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In Salute. Donne e malattie cardiovascolari: servono prevenzione e informazione

“Le malattie cardiovascolari nelle donne rimangono poco studiate, poco riconosciute, sottodiagnosticate e sottotrattate”. Ad affermarlo, in un documento pubblicato su The Lancet nel 2021 (The Lancet Women and Cardiovascular Disease Commission: reduce the global burden by 2030), una commissione internazionale di 17 esperti di 11 Paesi che indica, attraverso una serie di obiettivi auspicabilmente da raggiungere entro il 2030, la necessità di diminuire l’impatto delle malattie cardiovascolari nella popolazione femminile.

Tali patologie sono la principale causa di morte nelle donne e tra queste, stando ai dati riferiti nel rapporto, sono responsabili del 35% del totale dei decessi nel 2019. Nello stesso anno sono stati stimati circa 275,2 milioni di casi di malattie cardiovascolari nella popolazione femminile mondiale. La diagnosi a volte risulta difficile, perché il quadro clinico nelle donne può essere diverso rispetto agli uomini e non così evidente. I farmaci impiegati provocano talora significativi effetti collaterali, non rilevati invece nella popolazione maschile. I fattori di rischio per le donne, inoltre, sono aumentati rispetto a un tempo, perché diverso oggi è lo stile di vita. A ciò si aggiunga che il rischio cardiovascolare dalle stesse interessate non viene percepito (a torto) con la stessa sensibilità di quello oncologico, per esempio.

Per tutte queste ragioni, è fondamentale innanzitutto fare prevenzione, promuovendo la cultura di uno stile di vita sano; serve fare informazione ed educare alla medicina di genere, fin dai primi gradi della scuola dell’obbligo. Ad esserne convinta è Maria Grazia Modena, professoressa di malattie dell’apparato cardiovascolare all’università degli studi di Modena e Reggio Emilia, con cui abbiamo approfondito l’argomento a ridosso del World Heart Day 2022.

Intervista completa a Maria Grazia Modena, professoressa di malattie dell’apparato cardiovascolare all’università degli studi di Modena e Reggio Emilia. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar

Farmaci ed effetti collaterali

Gli studi epidemiologici longitudinali sulle malattie cardiovascolari sono iniziati alla metà del Novecento, anni in cui si riteneva che questo tipo di patologie interessassero principalmente gli uomini. Proprio per questo motivo, le indagini sulle donne sono cominciate solo intorno agli anni Novanta.

“Le donne sono sottorappresentate negli studi clinici, fondamentalmente sui farmaci – sottolinea Maria Grazia Modena –, e il motivo è molto chiaro: la donna è complessa, ha una pubertà diversa dall’uomo, ha il ciclo mestruale, è fertile, può avere una gravidanza, può allattare, va in menopausa. La donna, per questo, è difficile da studiare”. È dunque molto più semplice reclutare gli uomini negli studi clinici, dato che non richiedono tante varianti del ciclo vitale. “Le ricerche già condotte non si possono ripetere, ma gli studi nuovi stanno arruolando un numero maggiore di donne”.

Attualmente tuttavia molti dei farmaci più usati, hanno effetti collaterali sulle donne, proprio perché gli studi che ne stanno alla base sono stati condotti solo nella popolazione maschile. Stando ai risultati dello studio INTERHEART di cui Lancet riferisce, le donne sembrano avere un rischio maggiore di infarto miocardico acuto associato alla prevalenza dell'ipertensione rispetto agli uomini. “L’ipertensione oggi si cura con gli ace-inibitori. Ebbene, nella donna, in una buona percentuale dei casi – nella mia esperienza anche nel 25-30% dei casi – provoca una tosse stizzosa che fa diventare quasi asmatici. Ma non si cambia farmaco, è una reazione avversa. I calcio-antagonisti, altro grande caposaldo della terapia antipertensiva studiata nell’uomo, nella donna possono dare degli edemi malleolari nel 30-40% dei casi, cioè gambe gonfie a livello della caviglia, che non sono controllabili con i diuretici o altri farmaci. Nell’uomo invece questi effetti collaterali sono molto minori. Le statine (utilizzate per abbassare i livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue, ndr) vengono impiegate meno nella donna, e non danno effetti collaterali particolari”.  

Malattie cardiovascolari: nelle donne sintomi diversi dagli uomini

Nel tempo si è visto che le donne si ammalano, con un ritardo di almeno 10 anni rispetto agli uomini perché fino alla menopausa possono contare sugli effetti benefici degli estrogeni sulla pressione, sul colesterolo, sulla glicemia, che costituiscono i principali fattori di rischio per lo sviluppo di patologie cardiovascolari.

Nella popolazione femminile, inoltre, il quadro clinico può non essere così evidente: spesso il dolore manca, è localizzato in altra sede o confuso con quello derivato da altre patologie. Modena porta un esempio: “La patologia più frequente è l’infarto del miocardio. Quando una coronaria si chiude, il dolore è lancinante, perché la coronaria è molto innervata. Nell’uomo è sempre stato descritto come un dolore che schiaccia il torace, in modo angosciante, che si irradia al braccio sinistro, al mignolo dove arriva il nervo ulnare, e spesso giunge al collo e alla mandibola. Nella donna invece può essere diverso. Più spesso la donna riferisce un dolore violento alla schiena, quindi dorsale, con un senso profondo di stanchezza, di astenia, che tante volte è stato confuso con un’influenza”. Non si tratta ovviamente di un semplice mal di schiena, ma è in genere un dolore molto forte. Queste sono anche le ragioni per cui le donne tendono a recarsi più tardi in ospedale degli uomini, con le conseguenze che ne possono derivare.


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Fattori di rischio

Stando ai dati riportati da Lancet lo scorso anno, nell’ultimo decennio si è registrata una stagnazione nella riduzione complessiva del carico di malattie cardiovascolari nelle donne. In proposito si deve considerare innanzitutto, secondo Maria Grazia Modena, che i fattori di rischio sono aumentati: “La donna fuma di più, conduce una vita più sedentaria, pratica meno attività fisica dell’uomo. Dopo la menopausa, quando il metabolismo cambia, una donna ben informata dovrebbe cercare di controllare l’alimentazione, mentre molto spesso aumenta di peso, e ciò può portare a diabete, ipertensione, alterazione del colesterolo”.

Oggi la donna lavora, segue la famiglia e ha un carico di stress molto più elevato dell’uomo. Tende inoltre a rimandare la gravidanza, ad avere figli in età avanzata. “Una donna che vuole un bambino a 40 anni è meno fertile, per cui ricorre più spesso alla fertilizzazione in vitro o ad alternative di gravidanza che comportano uso di ormoni, con effetti sull’apparato cardiovascolare non ancora del tutto noti. Ma soprattutto la donna che ha figli più avanti nell’età può risultare più spesso diabetica durante la gravidanza, e il diabete è il peggiore fattore di rischio che esista. Può avere anche ipertensione fino al rischio di preeclampsia”. E coloro che sviluppano diabete e ipertensione in gravidanza, possono continuare ad avere problemi di questo tipo anche in seguito.

Va tenuto conto, infine, che sono state acquisite nuove conoscenze in grado di aiutare la donna a conoscere meglio il suo profilo di rischio. “Le malattie autoimmuni per esempio – sottolinea la docente –, l’artrite reumatoide, il lupus, le tiroiditi, la tiroidite di Hashimoto, la miastenia, la sclerodermia, sono quasi solo femminili. E queste patologie predispongono a un rischio cardiovascolare”.

Prevenzione e informazione

Ciò che serve realmente, secondo Maria Grazia Modena, è una maggiore informazione e sensibilizzazione della donna al rischio cardiovascolare. E la prevenzione assume un ruolo fondamentale. “La donna percepisce il rischio del tumore al seno o all’utero, ma deve sapere che il rischio di ammalarsi e morire di tumore al seno è inferiore di tre volte al rischio di morire di infarto e di ictus”.

Già nelle scuole primarie, secondarie, e nelle università a maggior ragione, dove ancora ciò non avviene, serve far conoscere la medicina di genere, perché le malattie nell’uomo e nella donna sono diverse, il cuore è diverso, sottolinea Modena. “Il rischio cardiovascolare e quello oncologico vanno percepiti con la stessa sensibilità: i fattori di rischio sono gli stessi, e cioè il fumo, l’alcol, la mancanza di attività fisica, una scorretta alimentazione. Una sana alimentazione, una dieta mediterranea, previene non soltanto il tumore che può colpire organi di vario tipo, ma anche il rischio cardiovascolare. Allo stesso modo l’attività fisica. Camminare 20 minuti al giorno, tutti i giorni, fa bene al cuore e fa bene anche agli altri organi”.  

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