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In Salute. Immunoterapia: lo stato dell'arte e il futuro della ricerca

È considerata il “quinto pilastro” nel trattamento del cancro, insieme a interventi di altro tipo come chirurgia, chemioterapia, radioterapia e terapie a bersaglio molecolare (target therapy). L’immunoterapia è una delle rivoluzioni in campo oncologico: in sostanza, il sistema immunitario viene indirizzato a riconoscere le cellule neoplastiche e a contrastare la crescita e la diffusione del tumore. Le sue applicazioni oggi sono il frutto di un percorso lungo più di 100 anni: se a William Bradley Coley alla fine dell’Ottocento va infatti il merito di aver gettato le basi per questo nuovo tipo di cura, la pietra miliare è stata senz’altro l’approvazione da parte della Food and Drug Administration di un anticorpo per il trattamento del melanoma metastatico come prima forma di immunoterapia basata esclusivamente sull'attivazione dei linfociti. A sottolinearlo è Vincenzo Bronte, direttore scientifico dell’Istituto oncologico veneto, che su questi argomenti interverrà sabato 14 ottobre al Cicap Fest.

Intervista completa a Vincenzo Bronte, direttore scientifico dell'Istituto oncologico veneto. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar

Le terapie immunoterapiche

“L'immunoterapia – spiega Bronte – ha avuto un risalto particolare nel trattamento delle neoplasie ma viene utilizzata anche per trattare malattie autoimmuni o forme allergiche gravi. Il campo di intervento dell'immunoterapia si sta via via allargando, sebbene per ovvi motivi l'interesse della comunità scientifica in questo momento sia rivolto principalmente al trattamento dei tumori”.  

Negli ultimi anni, le conoscenze dei meccanismi molecolari che indirizzano la risposta del sistema immunitario contro le cellule tumorali ha permesso di sviluppare vari tipi di immunoterapici per il trattamento dei tumori. Tra questi, le citochine immunostimolatorie e la terapia genica con cellule CAR-T (Chimeric Antigens Receptor Cells-T). Quest’ultima in particolare prevede l’impiego di linfociti T (cellule del sistema immunitario) prelevati da un campione di sangue della persona malata di tumore e modificati geneticamente in laboratorio di modo che, una volta reinfusi nello stesso paziente, siano in grado di attaccare il tumore. Si deve ricordare infatti che le cellule tumorali, pur presentando sulla loro superficie proteine mutate (antigeni) che inducono una risposta immunitaria, spesso per svariate ragioni non promuovono una risposta adeguata. E spesso è il tumore stesso (come vedremo) a “spegnere” la risposta del sistema immunitario. Le CAR-T oggi vengono impiegate per il trattamento della leucemia linfoblastica B e di alcune forme aggressive di linfoma non-Hodgkin.

Accanto a queste terapie, va poi citato l’impiego dei linfociti infiltranti il tumore (TIL-Tumor-infiltrating lymphocytes): anche in questo caso le cellule T, che riconoscono la malattia ma non sono in grado di sconfiggerla, sono prelevate nei siti tumorali dei pazienti, trattate in laboratorio con interleuchina-2 e poi somministrate allo stesso paziente.

Tra le immunoterapie possibili, infine, vanno menzionati gli inibitori dei checkpoint immunitari. I checkpoint immunitari sono proteine espresse sulla superficie dei linfociti T, capaci di inviare all’interno della cellula segnali che ne regolano la funzione: frenano, per esempio, l'attività del sistema immunitario quando i patogeni sono stati eliminati. Ebbene, le cellule tumorali sfruttando i checkpoint immunitari sono in grado di bloccare l’azione dei linfociti T, evitando in questo modo di essere attaccate dal sistema immunitario. Gli inibitori dei checkpoint immunitari sono anticorpi monoclonali impiegati proprio per sbloccare l’attività dei linfociti contro le cellule cancerose. Oggi questi farmaci rappresentano il trattamento standard per oltre 20 tipi di tumore, tra i quali di recente si è aggiunto anche il carcinoma colorettale

Vaccini contro il cancro

Parlando di immunoterapia, discorso a parte meritano i vaccini contro il cancro. Bronte ricorda innanzitutto che alcuni di questi sono già presenti in commercio. “Sono i vaccini preventivi, già disponibili o in corso di sviluppo, che prevengono le infezioni da virus associati allo sviluppo di neoplasie, come il papilloma virus che può causare il cancro della cervice uterina, e i virus dell'epatite B e C che possono favorire l’insorgere del cancro al fegato. I vaccini a disposizione hanno permesso di ridurre sostanzialmente l'incidenza di queste neoplasie, quando le campagne vaccinali sono state effettuate nella popolazione di interesse”. 

Oltre a questi ci sono poi i cosiddetti vaccini terapeutici, che agiscono cioè su pazienti con una diagnosi di tumore. “Non sono ancora stati approvati farmaci di questo tipo, ma oggi ci sono sempre più studi di fase 1 e di fase 2 che ne dimostrano l'efficacia”. I vaccini anti-cancro in sostanza stimolano una risposta del sistema immunitario contro un bersaglio preciso cioè l’antigene tumorale, una proteina della cellula cancerosa assente nelle cellule sane. “I vaccini antitumorali possono essere distinti in due tipi: quelli in cui l'antigene è noto e condiviso da diversi tumori, oppure i vaccini personalizzati in cui l'antigene deriva da mutazioni specifiche presenti in quel paziente, in quel particolare tumore. Questi ultimi sono vaccini che devono essere adattati e che al momento attuale rappresentano probabilmente la frontiera più interessante e che vedrà lo sviluppo maggiore nei prossimi anni”. 

Le possibilità tuttavia, specie guardando al futuro, sono anche altre. Gli studi di Katalin Karikò e Drew Weissman per esempio, che hanno da poco ricevuto il Nobel per la Medicina, hanno portato una rivoluzione nel settore delle terapie a RNA e hanno posto le basi per la nuova generazione di vaccini che ha contribuito a limitare l'impatto della pandemia da Covid-19 in termini di vite umane. “Stiamo parlando di decine di milioni di vite salvate”. Bronte sottolinea che Karikò, vicepresidente della Biontech, una delle ditte che ha prodotto il vaccino contro Covid-19, è stata in grado di trasferire le sue scoperte dal laboratorio alla clinica, in un processo costante per lo sviluppo terapeutico di queste molecole. “Questa stessa ditta, oggi, sta sviluppando dei vaccini individualizzati per alcune tipologie di tumore come il melanoma e il tumore del pancreas che è estremamente difficile da trattare”. 

Il futuro della ricerca

La ricerca oggi sta andando in diverse direzioni, tutte estremamente affascinanti secondo Bronte, che meriterebbero di essere discusse. “Vorrei citare qui ciò che secondo me avrà più ricadute in futuro. Innanzitutto la ricerca di combinazioni terapeutiche: oggi sappiamo che è possibile combinare l'immunoterapia con forme più convenzionali di trattamento come la chemioterapia, la radioterapia o la target therapy, cioè la terapia mirata verso bersagli genetici importanti per la crescita neoplastica. Ciò che stiamo cercando di capire è come razionalizzare questo processo, affinché non sia empirico ma guidato dalla conoscenza della risposta immunitaria che sappiamo essere il movente principale dell'effetto terapeutico anche nelle combinazioni”.

Una seconda linea di ricerca che Bronte ritiene essere particolarmente promettente è lo studio del microambiente tumorale. “Il tumore non è formato solo dalle cellule trasformate, ma è un insieme di cellule che comprende sia componenti derivati dal sistema immunitario che cellule del tessuto di origine, come quelle dei vasi sanguigni o che compongono lo stroma (il supporto tissutale per la crescita del tumore). Oggi grazie alle tecniche genetiche e di profilazione avanzata siamo in grado di valutare all'interno del tessuto i rapporti fra le diverse cellule e addirittura fra componenti molecolari all'interno delle singole cellule, per creare una mappa di quello che succede prima e dopo terapia, così da poter dare degli indizi sulla ragione per cui alcuni pazienti rispondono ai trattamenti e altri no, o sviluppano resistenza durante la terapia. Questo ci darà non solo nuovi marcatori per poter migliorare e personalizzare la terapia, ma probabilmente anche nuovi bersagli molecolari che potremmo perseguire in futuro per aumentare l'efficacia terapeutica”.

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