SCIENZA E RICERCA

Ricerche “virali”: gli studi umanistici di fronte alla pandemia

La ricerca umanistica si svolge in vari luoghi, diversi per tipologia e spesso distanti fra loro. Se il geografo, l’antropologo o lo storico-orale si recano “sul campo”, per osservare, rilevare il terreno o intervistare i propri oggetti di ricerca, il filologo frequenta le biblioteche, per analizzare testi e manoscritti e interrogare la loro natura e la loro trasmissione. Lo storico, infine, si reca in prevalenza negli archivi, pubblici e privati, dove può trovare le tracce che le società del passato gli hanno lasciato, più o meno consapevolmente. A dispetto di una vulgata diffusa, questo tipo di ricerca si svolge in luoghi molto lontani: la necessità di cogliere le interconnessioni esistenti spinge ricercatrici e ricercatori a viaggiare in tutti i continenti: dall’Africa alle Americhe, dall’Asia all’Europa. È una ricerca, infine, che non mira tanto a “conservare”, quanto a creare “conoscenza”, grazie all’attento esame dei dati in nostro possesso, alle nuove scoperte e alle domande che provengono dal presente.

Tutti questi progetti di ricerca, spesso svolti in maniera collettiva, hanno risentito non poco dello scoppio della pandemia, nel marzo del 2020, anche se non sembra che si sia aperta una vera e propria discussione non solo sui problemi, ma anche sulla creatività che è stata attivata per provare a risolverli, e ancora sulle difficoltà presenti e sulle permanenze che questo periodo lascerà anche nel momento - auspicato da tutti - in cui il virus sarà sconfitto. È un punto cruciale, perché investe sia le esperienze collettive e individuali, in particolare delle ricercatrici e dei ricercatori non strutturati, che più si trovano coinvolti da questi processi di ridefinizione di metodologie e pratiche di studio.

Problemi da affrontare

Come abbiamo ricordato, la nostra ricerca si svolge in una miriade di luoghi diversi, prossimi e lontani, a volte prevedibili e spesso imprevedibili. L’impraticabilità di missioni, anche nei continenti extra-europei (come nel caso dell’Africa) e di ricerche all’estero ha portato all’individuazione di strategie alternative al lavoro sul campo. La chiusura di archivi e biblioteche, inoltre, veri e propri laboratori per le discipline umanistiche, non è stata superata nemmeno ora, a causa di riaperture a singhiozzo o solo per determinate categorie. L’accesso diretto alla fonte (un intervistato, un libro, un documento) è stato quindi fortemente limitato, sia nello spazio che nel tempo, e ha comportato delle inevitabili distorsioni nella ricerca. Per i ricercatori con contratto a termine (assegnisti e borsisti), poi, l’assenza di continuità, rispetto a progetti e pubblicazioni, ha creato considerevoli ritardi e un’incertezza maggiore di fronte a una situazione già di per sé precaria. Ancor di più delicata è stata la ricaduta sui dottorandi che hanno un orizzonte più limitato nel tempo ma la cui attività di ricerca è strategicamente formativa, svolgendosi in un periodo cruciale per la loro crescita.

Creatività: tutte le soluzioni possibili

Questi problemi non hanno significato l’essersi dati per vinti: anzi, la creatività messa in gioco è andata in più direzioni. In ambito geografico, ad esempio, si è cercato di utilizzare dati telerilevati e banche dati delle grandi agenzie internazionali, secondo un approccio “dall’alto”, mentre “dal basso” si è cercato di procedere all’individuazione di collaboratori sul terreno, ovvero di testimoni dalle aree di ricerca che riportino notizie su quanto sta accadendo attorno a loro.

In ambito storico e filologico-letterario si è avviata una grande solidarietà digitale, attraverso OPAC ma anche grazie una campagna sui vari social (facebook, whatsapp) che ha facilitato lo scambio di documenti, così come l’acquisto di numerosi materiali digitali. In tutte le discipline i seminari e gli incontri on-line hanno creato uno spazio per il coinvolgimento diretto, sebbene la presenza fisica non possa essere rimpiazzata completamente.

Il lavoro di ricerca è comunque stato facilitato dalle istituzioni e dal personale competente che ha trovato delle soluzioni innovative nell’ambito organizzativo e amministrativo. Gli esiti sono stati certamente diseguali a seconda delle istituzioni coinvolte, ma questi risultati mostrano appunto l’importanza di poter contare su amministrazioni di qualità e di investire in capitale umano nel mondo amministrativo. Infine, emerge il peso che ha giocato lo strumento informatico e il mutuo soccorso: è un invito per tutti noi a riflettere a fondo sul tema dell’open-access (libero da costi di pubblicazione) affinché i lavori di ricerca editi siano poi un patrimonio universale condivisibile da tutti, in situazioni o meno di pandemia. La ricerca finanziata con risorse pubbliche non deve rimanere un bene privato, ma bisogna credere nella possibilità che open-access garantisca la qualità dei contenuti.

Difficoltà (ancora) da superare

Nonostante questo, le difficoltà da superare sono state e sono ancora molte. Uno dei principali problemi vissuti è stata la burocrazia. L’attivazione di figure quali i collaboratori sul terreno in aree lontane non è certo in linea con la burocrazia italiana e con gli adempimenti che richiede, in particolare si è resa evidente la rigidità di regolamenti e procedure. Non è stato semplice costruire il contatto e mantenerlo e a questo si è aggiunta una serie di problemi etici e strategici, dalla giusta remunerazione (quale è la cifra corretta in contesti così diversi dal nostro?) a come prevenire i rischi legati al lavoro di terreno per questi collaboratori che spesso vivono in aree pericolose.

Ma, altrettanto importante, è il tema della authorship (titolarità degli autori di un testo), che non è sempre facile determinare e che sarà certamente plurale e aperta. Tutto questo solleva temi che sono sicuramente da affrontare in vista anche della valutazione (come saranno valutati questi prodotti “a molti nomi” nella prossima VQR? Ci sarà una valorizzazione, per lo sforzo creativo, o una penalizzazione, in quanto pratiche esterne all’usuale?).

La burocrazia e il sostegno alla ricerca devono venire incontro anche sul fronte delle proroghe dei progetti e la rimodulazione dei costi. Se in alcuni progetti è stato possibile prorogare assegni di ricerca, ricorrendo a una ridefinizione dei costi, in altri - la maggioranza - questo non è stato possibile e molti assegnisti e molti dottorandi non hanno potuto avere una proroga per assenza di fondi. Le politiche della ricerca in futuro dovranno concentrarsi su questi aspetti, così come dovranno aiutare a riflettere molto sulla digitalizzazione del patrimonio culturale conservato in biblioteche e archivi (anche recenti). Se da un lato una completa digitalizzazione non risolve il problema (l’accesso alla fonte primaria per la ricercatrice o il ricercatore è fondamentale) dall’altro mostra, almeno per l’Italia, gravi ritardi nel confronto con altri paesi (come ad esempio gli Stati Uniti). Un investimento urgente di sistema è quindi necessario per ridurre un divario che altrimenti non è colmabile per chi opera in Italia.

Che cosa rimarrà dopo la pandemia?

Di certo la pratica delle riunioni via zoom si è ormai molto diffusa.  Nelle ricerche che coinvolgono gruppi sparsi per il mondo sarà importante anche in un futuro post-pandemico e avrà quindi senso mantenerla. Però c’è anche un tema legato alle forme della ricerca che da individuale (o comunque di piccoli gruppi) diviene collettiva, in un senso molto largo. Non è solo un problema del numero di persone che svolgono i progetti di indagine, ma più profondamente tocca la stessa definizione o co-definizione delle domande di ricerca da individuare assieme ai collaboratori, i soli in questo momento ad avere accesso ai luoghi della ricerca. Anche qui qualcosa di prezioso potrà essere conservato come passo ulteriore verso la decolonizzazione delle ricerche nel Sud globale. L’aiuto che potrà venire dalle istituzioni preposte (Ateneo, Ministero, etc.) dovrà guardare alle facilitazioni nelle procedure burocratiche e negli aspetti legali e assicurativi, in un’ottica di risoluzione dei problemi piuttosto che di controllo formale di procedure rigide.

Sul fronte del sostegno alla ricerca, precaria e non, è invece necessario riflettere in maniera approfondita sui temi e sui tempi della ricerca con uno sguardo più a lungo termine e che non si limiti a un arco di tempo annuale o biennale. L’incertezza risiede in particolare nel non sapere quando riapriranno o meno certi luoghi (archivi, biblioteche, musei) perché la ricerca richiede una frequentazione dei luoghi deputati a essa che ha bisogno di tempo e continuità, pur in condizioni di sicurezza. Bisogna, in ogni caso, stimolare lo sviluppo di reti interbibliotecarie di prestito, anche digitale, più ampie di quelle esistenti, consentendo all’intera comunità di ricercatrici e ricercatori di potervi accedere.

Permanenze importanti, comunque, potrebbero esserci dal punto di vista epistemologico. Siamo di fronte a rischi rilevanti che coinvolgono in particolare le domande di ricerca poiché ci troviamo di fronte a un mondo distopico e inimmaginabile fino al febbraio dello scorso anno, un mondo frutto della separazione tra i luoghi delle fonti e il posto della ricerca. Il rischio è di scegliere strade più sicure evitando di prendere alti rischi (ricerche multi-situate, ad esempio, o fonti che non siano già di per sé seriali). Anziché essere “high-risk / high-gain” (capace di rischiare e così di innovare) la ricerca potrebbe diventare “low risk / low gain” (ancorata al poco che è possibile fare secondo le procedure tradizionali), predeterminata, fortemente deduttiva e difficilmente modificabile in corso d’opera.

Un bilancio globale porta quindi a spingere per una ricerca che sia molto diversa, capace di scelte non neutrali e di superare una certa ritrosia ad esplorare nuovi temi. Vi sono poi alcuni problemi da monitorare nelle conseguenze della ricerca on-line: dai problemi di smaterializzazione del sapere alla necessità di arricchire le banche dati e darne libero accesso. Senza dimenticare che la dimensione dello scambio intellettuale si lega allo scambio sociale, viso a viso: la mancanza di reti di relazioni consolidate e uno scambio scientifico più consolidato possono rischiare di indebolire la ricerca stessa. Il ritardo sulle pubblicazioni, infine, rischia di avere un impatto anche sulle carriere di strutturati e non strutturati, in particolare coloro che sono agli inizi di questo percorso.

Spunti per una riflessione collettiva

Emerge dunque un quadro della ricerca umanistica che, seppur nella diversità delle pratiche, sta affrontando problemi epistemologici e metodologici comuni. Ci pare importante portare all’esterno le nostre esperienze di ricerca, ascoltare quanto avviene altrove, per mettersi insieme così da fare pressione a livello istituzionale sia al fine di orientare i finanziamenti (sicurezza dei luoghi di lavoro, investimento in digitale, ma non solo) sia per risolvere le difficoltà di carattere burocratico - logistico. Quanto sta avvenendo apre un tema che potrebbe mettere in questione il sistema attuale di valutazione basato fortemente sull’individualità e la soggettività della ricerca. Bisogna quindi agire nella direzione di snellire i problemi amministrativi, ma è necessario anche porsi il problema della non-neutralità della ricerca.

La nostra ricerca sta cambiando (nell’ampiezza dei temi, nell’uso degli strumenti che utilizziamo, nelle domande che ci poniamo) e vi sono diverse partite da giocare: open access; minore burocrazia per assumere collaboratori al fine di svolgere il lavoro di terreno o missioni localizzate; biblioteche e archivi comunque aperti; definizione dei criteri per la valutazione futura della ricerca svolta nelle particolari condizioni di questo periodo. La complessità della ricerca in ambito umanistico è amplificata ulteriormente dalla sfida che stiamo affrontando, che comporta una moltiplicazione degli approcci trasversali e una dilatazione ulteriore dei suoi già molti e sfaccettati aspetti.

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Frutto di una riflessione comune avviata all’interno del dipartimento di Scienze storiche, geografiche e dell’antichità dell'università di Padova nel dicembre 2020, alla stesura di questo testo hanno contribuito in particolare Luca Beltramini, Benoît Maréchaux, Matteo Millan, Laura Lo Presti e Margherita Losacco.

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