
“Le persone non stanno più sui social, hanno fame di vita vera” oppure “dopo il Covid ci siamo tutti stancati di stare online” o, ancora, “Instagram – o Facebook, Twitter, YouTube eccetera – è morto”.
Sono frasi che si sentono di frequente, e da anni. Non solo nella versione chiacchiera da bar, durante le quali a ognuno di noi può capitare di condividere informazioni non verificate o opinioni personali, ma anche quando parlano addetti ai lavori, che forse pensano che non ci siano dati per confermare o smentire le loro teorie.
In realtà i dati ci sono, ed escono ogni anno nel rapporto che We are social sviluppa in collaborazione con Meltwater: un'analisi che offre una panoramica dettagliata sull'utilizzo di internet, dei social media, dei dispositivi mobili e dell'e-commerce a livello mondiale raccogliendo dati aggiornati per evidenziare le tendenze digitali emergenti e i cambiamenti nei comportamenti online degli utenti.
Quanto siamo stati sui social negli ultimi anni?
Molti hanno parlato di social-fatigue post pandemia, e sicuramente alcune persone l’hanno sentita. Se però si va a guardare i dati, questi dicono tutt’altro: a livello mondiale dal 2020 al 2023 l'utilizzo dei social media ha mostrato una crescita costante sia in termini di utenti che di tempo dedicato alle piattaforme.
Nel 2019, passavamo in media 144 minuti al giorno sui social. L’anno successivo, come prevedibile, c’è stata una crescita ulteriore, ma non del tenore che si potrebbe immaginare. Del resto non tutti i paesi del mondo hanno vissuto la pandemia allo stesso modo, e i lockdown sono stati limitati in alcuni di essi. Il tempo medio di utilizzo dei social nel 2020, infatti, è aumentato di un solo minuto rispetto all’anno prima (quindi 145 minuti). Nel 2021 la crescita è proseguita, e si è arrivati a 147 minuti, mentre nel 2022 si è raggiunto il record di 151 minuti.
Quello della social-fatigue da post lockdown quindi è un falso mito, mentre è vero che la pandemia di ha accelerato l'adozione dei social media, con gli utenti che hanno raggiunto circa 4,20 miliardi, pari al 53,6% della popolazione mondiale (l’anno precedente era solo il 49%). Il discorso del tempo passato sui social può avere senso se si va a vedere la tendenza delle singole piattaforme, perché per esempio TikTok ha avuto una grandissima crescita, togliendo preziosi minuti alle concorrenti.
L’inversione di tendenza
La vera social fatigue però è arrivata davvero, ed è successo nel 2023. Il tempo medio passato sui social è diminuito di ben 8 minuti al giorno, passando a 143: un balzo indietro non indifferente, specie considerando che invece il tempo medio passato su Internet era aumentato di tre minuti.
Il dato di un singolo anno, però, non dice nulla a livello strategico, anche perché We are social aveva modificato la metodologia di misurazione: investire meno sui social, con il rischio che l’anno dopo si torni ai livelli di prima o quasi, è una scelta poco lungimirante (anche perché in Italia, dove si aspetta ancora il report sul 2024, la decrescita nel 2023 non c’è stata). Decisioni di questo tipo andrebbero prese sulla base di altre variabili, o quantomeno se si individua una tendenza costante. In quest’ottica per molti il report del 2025, riferito al 2024, era un po’ una prova del nove: è vero che nemmeno due indizi danno una prova, ma possono cominciare a definire una tendenza.
Ebbene sì, anche nel 2024 il tempo passato sui social media a livello mondiale è calato, passando a 141 minuti al giorno. Era importante saperlo, anche perché se il calo fosse stato imputabile solo al nuovo metodo di misurazione ci sarebbe dovuta essere una crescita, considerata la tendenza degli anni precedenti. Come dicevamo, è ancora presto per decretare la morte dei social network, anche perché bisogna vedere i dati della singola piattaforma (TikTok per esempio è in costante crescita, sia per numero di utenti sia per tempo passato sulla app), e se il tempo trascorso sui social diminuisce è anche vero che aumentano gli utenti attivi mensili su quasi tutte le piattaforme.
Tempo a parte, quante persone usano i social?
Dal 2019 al 2024, il numero di utenti attivi mensili su Facebook, Instagram, YouTube e TikTok ha mostrato una crescita costante, il tutto mentre il numero di profili attivi complessivamente sulle piattaforme lo scorso anno ha superato i 5 miliardi (più del 62% della popolazione mondiale, ma quest’anno siamo già arrivati al 63.9%). Naturalmente il tasso di crescita cambia da un social all’altro anche in base alla maturità dello stesso: Facebook e YouTube, per esempio, esistono da molti anni (YouTube quest’anno ha spento 20 candeline e Facebook lo ha fatto l’anno scorso). Probabilmente i social più “anziani” si stanno avvicinando alla saturazione, mentre quelli più freschi come Tiktok al contrario stanno crescendo molto in fretta. Il social cinese, infatti, ha registrato la crescita più rapida, perché dal 2020 al 2024 ha quasi triplicato la sua base di utenti. In questo report, però, Facebook e Tiktok non sono direttamente confrontabili: nel primo caso si parla di utenti unici attivi mensili (MAU, Monthly Active Users), cioè gli utenti che hanno effettuato l'accesso e interagito con la piattaforma almeno una volta nel corso di un mese. Questa metrica include chiunque abbia utilizzato l'app o il sito web per qualsiasi attività, come guardare video, mettere "mi piace", commentare, inviare messaggi o semplicemente scorrere il feed. Nel caso di TikTok, invece, non si parla di utenti unici: è più probabile che un utente possa avere diversi profili non collegabili tra di loro, quindi sono dati da prendere un po’ con le pinze. La crescita però rimane ingente, perché è irragionevole pensare che la maggior parte dei nuovi iscritti acceda con più account.
Perché stiamo su Internet e sui social?
Un dato che restituisce una visione ottimistica è quello che riguarda le ragioni per cui si sta su Internet: gli utenti danno la precedenza alla ricerca di informazioni (motivazione che muove il 62.8% degli intervistati, contro il 60.2% di chi cerca il contatto con le altre persone). C’è una differenza generazionale, visto che fino a 34 anni la motivazione primaria è quella di tenersi in contatto con amici e parenti, mentre dai 35 in poi prevale la ricerca di informazioni. Se però parliamo dell’utilizzo dei social, il panorama cambia: sarà che l’audience è tendenzialmente più giovane, ma il primo motivo per cui li visitiamo è la ricerca di connessione sociale, e il secondo la ricerca di intrattenimento.
Sono dati importanti, anche per comprendere meglio come creare una strategia per fare divulgazione online o condividere notizie di attualità. Nonostante il boom dei contenuti informativi e formativi a partire dalla pandemia, la maggior parte delle persone vive i social come una forma di intrattenimento. Chi fa divulgazione, quindi, dovrebbe cercare di scongiurare l’”effetto Wikipedia” e trovare un modo per creare dei contenuti divertenti oltre che formativi, almeno se punta a fare numeri grandi, obiettivo per cui è imprescindibile una strizzatina d’occhio all’algoritmo. Adattarsi a questo meccanismo è una scelta, personale o dell’ente, ma è un problema che bisogna affrontare per evitare di sprecare tempo e risorse senza ottenere i risultati sperati.
Qualsiasi sia la decisione, aumenta sempre di più l’importanza di coltivare anche un canale parallelo, cosa che da anni gli addetti ai lavori si affannano a ripetere inascoltati. E questo non solo perché non è detto che ci si voglia adattare alle dinamiche dell’algoritmo, ma perché, ora più che mai, i social sono instabili. Con TikTok che sembra sempre sul punto di chiudere, X che ha una dirigenza che fa storcere il naso alla maggior parte delle persone, Zuckerberg che si adatta al nuovo corso politico americano e litiga con l’Europa, i social hanno già perso quell’appeal di megafoni democratici che ci eravamo convinti, forse erroneamente, che fossero. O meglio, ci si può ancora esprimere liberamente, come no, si può anche dire che l’omosessualità è una malattia senza che venga cancellato il post, ma forse non è la libera espressione che auspicavano quelli per cui le evidenze scientifiche hanno un valore.
La ricerca di contenuti affidabili e il ritorno dell’approfondimento
Il fatto che la ricerca di informazioni abbia superato il bisogno di contatto come principale motivazione per l'uso di internet, però, suggerisce che il pubblico, o almeno parte del pubblico, stia cercando contenuti di valore e affidabili. La divulgazione può trarre vantaggio da questa tendenza, posizionandosi come fonte autorevole e di qualità, utilizzando un tono leggero ma rigoroso. Esiste anche la possibilità che la motivazione che porta l’utente a navigare su Internet possa determinare un ritorno ai blog e ai siti web, anche se è ancora presto per dirlo, ma se la tendenza dovesse continuare in questa direzione potrebbe rivelarsi una scelta vincente riprenderli in mano (posto che difficilmente i social moriranno nei prossimi anni, non sono quegli 8 minuti in meno a determinare un rischio di questo tipo).
Una buona idea può essere quella di dedicarsi a una newsletter, che ha il pregio di poter approfondire i concetti trattati nei video brevi di 90 secondi (ci sono anche le versioni di tre minuti e di 10 su TikTok, ma faticano a decollare, anche perché la soglia di attenzione sui social è molto bassa). Ci sono molte piattaforme che forniscono questo servizio, ma Substack sembrerebbe quella più lanciata, anche perché ultimamente alla newsletter si è affiancata anche una sezione molto più simile a un social network. Sulla carta è un modello vincente, ma l’azienda sta cercando di macinare utenti in modo abbastanza aggressivo, con le storture su cui ci ha messo in guardia anche Andrea Girolami nella sua newsletter. Che si può trovare su Substack.
L’alternativa per l’approfondimento è sempre YouTube, che è un ibrido tra un social e un motore di ricerca, ma richiede delle competenze tecniche che non tutti hanno.
Uno sguardo all’Italia
Finora abbiamo commentato i dati globali, ma di solito il nostro paese segue queste stesse tendenze. I dati italiani devono ancora uscire, ma negli scorsi anni anche in Italia ricerca di contatto e intrattenimento sono stati i bisogni che spingevano le persone ad andare sui social. Tra l’altro fino all’anno scorso in Italia non c’è stata una diminuzione del tempo trascorso sui social, che anzi è aumentato di un minuto. Generalmente l’Italia nelle sue tendenze è un po’ in ritardo rispetto a paesi come gli Stati Uniti, quindi non possiamo escludere che nei prossimi anni anche da noi ci sarà questo calo, ma naturalmente è solo una previsione, che come abbiamo visto non decreterà comunque la morte delle piattaforme. Da noi TikTok (che fa dell’ingegneria dell’addiction il suo punto di forza) è la app che succhia più tempo: 32 ore e 12 minuti quando al secondo posto della classifica YouTube deve accontentarsi di 18 ore e 15 minuti. Nonostante questo, il numero di utenti è ancora basso: solo il 40.8% del campione utilizza TikTok (il dato, comunque, è in crescita, e magari quest’anno ci saranno delle sorprese, lo scopriremo probabilmente in marzo), mentre il 77.5% utilizza Facebook, che nella narrazione passa come app per boomer e persone arrabbiate, e invece è anche al terzo posto nella hit parade dei social preferiti, dopo Instagram e Whatsapp, che tra l’altro non è nemmeno un social in senso stretto.
I social non moriranno a breve
Quello che emerge da questa analisi, necessariamente limitata a fronte di un report di più di 600 pagine, è che in effetti i social network stanno dando dei piccoli segnali di cedimento, ma nulla che debba far preoccupare Mark Zuckerberg e i suoi amici, almeno nel breve periodo. A noi utenti non resta che fare i conti con le nostre abitudini, e trovare un compromesso tra bisogni ed etica. Perché se è vero che le sensazioni non fanno statistica un certo senso di disagio è inevitabile quando utilizziamo un prodotto, e i social questo sono, che contrasta con i nostri valori.