CULTURA

In Sudan una “galassia” di antichi monumenti funerari

In uno studio pubblicato su Plos One, un gruppo di ricercatori si è servito del modello di interazione di Neyman-Scott, usato in cosmologia per studiare gli ammassi spaziali di stelle e galassie, per scoprire i criteri secondo i quali sono raggruppati dei millenari monumenti funerari islamici in una regione del Sudan orientale. Lo scopo dei ricercatori era quello di ricostruire le logiche secondo le quali sono posizionate queste antichissime tombe applicando per la prima volta un modello cosmologico all'archeologia. Le tombe si trovano infatti raggruppate in dei cluster (ovvero dei raggruppamenti strutturati di elementi) che ricordano quelli degli ammassi stellari.

Ci troviamo nella regione di Kassala, dove il paesaggio semiarido conserva ancora diversi siti e monumenti funerari del popolo Beja, una popolazione semi-nomade che abita questa zona da duemila anni e rappresenta il gruppo etnico più numeroso presente nell'area.

Stefano Costanzo, primo autore dello studio e ricercatore al dipartimento di studi umanistici dell'università di Napoli “L'Orientale” ha raccontato a Il Bo Live come si sono svolte le ricerche e quali sono i risultati più interessanti di questo lavoro.

L'intervista completa a Stefano Costanzo. Montaggio di Barbara Paknazar

“Il paesaggio funerario dell'area è antichissimo ed è composto da tumuli circolari, di tradizione panafricana e già conosciuti nel campo di studi dell'egittologia, e dalle qubba, monumenti islamici cubici con una cupola sulla cima”, spiega Costanzo. “La costruzione di tutte le tombe presenti, sia dei tumuli antichi, risalenti anche a 2000 o addirittura 3000 anni fa, sia delle qubba, che sono di epoca medievale, e quindi del XV, XVI e XVII secolo, è stata influenzata dall'ambiente naturale. La geologia del luogo, infatti, si presenta con affioramenti rocciosi scoperti, che se vengono spaccati con una martellata, diventano la materia prima ideale per la realizzazione delle tombe”:

A seconda delle zone, ci sono infatti delle differenze per quanto riguarda le tradizioni funerarie e i materiali utilizzati. La realizzazione delle qubba richiede senza dubbio la presenza di rocce metamorfiche, perché per costruire questi monumenti cubici servono dei frammenti piatti che sovrapposti formano delle strutture in grado di resistere alle intemperie senza bisogno di malta o altre sostanze leganti”.

Gli autori hanno costruito un set di dati che comprendeva circa 10.000 monumenti funerari di epoche diverse in un'area di circa 4000 km2. Queste strutture sono state identificate sia grazie alle tecniche di telerilevamento, quindi tramite l'osservazione di immagini satellitari, sia conducendo ricerche sul campo.

“La prima scoperta degna di nota riguarda proprio la quantità di qubba e tumuli che abbiamo ritrovato”, sottolinea infatti Costanzo. Lo studioso, poco priva della pandemia, si era recato sul posto per una ricognizione e si era dedicato a disegnare la mappa geomorfologica della zona. “Si tratta di un processo che comporta l'utilizzo di immagini satellitari e software di disegno che permettono di tracciare sulle mappe forme e vettori georeferenziati”, spiega. “Contestualmente, ho indicato sulla mappa i punti in cui si trovavano tutte le evidenze funerarie della zona. I primi report di esplorazione dell'area risalgono all'inizio del Ventesimo secolo e parlano solo di qualche centinaio di tombe distribuite intorno a un affioramento di rocce chiamato Jebel Maman”.

Costanzo, insieme al suo collega Filippo Brandolini, ne ha trovate invece dieci volte tante. “Visto che erano più di 10.000, abbiamo deciso di impostare un'analisi geospaziale improntata all'influenza dell'ambiente, con lo scopo di quantificare e descrivere i motivi per cui le tombe si trovano specialmente intorno agli affioramenti rocciosi”, racconta il ricercatore.

“Mentre ci occupavamo di questa analisi di primo livello, ci siamo resi conto che la conformazione del territorio non era in grado di spiegare, a livello locale, la clusterizzazione delle tombe. Infatti, sebbene a livello regionale fosse lampante che le tombe si trovassero raggruppate intorno ai frammenti rocciosi, la loro disposizione su scala locale, quindi più ristretta, non era giustificata né dalla presenza delle rocce né da dati topografici.

Abbiamo quindi condotto un'analisi di secondo livello, basata sulle interazioni tomba-tomba, che ci ha portato a scoprire che il Neyman-Scott Cluster Process era in grado di descrivere il nostro dataset di tombe”.

“La peculiarità delle qubba è quella di essere apparentemente tutte uguali”, spiega Costanzo. “Non esiste tra loro una gerarchia stilistica: non osserviamo la presenza di una struttura più grande attorno alla quale orbitano delle costruzioni più piccole. Di conseguenza, non eravamo in grado di definire se c'è ne fosse una di maggiore importanza da cui si dipanasse il cluster.
Il Neyman-Scott Cluster Process permette, in un certo senso, di ragionare al contrario: a partire da un dataset di elementi è in grado di stabilire il baricentro di un cluster. Insomma, pur non essendoci un elemento dominante riconoscibile in quanto tale, questo algoritmo permette di ipotizzare, data la conformazione del territorio, dove è più probabile che si trovasse la tomba ancestrale e, allo stesso modo, come siano state collocate nei suoi dintorni quelle successive, posizionate secondo dinamiche socio-culturali”.

La loro analisi geospaziale avanzata suggerisce infatti che le tombe in questione sono state posizionate secondo due logiche: a livello regionale, queste sono distribuite nell'area secondo il criterio dell'“opportunismo ambientale”. I cluster si trovano infatti nei pressi degli affioramenti rocciosi dai quali vengono estratti i materiali per costruire le tombe stesse e dove la conformazione del territorio è più favorevole. A livello locale, quindi su scala più piccola, la disposizione dei monumenti funerari sembra essere invece frutto di precise scelte culturali. Come le stelle tendono ad ammassarsi attorno a centri di alta gravità, le tombe più recenti vengono man mano raggruppate attorno a quelle più antiche, appartenenti probabilmente a persone della stessa famiglia.

Anche in questo secondo caso, “rimane senza dubbio un criterio di opportunismo geologico a orientare la disposizione delle tombe, ma le forme dei cluster sono probabilmente riconducibili a dinamiche familiari o relative alle interazioni tra le popolazioni del luogo”, continua Costanzo. “Il popolo Beja, infatti, è diviso in sottogruppi, quindi la nostra interpretazione è che ciascun cluster rifletta quanto meno una famiglia, se non addirittura un gruppo.

C'è da dire che non abbiamo studiato la collocazione dei tumuli più antichi, quelli millenari e talvolta riconducibili a popolazioni precedenti ai Beja, secondo il modello dell'interazione tomba-tomba. Abbiamo utilizzato piuttosto questi monumenti come variabili ambientali, determinando quindi che la posizione delle qubba su scala regionale è anche influenzata dalla presenza di tumuli”.

Come scrivono gli autori dello studio, infine, i paesaggi funerari crescono nel corso dei secoli, permettendo così di studiare il rapporto continuativo nel tempo tra comunità umane e ambienti naturali.

“Uno dei punti forti di questo studio è stato poter parlare in termini quantitativi di certe dinamiche socio-culturali relative alle fasi antiche del popolo Beja che finora erano state solo ipotizzate. Costoro, almeno anticamente, non hanno lasciato fonti scritte”, racconta Costanzo. “Tutto quello che sappiamo di loro proviene da testimonianze esterne, per lo più greco-romane o di inizio primo millennio, oppure dai report commerciali dei mercanti egiziani, arabi e ottomani dei secoli successivi. Grazie a questa analisi, quindi, siamo stati in grado di corroborare delle ipotesi che finora si erano basate solo su questo tipo di fonti, e quindi necessariamente soggette a bias, oppure su lavori etno-antropologici odierni”.

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