MONDO SALUTE

La storia di Martino Sclavi e del buco nel suo cervello diventato “Un nido in testa”

Come ti sentiresti se ti dicessi che questo libro, il libro che sto scrivendo per te adesso, sarà l'ultimo che potrai mai leggere? Che il curioso movimento della tua mente ben addestrata metterà le parole una dopo l'altra in modo abbastanza spontaneo fino al giorno in cui, dopo esserti addormentato, ti risveglierai con un buco in testa, un vuoto nel cervello, esattamente nel posto in cui le lettere vengono interpretate come parole e dove la memoria le unisce in modo tale da riconoscerle come elementi consecutivi di una frase”.

Così inizia Martino Sclavi a narrare la sua storia. In un libro che per lui diventa una sorta di terapia, un luogo in cui mettere in ordine le emozioni e i pensieri, ci racconta di come da un giorno all'altro abbia scoperto di avere un tumore al cervello e che le speranze di vita per lui non superavano i 18 mesi.
Quella previsione si rivelò ben poco esatta, perché il romanzo di Martino, dal titolo Un nido in testa, uscito negli Stati Uniti nel 2017, racconta i primi 4 anni dopo quell'evento che la vita gliel'ha cambiata, ma non certo distrutta. Martino Sclavi ha scritto un libro senza riuscire a leggerlo e spesso facendo fatica a completare la frase che aveva iniziato a comporre, e lo ha fatto affidandosi alla voce elettronica di Alex, un programma di sintesi vocale che leggeva per lui.

Il romanzo ha una struttura che ricorda, intenzionalmente, quella di un film di Hollywood, e perciò il racconto ordinato degli eventi dal 2011 in poi viene interrotto di tanto in tanto da alcuni episodi del passato, che sono degli spaccati su quella che il narratore e la sua ex moglie chiamano la sua “vecchia vita”, e che ci aiutano a comprendere chi era Martino, con i suoi pregi e difetti, e chi sia diventato dopo.

La versione italiana del libro è stata pubblicata quest'anno da Laurana editore, e contiene in coda la testimonianza di quattro donne che hanno avuto ruoli diversi ma ugualmente essenziali per Martino fino a quando, nel marzo 2020, è mancato dopo aver lottato per ben 9 anni contro la sua malattia. Sono perciò sua madre Marinella, la sorella Bianca, l'amica regista Penny e la nuova compagna Kerry a descrivere i suoi ultimi anni e a raccontare di come Martino non si sia mai arreso, del suo nuovo personale rapporto con la vita e di come sia riuscito a costruire così tanto in così poco tempo: una nuova casa, nuovi progetti e un nuovo amore.

Nel 2011, Martino viveva con sua moglie Margarita e il figlio Miro a Los Angeles, dove lavorava come produttore cinematografico. Racconta di non essersi preoccupato particolarmente quando aveva iniziato a soffrire di mal di testa frequenti, mancanza di concentrazione e difficoltà a sciogliere nodi nei testi delle sceneggiature che fino a poco tempo prima avrebbe risolto senza problemi. Poco tempo dopo si rese conto però che i mal di testa iniziavano ad essere fortissimi, che la sua memoria non era più la stessa, e che il suo lavoro gli risultava stranamente difficile.

Martino descrive con precisione il lungo percorso che ha dovuto seguire da lì in poi, a cominciare dall'operazione d'urgenza a cui deve sottoporsi per rimuovere l'80% del suo tumore, alla fatica per accedere a un programma sperimentale del National Institutes of Health di Washingon DC, il sollievo che prova sottoponendosi a pratiche come l'ipnoterapia e la meditazione trascendentale e la sensazione di non avere il controllo dei suoi pensieri, come se ci fosse un “alieno” nella sua testa.

“Il fenomeno dell'estraneità che Martino prova è di difficilissima interpretazione”, commenta il professor Carlo Semenza, neuropsicologo cognitivo dell'università di Padova. La prima ipotesi è semplicemente legata alla condizione psicologica esistenziale in cui un individuo si ritrova avendo perso alcune abilità linguistiche. In questo senso, l'afasico e il cerebroleso in generale “è lui e non è più lui allo stesso tempo”. La sensazione è comprensibile e dipende in larga misura dalle attitudini del soggetto, dall'immagine che ha di sé, e dalla sua tendenza a riflettere su sé stesso. Un'altra ipotesi è che la sensazione derivi direttamente dal danno neurologico, che in questo caso provocherebbe una discrepanza tra le informazioni che emergono nella coscienza del paziente, che da un lato si percepisce come “intero”, dall'altra non riceve i soliti input dalle aree che si occupano delle funzioni cognitive”.

Successivamente, Martino si reca a Roma e si sottopone da sveglio a un intervento necessario a rimuovere il restante 20% del tumore dal suo cervello. È allora che i medici “gli tagliano il cervello a pezzettini”, compromettendo però la sua capacità di leggere, nonostante sia ancora in grado di digitare al computer.

“Un disturbo di lettura senza un disturbo equivalente della scrittura è sorprendente e molto raro”, spiega il professor Semenza, “La spiegazione classica (che risale al neurologo francese Dejerine negli anni 90 dell'800) di questi casi insoliti è che in presenza di una lesione occipitale sinistra, quanto viene visto con l'emisfero destro non riesce a raggiungere le aree peraltro intatte del linguaggio scritto (che si trovano nel giro angolare sinistro, nel lobo parietale inferiore) per un ulteriore danno: una interruzione delle fibre che da destra vanno a sinistra attraverso il corpo calloso. Una delle caratteristiche più sorprendenti è che questi pazienti leggano i numeri perfettamente bene: perciò possono leggere 0 come "zero", ma non come "o". Un ruolo importante nella lettura di parole esistenti lo ha la cosiddetta word form area, che si trova sulla faccia inferiore del lobo temporale sinistro (nel cosiddetto giro fusiforme); tuttavia non si riscontrano alessie pure causate esclusivamente da un danno in quest'area”.

In neuropsicologia non sempre si riesce a spiegare tutto. E questo vale per tutte le scienze”, continua il professor Semenza. “Esistono molti casi strani e controintuitivi che rimangono spesso inspiegati. Questo succede perché serve molto tempo per costruire una teoria che al momento dell'osservazione possa essere falsificata e verificata; e quando, avendo perso un po' di tempo, lo si è fatto, e si sono costruiti gli strumenti per un'indagine sperimentale sul paziente, questo può essere stato dimesso o non risultare più rintracciabile, anche a volte perché, purtroppo, morto, o potrebbe aver recuperato spontaneamente.

D'altronde, il cervello è plasticissimo, anche se non si è mai in grado di sapere in anticipo quanto questa plasticità funzionerà per il singolo paziente. Anche se si sa che il recupero può esserci e che può essere aiutato da una riabilitazione, stabilire con esattezza nel singolo paziente cosa succederà è impossibile, perché i disturbi molto spesso coinvolgono molte funzioni insieme”.

Devo accettare la vaghezza delle mie emozioni poiché non sarò mai più in grado di sapere come un normale lettore reagirà a ciò che ho scritto. Ma sono giunto alla convinzione che l'unico modo concreto per lottare per la mia vita è affrontare i miei mostri, ovvero la mia incapacità di leggere, a testa alta”.
(Martino Sclavi, “Un nido in testa”. Laurana editore, 2020)

Sono molte le cose che Martino vede cambiare nella sua vita. Il fallimento del suo matrimonio, la necessità di doversi appisolare di frequente e di convivere con il “buco nella sua testa”. Tutto questo però lo aiuta a definire delle nuove priorità, ad assumere un atteggiamento più introspettivo e a scoprire, con un certo divertimento, che quel buco non è solo un vuoto: ha la forma di un fringuello. Visto così, inizia a fargli meno paura.

Con il suo cervello che si è trasformato in un nido, con la forza che gli trasmettono i suoi cari e con l'effetto terapeutico della scrittura, Martino non dimentica mai quale sia il valore della sua vita, e ci permette di riscoprire questo valore assieme a lui tra le pagine di un libro “bizzarro e perspicace”, che il suo amico Russell Brand nella prefazione definisce “una sorta di guida per coloro che si scoprono vivi dopo essere morti”.

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