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Virus Marburg in Ghana: dalle piattaforme per Ebola possibile un vaccino in tempi rapidi

Due uomini, uno di 26 anni e l’altro di 51, che presentavano sintomi quali diarrea, febbre, nausea e vomito sono deceduti a ridosso del ricovero ospedaliero del 26 e del 28 giugno scorsi: sono i primi due casi di malattia da virus Marburg in Ghana. La conferma è arrivata pochi giorni fa dai laboratori dell'Institut Pasteur di Dakar in Senegal, che collabora con l’Organizzazione mondiale della Sanità.

È solo la seconda volta che un’infezione da Marburg viene rilevata in Africa occidentale. Un singolo caso era stato confermato in Guinea nel 2021, ma fino ad oggi non ne erano stati riscontrati altri. “Le autorità sanitarie – dichiara Matshidiso Moeti, direttore regionale dell’Organizzazione mondiale della Sanità per l’Africa – hanno risposto rapidamente, preparandosi in anticipo a un’eventuale epidemia. Questo è un bene, perché senza un’azione immediata e decisa, Marburg può facilmente sfuggire di mano. L’Oms è sul campo a sostegno delle autorità sanitarie e ora che i casi sono stati confermati, stiamo mobilitando maggiori risorse per la risposta”. Le autorità sanitarie del Ghana sono intervenute inviando esperti sul posto, fornendo dispositivi di protezione individuale, rafforzando la sorveglianza della malattia, rintracciando i contatti e lavorando con le comunità per informare sui pericoli. Al 17 luglio l’Organizzazione mondiale della Sanità rilevava più di 90 contatti, tra operatori sanitari e membri della comunità, che vengono monitorati.    

La malattia da virus Marburg

La malattia da virus Marburg è una febbre emorragica virale altamente infettiva causata dal Marburg marburgvirus (Marv), che appartiene alla stessa famiglia virale di Ebola, le Filoviridae. I due virus causano malattie clinicamente molto simili e tassi di letalità altrettanto simili. “Marburg, come Ebola, è un virus presente nei pipistrelli della frutta in Africa – spiega Cristiano Salata, professore di virologia e microbiologia all’università di Padova – e ogni tanto, sempre come Ebola, dà dei focolai sui primati non umani e sugli umani, anche se con una frequenza minore rispetto a Ebola”. Nel 2007 il virus è stato isolato in pipistrelli della specie Rousettus aegyptiacus e questo ha dimostrato che tale specie costituisce uno dei principali serbatoi naturali.

Il contagio tra esseri umani avviene tramite il contatto diretto con sangue o altri fluidi corporei della persona infetta, ma anche attraverso il contatto indiretto con superfici o oggetti contaminati. Il periodo di incubazione varia da 2 a 21 giorni. La malattia inizia bruscamente, con febbre alta (39-40°C), forte mal di testa e malessere. Molti pazienti sviluppano gravi segni emorragici entro sette giorni. Una caratteristica comune sono i dolori muscolari. A distanza di tre giorni dall’esordio possono comparire diarrea, dolori e crampi addominali, nausea e vomito. L’aspetto dei pazienti in questa fase, secondo quanto riportato dall’Oms, è caratterizzato da “tratti fantasma”, con occhi infossati, volti inespressivi ed estrema letargia. Il coinvolgimento del sistema nervoso centrale può causare confusione, irritabilità e aggressività. Nei casi fatali, la morte si verifica più spesso tra gli otto e i nove giorni dopo l’inizio dei sintomi, di solito preceduta da una grave perdita di sangue e da uno shock. I tassi di mortalità variano dal 24% all'88% nelle epidemie passate.

La scoperta del virus

Il virus Marburg è stato scoperto per la prima volta nell’agosto del 1967 durante un’epidemia a Marburg e Francoforte sul Meno, nella Germania occidentale. Nel primo caso il virus ha infettato il personale di laboratorio di un’azienda produttrice di vaccini contro la poliomielite, la Behringwerke AG, nel secondo caso ha contagiato alcuni dei dipendenti del Paul Ehrlich Institut. Ventinove persone hanno sviluppato segni clinici e sette di loro sono decedute. Prima di sviluppare la malattia, tutti i casi primari – per ragioni legate al lavoro svolto – erano entrati in contatto diretto con scimmie verdi africane (Chlorocebus aethiops), importate da un unico esportatore di primati ugandese, o con i loro tessuti biologici. Le scimmie erano state verosimilmente infettate dal virus Marburg prima di lasciare l’Uganda. Oltre alle infezioni di Marburg e Francoforte, nello stesso periodo si sono verificate altri due casi a Belgrado, entrambe epidemiologicamente collegate ai focolai della Germania occidentale e allo stesso esportatore di primati ugandese. Dei 31 pazienti totali, 25 erano casi primari e sei i casi secondari, avvenuti tra sanitari o familiari che assistevano i malati.

In seguito, focolai e casi sporadici hanno avuto luogo nella Repubblica Democratica del Congo, in Angola, Kenya, Uganda e Sudafrica. Il più grande focolaio di malattia da virus Marburg è stato segnalato tra il 2004 e il 2005 a Uíge in Angola, nel corso del quale sono stati segnalati circa 252 casi, di cui 227 morti. Tutti i focolai finora registrati a livello mondiale hanno avuto origine nel continente africano e molti di questi sono iniziati tra i minatori che lavoravano in miniere infestate da pipistrelli. L’assistenza ai malati in famiglia o negli ospedali, magari senza adeguati dispositivi di protezione, ha poi causato il propagarsi della malattia nella comunità.  

In Europa è stato segnalato un caso nel luglio del 2008: una donna olandese, secondo quanto riferito dall’European Centre for Disease Prevention and Control, ha sviluppato i sintomi due settimane dopo essere tornata dalle vacanze in Uganda e aver visitato la Python Cave nella foresta di Maragambo, nota per la presenza di una colonia di pipistrelli della frutta (Rousettus aegyptiacus) trovati positivi ai filovirus, incluso il virus Marburg, in altre aree dell’Africa sub-sahariana. Lo stesso è accaduto, il medesimo anno, a un turista del Colorado che aveva visitato la stessa grotta della paziente olandese.

Prevenzione e terapie

Attualmente non esistono trattamenti o vaccini approvati per la cura della malattia da virus Marburg. Le terapie di supporto, che prevedono la reidratazione per via orale o endovenosa, e il trattamento dei sintomi migliorano la sopravvivenza. Sono tuttavia in fase di studio una serie di trattamenti, come emoderivati, immunoterapie e trattamenti farmacologici, e sono in fase di valutazione candidati vaccini con dati di fase 1. 

“Gli eventi in Ghana e Guinea – osserva Salata – sono le prime segnalazioni di casi umani legati al virus Marburg nell’Africa occidentale, zona in cui non c’è una storia precedente. È una dinamica che potrebbe ricordare quella della grande epidemia di Ebola nel 2014, dove il virus è approdato per la prima volta in Africa occidentale in grandi città e siti di scambio importanti favorendone la diffusione. Non a caso l’Organizzazione mondiale della Sanità sta monitorando la situazione e ha allertato un consorzio scientifico per accelerare lo sviluppo di farmaci e vaccini. Le prossime settimane saranno importanti per capire se ci troviamo di fronte a casi sporadici destinati a estinguersi o se vi sia un rischio epidemico locale. Probabilmente la recente esperienza con Ebola nei Paesi vicini potrà essere utile per intervenire efficacemente con misure di tracciamento e contenimento”.

Conclude Salata: “Visto che per Ebola sono stati approvati due vaccini, usando le stesse piattaforme dovrebbe essere probabile lo sviluppo di un vaccino per Marburg in tempi rapidi. Per questi (e altri) virus altamente patogeni che compaiono sporadicamente è bene avere strumenti di prevenzione e terapia pronti per affrontare eventuali emergenze”.

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