale di stampo mafioso, originaria dei territori calabresi... con autonoma articolazione in Emilia... allo scopo di estendere ad alcune province del Veneto, il potere di influenza e di intimidazione di stampo mafioso”.

Tornando alla suddivisione per province, vediamo come nella relazione della Dia parli di infiltrazioni mafiose anche a Padova, crocevia importante sia dal punto di vista logistico che economico. “Il territorio provinciale di Padova - si legge nel documento -, sede di importanti aziende multinazionali, si caratterizza per la presenza dell’interporto, snodo di movimentazione e stoccaggio delle merci, sempre più proiettato negli anni verso i principali porti nazionali e del Nord Europa. Un sistema infrastrutturale che alimenta un forte indotto economico e che, anche unitamente agli ingenti investimenti e finanziamenti per la realizzazione del progetto ferroviario “Alta Capacità/Alta Velocità” Verona-Padova (parte integrante della più ampia tratta Venezia-Torino), rappresenta un potenziale interesse per le organizzazioni criminali anche di tipo mafioso. Da anni, infatti, si registra la presenza di soggetti “vicini” o affiliati alla ‘ndrangheta (con riferimento alle operazioni “Fiore reciso”, “Camaleonte”, “Malapianta” e “Hope”) e a Cosa nostra. In particolare - continua la relazione -, sono stati documentati incontri e rapporti tra l’imprenditoria locale ed esponenti di spicco della ‘ndrangheta nonché episodi di violenza, danneggiamenti ed estorsioni, tutti aggravati dal metodo mafioso, commessi da soggetti appartenenti alle cosche calabresi”.

Su Treviso abbiamo già analizzato la questione dei Bellocco, mentre è importante ricordare, come emerge nuovamente dalla relazione Dia, che, dalla grande indagine denominata “Doppio binario” della DDA di Milano, che ha riguardato appalti ferroviari e ‘ndrangheta, nell’inchiesta stessa ha riguardato anche società trevigiane. Tra queste alcune imprese intestate a prestanome ma, di fatto, riconducibili alle famiglie ‘ndranghetiste Giardino e Aloisio. Le stesse famiglie che abbiamo già incontrato nelle inchieste Isola scaligera e Taurus, la prima arrivata a sentenza di primo grado il 1° marzo 2023, in cui è stata riconosciuta la presenza di un locale di ‘ndrangheta quale estensione della cosca degli Arena. Per la stessa inchiesta, il successivo 3 maggio, la Corte d’Appello di Venezia ha concluso il secondo grado di giudizio per quegli imputati che, diversamente dai primi, avevano scelto il rito abbreviato e, pertanto, già destinatari di condanna in primo grado. Il 5 luglio scorso infine, si è giunti anche all'Appello, cioè il secondo grado di giudizio, anche per il rito ordinario. In questo caso i giudici hanno dato uno sconto di pena di soli 8 mesi al "capo" Antonio Giardino, detto “il Grande”, la cui condanna è passata così dai 30 anni del primo grado ai 29 anni e 4 mesi. Sconti più consistenti invece, sono stati quelli concessi al fratello, Alfredo Giardino, (19 anni rispetto ai 30 di primo grado) e a Michele Pugliese (17 anni e sei mesi contro i 23 del primo grado). 

Inchieste queste, che hanno riguardato principalmente la provincia di Verona e il veronese in particolare dove, la relazione parla chiaro, “da tempo si riscontra l’operatività di sodalizi riconducibili prevalentemente alla criminalità calabrese.Tale assunto - si continua a leggere - è stato confermato dalle risultanze dell’operazione “Valpolicella 2”, che ha consentito di smascherare un’organizzazione criminale riconducibile alle cosche Grande Aracri di Cutro ed Arena-Nicoscia di Isola di Capo Rizzuto, impegnata, grazie alla compiacenza di un imprenditore locale, nel tentativo di infiltrazione del tessuto socio-economico scaligero, in danno di società attive nel settore della preparazione e allestimento di scenografie destinate all’Arena di Verona, il tutto con l’aggravante di aver agito con metodo mafioso”. Indagini che hanno anche portato al sequestro di 4 milioni di euro.

Continuando a parlare di processi invece, nel primo semestre 2023, e più precisamente il 16 giugno, il Tribunale di Verona, nell’ambito del processo di primo grado dell’indagine Taurus ha riconosciuto l’esistenza nella regione Veneto, e in particolare nella provincia di Verona, di ‘ndrine della piana di Gioia Tauro, espressione degli interessi illeciti delle famiglie calabresi Gerace-Albanese-Napoli-Versace.

Leggere la relazione semestrale della Dia è importante per capire come le attività di indagine riescano a scoperchiare attività criminali spesso invisibili. Studiare la relazione però deve servire anche a ricondurre il tutto alla stretta attualità. Sappiamo infatti che tale documento è semestrale e, di fatto, ci “parla” di una situazione antecedente di almeno un anno e mezzo. Nel frattempo i processi proseguono, fanno il loro corso ma la panoramica offerta dalla Direzione investigativa antimafia ci offre uno spaccato unico per comprendere subito, senza possibilità di negazione, che le mafie sono un problema, anche in Regioni dove spesso si pensa che queste non possano esistere o, ancora peggio, che siano dei corpi estranei al proprio tessuto economico.

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