SOCIETÀ

La segregazione razziale di inizio Novecento ha raddoppiato il tasso di mortalità dei bambini neri

Secondo i risultati di un recente studio, la segregazione razziale potrebbe essere il motivo per cui il tasso di mortalità infantile negli Stati Uniti all’inizio del secolo scorso era quasi doppio tra la popolazione nera rispetto a quella bianca. Queste evidenze sono in linea con quelle di altri recenti lavori di ricerca che hanno approfondito la relazione tra le diverse forme di razzismo strutturale storicamente radicate nella società americana e le differenze di salute ancora esistenti tra la popolazione bianca e quella nera. La segregazione residenziale (o abitativa) è il fenomeno sociologico e demografico – che avviene in ogni area del mondo a prescindere dall’esistenza di specifiche regolamentazioni – per cui alcuni gruppi di popolazione (etnici, religiosi o caratterizzati da un determinato livello di istruzione o di reddito) tendono a concentrarsi prevalentemente in alcune specifiche zone del territorio urbano.

Negli Stati Uniti il tasso di segregazione è cresciuto costantemente dal 1877, con l’inizio dell’epoca delle leggi di Jim Crow e la diffusione di politiche di separazione tra bianchi e neri, fino agli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Queste storiche dinamiche demografiche hanno creato delle disparità significative in termini di salute, accesso all’istruzione, opportunità di carriera, sicurezza personale, contatto con la criminalità e benessere psicosociale tra individui bianchi e neri dal XIX secolo a oggi, le quali sono state ampiamente approfondite nella ricerca in ambito storico, sociologico e demografico. Gli studi in questione indicano che le comunità segregate siano generalmente quelle più svantaggiate a livello socioeconomico e che vivere in quartieri segregati e poveri durante l’infanzia impatti negativamente sui futuri livelli di felicità e di realizzazione personale. Simili ricerche hanno anche approfondito la storica relazione tra la segregazione abitativa e disuguaglianze sanitarie, rilevando una maggior incidenza tra adulti e bambini neri di diversi problemi di salute tra cui asma, rischio di parti prematuri, obesità, diabete, ipertensione e malattie enteriche e respiratorie causate dall’inquinamento.

Nel filone di ricerca che indaga la relazione tra la segregazione abitativa e le disparità in termini di salute si inserisce il recente studio condotto da J'Mag Karbeah e J. David Hacker, ricercatori dell’Università del Minnesota, che hanno approfondito la relazione tra la segregazione razziale residenziale e i tassi di mortalità infantile negli Stati Uniti all’inizio del XX secolo. Gli autori si sono basati su un dataset storico che comprendeva le trascrizioni complete di due censimenti condotti, rispettivamente, nel 1900 e nel 1910, che contenevano informazioni anagrafiche e demografiche relative a circa 168 milioni di persone in totale. Tali censimenti includevano inoltre il numero di figli deceduti entro i primi cinque anni dalla nascita di ogni donna intervistata. Considerato che negli anni in cui sono stati compilati i censimenti, agli inizi del Novecento, quasi il 90% delle persone nere viveva negli stati del sud, gli autori hanno ristretto l’analisi a quell’area, che comprendeva 16 stati e il distretto di Columbia. I dati tratti da questi sondaggi hanno permesso agli autori non solo di calcolare la quantità di bambini bianchi e neri nati nei cinque anni precedenti a ciascuno dei due censimenti – che erano in totale quasi 4,7 milioni – ma anche di ricostruire i confini dei quartieri delle città e dei paesi considerati per valutare, per ognuno di essi, la percentuale di abitanti bianchi e neri e il livello di concentrazione razziale al loro interno.

L’analisi dei dati conferma l’esistenza di un divario significativo nei tassi di mortalità infantile tra bianchi e neri all’inizio del secolo scorso. In particolare, il rischio di morte prematura era più alto del 58% nelle aree rurali e dell’80% in quelle urbane per i bambini neri rispetto a quelli bianchi. Dieci anni dopo questa percentuale era salita al 60% nelle aree rurali e ben al 94% in quelle urbane. Il caso più degno di nota riguarda la città di Savannah, in Georgia, dove quasi la metà dei figli delle persone nere moriva prima di compiere cinque anni. Ma il risultato principale dello studio di Karbeah e Hacker riguarda, come anticipato, il rilevamento di una correlazione tra i modelli di segregazione razziale e i tassi di mortalità infantile tra i neri. Gli autori hanno infatti constatato che più era alta la percentuale di famiglie nere residenti in un determinato quartiere, maggiori erano i tassi di mortalità infantile al suo interno. Un’ulteriore conferma dell’esistenza di questa correlazione deriva dalla sua evoluzione nel tempo: man mano che la segregazione razziale aumentava nel corso dei primi anni del XX secolo, cresceva di pari passo il divario nei tassi di mortalità tra bambini bianchi e neri.

Lo studio mostra inoltre come, a prescindere dal colore della pelle degli individui, anche lo scarso livello di alfabetizzazione dei genitori fosse correlato a un alto tasso di mortalità infantile, pur considerando che la percentuale di persone analfabete era decisamente maggiore tra la popolazione nera rispetto a quella bianca: nel 1900, nelle zone rurali del sud, il 71% dei bambini neri aveva almeno un genitore analfabeta rispetto al 25,7% dei bambini bianchi.

Infine, come viene chiarito gli autori, i risultati descrivono sì un’associazione tra la segregazione residenziale e i tassi di mortalità infantile, ma non bastano a stabilire con certezza che la seconda sia una conseguenza diretta della prima. In altre parole, per quanto l’elevata mortalità infantile tra i neri sia legata alla segregazione residenziale, i motivi che spiegano questa dinamica sono solamente ipotizzabili e riconducibili alle peggiori condizioni ambientali e di sicurezza dei quartieri abitati dalle famiglie nere: alcuni studi dimostrano che i gruppi di popolazione socialmente svantaggiati tendano a vivere in quartieri caratterizzati da una minore presenza di vegetazione; inoltre, le condizioni ambientali (qualità dell’aria, dell’acqua, tasso di inquinamento, esposizione a sostanze tossiche, eccetera) che un bambino sperimenta nella sua quotidianità a casa, a scuola o nelle aree di gioco, hanno un importante impatto sulla sua salute futura, insieme alla dieta, allo stile di vita, alla possibilità di frequentare spazi verdi e di accedere a servizi igienico-sanitari di qualità.

Come anticipato, le comunità nere sono ancora quelle mediamente più svantaggiate dal punto di vista socioeconomico e sanitario, e i tassi di mortalità negli Stati Uniti sono ancora più alti tra la popolazione nera rispetto a quella bianca. Per questo motivo, come affermano gli autori, assumere una contezza storica di questo fenomeno può servire anche a ricostruire le radici delle disuguaglianze sanitarie e dei tassi di mortalità odierni. Da qui la necessità di approfondimenti futuri che cerchino di individuare con maggiore precisione i fattori che spiegano la relazione tra la segregazione abitativa e il divario dei tassi di mortalità dal Novecento a oggi.

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