CULTURA

Il cinema senza critici in giuria

Attrice, regista e sceneggiatrice, regista, scrittore, regista, attrice, regista. Non è l’elenco di professionisti usciti, tranne uno, da una scuola di cinema, sono i mestieri che esercitano i componenti la giuria della prossima Mostra di Venezia. Nella stessa direzione vanno coloro che giudicheranno i film della sezione Orizzonti. Sono tutti del mestiere. Tutto bene, dunque? Fino a un certo punto, perché tutti fanno, egregiamente, un lavoro diverso, almeno in parte, da quello di giurati. Fare un film o scrivere un libro non significa di necessità saper vagliare un’opera. Cosa non semplice, e non riconducibile tanto, o solo, a una questione di gusto. Si tratta piuttosto di analizzare e comparare; ciò significa anche riconoscere, se ci sono, dei padri cui riferirsi, tendenze da rinvenire o contesti formali da individuare. Se possibile con un certo distacco. Perché un regista, o uno sceneggiatore, ha sicuramente una sua “idea di cinema” ed è perfettamente legittimo che non ami, o si tenga molto lontano, da idee diverse. Antonioni, tanto per dire, non credo avrebbe apprezzato le opere di Tarantino. Per un critico non dovrebbe essere così.

Si dirà che la critica cinematografica è in stato grave: emarginata nella stampa, sopraffatta dalle serie, inesistente in tv, ha subito adesso il colpo della chiusura delle sale, o di una riapertura parziale e molto stentata. E la critica era soprattutto rivolta al cinema in sala, con il pubblico. Rimane però, fino a che non ne decretiamo la morte, un buon esercizio formativo. Lo stesso ottimo direttore della Mostra, Alberto Barbera, viene da lì.

Ci sarebbe poi anche l’Università. Anche in questo caso la salute è precaria, lo sanno quelli che ci lavorano. Ma è pur sempre il posto dove si formano le competenze. E in quasi tutte le Università italiane ci sono insegnamenti di cinema e audiovisivi. Non sono più il fiore allocchiello  di qualche Dipartimento, è una rete diffusa, con  didattica mirata e progetti di ricerca. Perché ignorare anche questo bacino?

Si dirà che questa è la difesa di una corporazione. Può darsi. Ma i letterati non difendono il loro terreno, e gli storici dell’arte non fanno lo stesso? E via dicendo per il resto. Non mi sento molto colpevole.

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