CULTURA

Sandro Veronesi (ri)vince il Premio Strega

Sandro Veronesi è un autore da Premio Strega, inutile girarci intorno. Ma non perché lo abbia vinto, di nuovo (la prima volta con Caos calmo nel 2006), ieri sera, con Il colibrì (La Nave di Teseo), in una proclamazione silenziosa al Ninfeo di Villa Giulia a Roma, quanto piuttosto perché i suoi libri sono così trasversali, e ben scritti, da riuscire nel miracolo di essere al contempo letteratura e fruibili dalla massa dei lettori tutti. Come sono i libri dello Strega.

Prima di lui a vincere il prestigiosissimo riconoscimento due volte fu solo Paolo Volponi con La macchina mondiale nel 1965 e La strada per Roma nel ’91, ma Veronesi, poco prima del beneaugurale sorso di liquore, spiega che “non sono gli autori a vincere ma i libri. E Il colibrì è un libro fortunato”.

E lo è davvero: una ricostruzione tanto visionaria (specialmente nel finale) quanto il più possibile realistica, fatta anche di elenchi, di lettere, di cartoline e di tutta quella comunicazione verbale o scritta che costituisce la vita particolare di ciascuno. Lo scrittore nel suo narrare, non segue, poi, l’ordine cronologico ma passa da un frammento all’altro attraversando i lustri  "a salti" e proiettandosi fino a quel 2030 di cui nulla sappiamo e che è insieme vicino e lontanissimo.

Veronesi definisce questa sua ultima fatica una “resistenza al lutto”, quella di Marco Carrera, il protagonista, chiamato dalla madre “il colibrì” per il suo essere così minuto da bambino, ma il colibrì con il suo frullare d’ali immoto è anche metafora di una generazione. Quella dell’autore, e del protagonista (pressoché coetanei), nati nel momento del boom e che hanno visto sgretolarsi pian piano istituzioni, progetti, sogni. Resistendo. Dando fondo a ogni riserva di energia in passioni altre, in possibilità inesplorate, anche se, pare dire l’autore, il destino dei rapporti è deciso all’inizio: non c’è scampo.

L'intervista a Veronesi in occasione dell'uscita de "Il Colibrì" nel 2019

Il colibrì è per molti aspetti un romanzo inedito, un patchwork di linguaggi e forme dove l’autore lavora in sottrazione, ma nulla è risparmiato, né ai protagonisti né tantomeno al lettore, riuscendo in questo a essere liquido, alla Bauman, e contemporanemanente sferzante, puntuto. La vita dei suoi protagonisti – padri, mogli, amanti amate e idealizzate, figli, amici – girano, girano troppo, ma spesso a vuoto, e nella storia familiare che è narrata, fatta di piccoli eventi (in questo c’è l’eco di Caos calmo) che potrebbero invero spazzare via tutto, c’è invece una sorta di fede indomita, che oggi ci serve più che mai.

Dietro a Veronesi ma decisamente distaccato, in questa classifica finale (132 voti contro i 200 del vincitore), c’è Carofiglio con La misura del tempo, poi Almarina di Valeria Parrella (86), quindi Gian Arturo Ferrari con Ragazzo italiano (70), Daniele Mencarelli e il suo Tutto chiede salvezza (67), infine Febbre di Jonathan Bazzi (50). Ma in realtà non c’era gara. Noi Veronesi l’abbiamo intervistato all’uscita libro e già, in cuor nostro, lo sapevamo.


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Il colibrì, intervista a Sandro Veronesi


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