SCIENZA E RICERCA

Sars-CoV-2 e visoni, Viola: "Gli allevamenti intensivi sono un problema"

Stando ai dati riportati dalla World Organization for Animal Health, anche la Grecia in questi giorni segnala il primo caso di infezione da Sars-CoV-2 in un visone. Nei mesi precedenti lo stesso è accaduto nei Paesi Bassi, in Spagna, in Italia, in Svezia, negli Stati Uniti e in Danimarca. Qui, in particolare, sono stati rilevati oltre 200 casi umani di Covid-19 infettati con varianti del virus Sars-CoV-2 correlati al visone e la notizia delle mutazioni – alcune delle quali, in linea teorica, potenzialmente in grado di minare l’efficacia di potenziali vaccini – ha spinto il primo ministro danese Mette Frederiksen ad annunciare l'intenzione di porre fine all'allevamento di visoni per il prossimo futuro e di abbattere circa 17 milioni di animali. Sulla stessa linea i Paesi Bassi che hanno in previsione di abbattere l'intera popolazione di visoni entro il 2021, accelerando i piani per porre fine all'allevamento entro il 2024.

Sono stati proprio i Paesi Bassi i primi a segnalare un’infezione in un allevamento ad aprile, dimostrando che il virus poteva essere trasmesso dal visone all’uomo. A parlarne un gruppo di ricercatori su Science, autori di un’indagine su 16 allevamenti del Paese. Nel corso dello studio sono stati presi in esame anche i residenti, i dipendenti delle aziende e i contatti: complessivamente 97 individui sono stati testati mediante test sierologici e/o tampone molecolare (RT-PCR) e 66 di questi sono risultati infetti. Laddove erano disponibili i genomi interi del virus, è stato possibile dimostrare che le persone erano state infettate dagli animali. Per quel che riguarda, nello specifico, il nostro Paese, su nove allevamenti di visoni distribuiti in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Abruzzo, al 30 ottobre 2020 è stato segnalato un solo caso di visone positivo a Sars-CoV-2 in un allevamento ubicato in provincia di Cremona.

Sars-CoV-2 e animali

Sars-CoV-2 è potenzialmente in grado di infettare molte specie animali, in particolare i mammiferi. Attraverso esperimenti di laboratorio è stato dimostrato che sono sensibili al nuovo coronavirus cani, gatti, furetti, criceti, macachi rhesus, toporagni, gli esemplari di macaco cinomolgo, le uistitì comuni, conigli e pipistrelli della frutta. È stato rilevato inoltre che gatti, toporagni, criceti e furetti, infettati sperimentalmente, potrebbero trasmettere il virus. Al contrario, l'infezione sperimentale di suini e diverse specie di pollame con Sars-CoV-2 si è rivelata infruttuosa. Sars-CoV-2 è stato identificato sporadicamente anche in animali che si sono infettati in modo naturale (non, dunque, in seguito a indagini di laboratorio): negli Stati Uniti e ad Hong Kong, l'RNA di del nuovo coronavirus è stato rilevato nei cani. Nei Paesi Bassi, in Francia, a Hong Kong, in Belgio, in Spagna e negli Stati Uniti, i gatti sono risultati positivi alla RT-PCR per Sars-CoV-2. Il virus, inoltre, è stato rilevato in quattro tigri e tre leoni in uno zoo di New York. In Italia, nei Paesi Bassi e a Wuhan, sono stati rilevati anticorpi nei gatti e recentemente, come si è visto, Sars-CoV-2 è stato rilevato in visoni d'allevamento con conseguenti segni di malattie respiratorie e aumento della mortalità. Cosa sappiamo della possibilità che questi animali trasmettano il virus all’uomo? “Poco – scrive Antonella Viola, docente di patologia generale all’università di Padova –. Per il momento, questo sembra essere poco probabile o per lo meno un evento considerato raro. Tuttavia, nel caso degli allevamenti intensivi di visoni, ci sono evidenze che il virus possa passare non solo dagli uomini agli animali ma anche dai visoni infettati all’uomo e ad altri animali. Questi allevamenti sono quindi una rischiosissima fonte di contagio che, in aggiunta, offre al virus nuovi ospiti e nuove possibilità di mutare”.

L’infezione negli allevamenti della Danimarca

E arriviamo nello specifico agli ultimi fatti occorsi in Danimarca. Il 5 novembre 2020 il Paese segnala la presenza di visoni infetti da Sars-CoV-2 in più di 200 allevamenti e identifica 214 casi umani di Covid-19 infettati con varianti del virus SARS-CoV-2 correlati al visone. La maggior parte dei casi umani e animali segnalati da giugno 2020 si sono verificati nella regione dello Jutland settentrionale. Le varianti individuate, stando  a quanto riportato da un documento rilasciato dal Centro Europeo per le Malattie Trasmissibili – Ecdc il 12 novembre, facevano parte di almeno cinque cluster strettamente correlati, ognuno dei quali è stato caratterizzato da una specifica variante correlata al visone, identificata nell’uomo e negli animali di allevamenti infetti.

Uno dei cluster (Cluster 5), in particolare, è correlato a una variante con quattro cambiamenti genetici, tre sostituzioni e una delezione, nella proteina Spike (S) che il virus usa per entrare nelle cellule e infettarle. Ebbene, le mutazioni in questa regione potrebbero influenzare la capacità del sistema immunitario di rilevare l'infezione. Molti vaccini “addestrano” il sistema immunitario a bloccare la proteina Spike, per questo l’evoluzione dei virus con crescenti cambiamenti nei domini funzionali della proteina S potrebbe avere un impatto sull'efficacia dei vaccini candidati finora sviluppati e forse richiedere che vengano aggiornati. Queste le ragioni per cui sono in corso indagini e studi per chiarire la portata di queste possibili implicazioni, sottolinea il documento dell’Ecdc.

Guarda l'intervista completa all'immunologa Antonella Viola, che si esprime sulle infezioni da Sars-CoV-2 riscontrate nei visoni e trasmesse all'uomo. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar

Secondo quanto riportato da Nature, gli scienziati che hanno esaminato i dati sostengono che le mutazioni in questione non siano particolarmente preoccupanti, perché ci sono poche prove che queste mutazioni permettano al virus di diffondersi più facilmente tra le persone, di renderlo più mortale o di mettere a repentaglio terapie e vaccini. “Le mutazioni associate al visone di cui siamo a conoscenza – afferma Astrid Iversen, virologa dell'Università di Oxford – non sono associate a una rapida diffusione, né ad alcun cambiamento nella morbilità e mortalità”. Ma i ricercatori ritengono, comunque, che l'abbattimento degli animali è probabilmente necessario, data la diffusione rapida e incontrollata del virus nei visoni.

Le varianti Sars-CoV-2 relative al visone, si legge nel documento dell’Ecdc, sono in grado di circolare rapidamente negli allevamenti e nelle comunità umane a questi vicine, tuttavia, non sembrano essere più trasmissibili di altre varianti circolanti di Sars-CoV-2. Si ritiene, dunque, che la probabilità di infezione da varianti correlate al visone sia bassa per la popolazione generale, moderata per le popolazioni in aree con un'alta concentrazione di allevamenti di visoni e molto alta invece per gli individui con esposizione professionale. Inoltre, i pazienti che sono stati infettati da varianti del virus correlate al visone (incluso il Cluster 5 in Danimarca) non hanno mostrato di avere sintomi più gravi rispetto ad altri infettati con varianti non correlate al visone.

Gli allevamenti di visoni e le mutazioni del virus

“In un allevamento intensivo – spiega Antonella Viola – il virus può circolare molto e può infettare tanti animali. In queste condizioni, ma anche in condizioni in cui non c’è una densità di animali come quella degli allevamenti intensivi, la trasmissione uomo-animale del virus, cioè lo spillover inverso, è possibile con questo coronavirus.  Questo lo sappiamo da tempo, perciò è stato importante tenere sotto controllo quello che accadeva nei visoni: se il virus circola molto negli animali, è possibile infatti che cominci a mutare e quindi che si generino delle varianti che poi possono tornare all’uomo. In questo caso, tali varianti potrebbero essere più pericolose, perché magari hanno raggiunto un indice di trasmissibilità diverso, o inducono una patologia più grave o, ancora, perché il nostro sistema immunitario non riesce a riconoscerle nelle persone che sono già state infettate. E questo può accadere, se c’è una mutazione nella regione Spike contro la quale si producono gli anticorpi neutralizzanti”.

Viola si sofferma in particolare sulle varianti rilevate in Danimarca (in particolare sul Cluster 5), non senza precisare tuttavia che ad oggi non esistono pubblicazioni scientifiche in merito, ma solo comunicazioni. “Si tratta di varianti in cui l’immunogenicità è modificata. Gli anticorpi monoclonali che stiamo generando in laboratorio, gli anticorpi neutralizzanti che noi produciamo spontaneamente quando siamo infettati, ma anche i vaccini che stiamo disegnando e sperimentando si basano su una porzione della proteina Spike, per cui se questa dovesse cambiare, c’è il rischio che tutto ciò che abbiamo fatto finora (anticorpi spontanei, anticorpi monoclonali e vaccini) possa non essere utile, non funzionare e se ciò accadesse ovviamente sarebbe un problema gravissimo”.

Tuttavia precisa: “Per il momento ritengo che queste notizie non ci debbano gettare nel panico, perché la variante di Sars-CoV-2 che sta circolando è sempre quella circolata sin dall’inizio, almeno in Europa e in Italia. È una variante che si sta cercando di bloccare attraverso la vaccinazione e gli anticorpi monoclonali, per cui non c’è motivo di allarme”.

Varianti virali e vantaggi selettivi

Secondo Antonella Viola è pensabile che esista una pressione selettiva operata dal sistema immunitario, e quindi dagli anticorpi neutralizzanti. Quando il virus si replica all’interno del nostro corpo, noi sviluppiamo delle armi per bloccarlo. Poiché il virus muta spontaneamente, le varianti che sfuggono all’azione degli anticorpi neutralizzanti hanno un vantaggio selettivo rispetto agli altri. “Possono dunque generarsi delle varianti, come la N439K che effettivamente sembrerebbe essere riconosciuta poco dagli anticorpi monoclonali in commercio, così come dai sieri dei pazienti guariti. Sappiamo che questo può accadere in virologia, nell’interazione tra virus e sistema immunitario, ed è anche per questo che i nuovi vaccini basati su Rna sono così interessanti (Sars-CoV-2 è un virus a Rna ndr)”. Questo tipo di vaccini funziona in modo semplice: nel corpo umano viene iniettato un frammento di codice genetico del virus che codifica per la proteina Spike, poi sono le nostre stesse cellule a produrre tali proteine (ma non tutto il virus) proprio a partire dalle informazioni dell’Rna virale: iniettandone una quantità controllata il nostro organismo si allena a predisporre una risposta immunitaria. “Dunque, se nel tempo dovesse emergere una variante, possiamo cambiare la sequenza e molto facilmente avere un vaccino specifico per questa nuova variante”

Già da aprile, con le segnalazioni nei Paesi Bassi, si era a venuti a conoscenza che il virus Sars-CoV-2 poteva essere trasmesso dall’uomo al visone e, viceversa, dal visone all’uomo, ma dopo le notizie giunte dalla Danimarca la preoccupazione sembra essere salita. Se il fenomeno dovesse continuare e il diffondersi del contagio tra gli animali e poi il passaggio del virus all’uomo non dovessero arrestarsi, potrebbero emergere nuove varianti. “Se emerge una variante nuova e resta isolata – osserva l’immunologa – non è un problema, ma se entra nel circuito del contagio e ha un vantaggio selettivo rispetto a un’altra certamente lo è. Quindi tutte le mutazioni vanno tenute sotto controllo, qualunque esse siano. Per questo è così importante fare le sequenze dei virus: si deve capire come si sta spostando e come sta cambiando. Gli allevamenti intensivi in questo momento sono un problema, perché offrono terreno fertile al virus per muoversi e fare salti pericolosissimi uomo-visone e visone-uomo. Serve prestare molta attenzione e riflettere se sia il caso di mantenere strutture di questo genere o se possiamo farne a meno”.

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