SOCIETÀ

Ritratto di Ursula von der Leyen: la nuova presidente della Commissione Europea

Il tratto di Ursula von der Leyen che con più nettezza emerge, in questi primi giorni da presidente della Commissione Europea, è la temperanza, il tentativo di non strappare, non in questa fase almeno. Se c’è un rimprovero da fare (e l’Italia sui conti ne ha già incassato uno) si fa con i giusti toni, con fermezza sì, ma con garbo, senza urla.

La parola d’ordine è “unire”, nonostante il risultato ottenuto al Parlamento Europeo il giorno della sua elezione, il 16 luglio scorso, sia stato davvero sul filo di lana, appena 9 voti: un soffio. Peraltro grazie ai voti ottenuti in extremis da gruppi per nulla europeisti, come i polacchi di Diritto e Giustizia, gli ungheresi del Fidesz (che formalmente fanno ancora parte dei Popolari), e del Movimento 5 Stelle.

Ma l’obiettivo primario (di von der Leyen, dei Popolari, di Macron), era proprio quello: conquistare la guida della Commissione. Perché quel +9 non significa fragilità, tutt’altro: vuol dire garanzia di ricoprire quel ruolo, a prescindere, per i prossimi 5 anni. Intanto sarà lei a scegliere i Commissari che la affiancheranno in questa legislatura. Poi si vedrà come blindare e possibilmente irrobustire quella maggioranza. La sobrietà mostrata in queste ore, sommata alla sostanza delle sue proposte operative (e al venir meno delle ragioni politiche contingenti che le hanno sottratto una buona porzione di voti), giocherà probabilmente a suo favore.

La parola d’ordine di Ursula von der Leyen è “unire”

Una conservatrice atipica

Ursula Albrecht (von der Leyen è il cognome del marito, un medico tedesco, famiglia nobile) è una donna che sfugge alle etichette. L’hanno definita “conservatrice atipica”, proprio per questa sua autonomia di scelte, spesso al di fuori degli schemi. Nata in Belgio nel 1958, trasferita in Germania fin da giovanissima (il padre, Ernst, è stato Ministro-Presidente della Bassa Sassonia e funzionario d’alto rango della nascente Comunità Economica Europea), s’iscrive nel 1990 al partito dell’Unione dei Cristiano Democratici (Cdu), ma la sua carriera politica prende vigore e visibilità nel 2005, quando Angela Merkel la sceglie come Ministro della Famiglia (e fu promotrice in quegli anni di un programma di ampliamento degli asili nido, sui luoghi di lavoro e non solo, per andare incontro alle necessità delle mamme lavoratrici). Da allora ha sempre fatto parte dei governi della Cancelliera, anche come ministro del Lavoro e Affari sociali e infine della Difesa (provocando polemiche e qualche sospetto). L’hanno definita “delfina della Merkel”: ma in realtà non è stata mai in predicato di prendere il suo posto. Non ancora, almeno.

Nel disegnare il profilo di Ursula von der Leyen (per gli appassionati di biografie: 6 fratelli, 7 figli, una laurea in medicina, ginecologa) emergono con chiarezza i tratti della sua “trasversalità politica”, per così definirla. A voler semplificare: di destra sulle questioni di pura economia, progressista sulla difesa dei diritti delle minoranze. Per dire: ai tempi della crisi della Grecia è stata una delle più intransigenti sostenitrici dell’austerity, addirittura più rigorosa del falco Wolfgang Schäuble, ex ministro delle Finanze e attuale presidente del parlamento tedesco. In pratica voleva che la Grecia impegnasse le sue riserve auree come garanzia del prestito concesso dagli investitori: tutti, non solo in Germania, presero le distanze. Eppure attentissima al riconoscimento dei diritti civili. Uno dei pochi dissidi pubblici con Angela Merkel è stato sul riconoscimento delle unioni gay in Germania (legali dal 2017), che la Cancelliera ha sempre pubblicamente osteggiato e mai votato. La von der Leyen si è pronunciata a favore della tutela dei diritti dei migranti (nel 2016 incassò le critiche di un Salvini ancora marginale nella vita politica italiana, che le rimproverava la decisione di voler arruolare anche i rifugiati nelle forze armate tedesche. «Roba da matti», commentò il leghista sui social, senza ottenere risposta).

La mossa di Macron

Se oggi siede su una delle poltrone più prestigiose dell’Unione Europea è grazie a un’intuizione di Emmanuel Macron. Il presidente francese ha proposto von der Leyen con il triplice obiettivo di rompere lo schema dello “Spitzenkandidat” (affossando la candidatura di Manfred Weber per i Popolari, e Frans Timmermans per i Socialisti), portare dalla sua parte Angela Merkel, non potendo la premier tedesca rifiutare la candidatura della sua fedelissima (anche se, formalmente, si è astenuta dal votarla, per non scontentare l’Unione Cristiano Sociale, il partito di Weber: anche la Cancelliera deve badare agli equilibri interni), e accreditando così i Liberali di un ruolo centrale nella tessitura della maggioranza. Certo, non tutti hanno esultato. Non i Socialisti, delusi dalla mancata convergenza su Timmermans, e in qualche modo ricompensati con la nomina di Josep Borrell ad Alto Commissario e di David Sassoli a presidente dell’Europarlamento. Non i Verdi, esclusi dalla partita delle nomine nonostante l’ottimo risultato ottenuto alle elezioni europee del 26 maggio. Non quella porzione di Popolari che puntava forte sul candidato Weber, e che mal digerisce quel ruolo da protagonista preteso da Macron. Non i partiti sovranisti, costretti ad accontentarsi di candidati altrui. La somma di questi malumori, al netto di un capillare lavoro diplomatico condotto dalla stessa von der Leyen nei giorni che hanno preceduto il voto, ha prodotto il +9 finale.

Le urgenze dell’Europa

Ma ci sarà tempo per recuperare consensi. Nel discorso programmatico pronunciato a Strasburgo il 16 luglio scorso, von der Leyen ha toccato temi ben precisi e mirati a intercettare le priorità, le sensibilità dei più importanti gruppi europei. A partire dall’emergenza climatica: «La nostra sfida più pressante è mantenere il pianeta sano. Voglio che l’Europa diventi il primo continente completamente libero dalle emissioni di CO2 entro il 2050. Ritengo non sufficiente l’obiettivo di ridurre del 40% le emissioni nocive entro il 2030. Entro quella data bisognerà arrivare al 50, anche al 55%». I Verdi hanno apprezzato. Capitolo sociale: «Dobbiamo prenderci cura dei più vulnerabili. Dobbiamo combattere la povertà». Per poi aggiungere. «Gli europei hanno combattuto duramente per la loro libertà e indipendenza. Lo stato di diritto è il nostro miglior strumento per difendere queste libertà e proteggere i più vulnerabili». E propone una sorta di Patto di Garanzia, perché tutti i bambini a rischio povertà possano avere accesso ai diritti fondamentali, istruzione e assistenza sanitaria. Ma non solo: «La gente ha paura, speranze, sogni e aspirazioni. Quello che l’Europa può provvedere a dare loro è lavoro, prospettive, stabilità e sicurezza. In ogni paese il lavoro deve dare di che vivere: per questo combatterò per avere il salario minimo in ogni paese». I Socialisti hanno applaudito.

Capitolo migrazioni: «Negli ultimi cinque anni oltre 17mila persone sono annegate nel Mediterraneo, che è diventato una delle frontiere più letali al mondo. In mare esiste il dovere di salvare vite umane e nei nostri Trattati e convenzioni è previsto il dovere giuridico e morale di rispettare la dignità di ogni essere umano». Von der Leyen ha anche parlato di patto di stabilità («Dobbiamo far sì che possa essere utilizzata tutta la flessibilità prevista dalle regole. Non è il popolo che serve l’economia, ma è l’economia che è al servizio del nostro popolo») e di economia («Abbiamo bisogno di rafforzare la nostra spina dorsale, le piccole e medie imprese. Sono innovative, sono imprenditoriali, sono flessibili e agili, creano posti di lavoro, forniscono formazione professionale ai nostri giovani».

Quindi un programma pensato per unire, per coinvolgere. Per rafforzare il concetto di Europa. Un programma ambizioso (che ai nazionalisti non piace e non piacerà) con l’unico difetto, per così dire, della non semplice realizzazione. Perché per fare serve determinazione, e non soltanto da parte della presidente della Commissione. Serve coerenza, pragmatismo. Serve intesa tra i paesi membri. Tra gli obiettivi da raggiungere anche un'Europa più ambiziosa nello sfruttare le opportunità dell’era digitale (a partire da norme comuni per le reti europee 5G). Entro il 2025 dovrebbe essere inoltre realizzato lo spazio europeo dell’istruzione e sarà pubblicato il piano d’azione per l’istruzione digitale che dovrà prevedere corsi online aperti e di massa e fare in modo che le competenze digitali diventino competenze di base per tutti gli europei. La Commissione inoltre sosterrà l’obiettivo del Parlamento europeo di triplicare la dotazione di bilancio del programma Erasmus+. «La disoccupazione giovanile in Europa è al 14%, ma varia da zona a zona, in una forbice che va dal 5 al 40%. Dobbiamo quindi dare garanzie ai giovani in ogni Paese membro», ha promesso la nuova Presidente.

Prima donna a Bruxelles

Ursula von der Leyen è la prima donna eletta a capo della Commissione Europea. Non è un dettaglio. Nel suo discorso ha promesso massima attenzione alla parità di genere. «Attorno al tavolo della Commissione ci saranno altrettanti uomini e donne. E’ un risultato che voglio ottenere, e sul punto sarò testarda», ha ribadito in varie interviste.

Per poi aggiungere: «Nei colloqui che ho avuto prima del voto, ho avuto la sensazione che fosse più semplice costruire ponti con le donne. Molte di loro si sono rivelate molto pragmatiche e orientate al risultato». Il termometro delle nomine dei commissari, al momento, pende ancora dalla parte maschile (10-5), ma la partita non è finita e appare assai probabile che si possa raggiungere un punto di equilibrio. La nomina di Christine Lagarde alla guida della Banca Centrale Europea è il segno che probabilmente, e finalmente, qualcosa sta davvero cambiando.

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