SCIENZA E RICERCA

Com'era fatto il primo organismo mai vissuto sulla Terra?

Bill Martin è biologo evoluzionista e genetista, professore all'istituto di evoluzione molecolare della Heinrich-Heine, università di Dusseldorf, e lavora alla biochimica e all'evoluzione dei cloroplasti, dei mitocondri e degli eucarioti.

Trascorrerà il mese di giugno nei laboratori del dipartimento di biologia dell'università di Padova e giovedì 7 giugno ha tenuto una lectio magistralis su un argomento a cui ha dedicato gran parte della sua carriera scientifica, le origini della vita: il suo intervento si intitolava “Alla ricerca del microrganismo numero uno”.

Nell'intervista rilasciata a Il Bo Live, ha discusso il ruolo di mitocondri e cloroplasti nell'origine degli eucarioti, ovvero le cellule che oggi costituiscono tutti gli organismi del regno animale, vegetale e dei funghi. Le cellule eucariote hanno avuto origine grazie a una transizione fondamentale nella storia della vita sulla Terra, oggi nota come teoria dell'endosimbiosi. “Questi organelli (i mitocondri) una volta erano batteri che poi sono entrati in una relazione simbiotica con la cellula ospite circa 2 miliardi di anni fa. Questo ha cambiato totalmente la vita sul pianeta, poiché prima di questo avvenimento tutta la vita sulla Terra era sostanzialmente batterica: le cellule procariote erano chimicamente molto efficaci, sapevano fare la fotosintesi, ma non erano in grado di dar vita a cellule più grandi e complesse e a grandi organismi. Oggi tutte le cellule complesse che hanno un nucleo (gli eucarioti appunto) hanno i mitocondri al loro interno e alcuni eucarioti hanno un ulteriore endosimbionte chiamato cloroplasto, responsabile dell'attività fotosintetica nelle piante superiori: trasformano la luce in energia chimica e in cibo. Anche loro un tempo erano batteri, più precisamente cianobatteri. Quindi la fotosintesi nelle piante e nelle alghe non è un'innovazione evolutiva, è un tratto ereditato: la linea evolutiva degli eucarioti si è appropriata di un batterio che viveva libero in natura ed è diventata capace di fare la fotosintesi”.

La fotosintesi nelle piante e nelle alghe non è un'innovazione evolutiva, è un tratto ereditato Bill Martin

È noto che Charles Darwin sosteneva che il processo evolutivo si realizza tramite la discendenza con modificazione e che l'albero della vita è il pattern che meglio rappresenta questo processo verticale di ereditarietà. Tuttavia, i batteri hanno una peculiarità non da poco nel mondo vivente, ovvero il trasferimento orizzontale di geni, la capacità di condividere pacchetti di sequenze di DNA tra di loro, adattandosi molto velocemente all'ambiente. È proprio questo il fenomeno che sta alla base della resistenza antibiotica. Alcuni studiosi hanno addirittura suggerito che il trasferimento orizzontale di geni sia un processo molto sottovalutato nell'evoluzione e che l'albero della vita, con la sua verticalità, non sia l'unico pattern che raffiguri il processo evolutivo: a volte bisognerebbe parlare di rete della vita. “Io penso che dovremmo distinguere in modo molto netto tra quello che succede nei procarioti e quello che succede negli eucarioti. È vero che i procarioti trasferiscono il loro Dna continuamente attraverso i confini tassonomici delineati delle specie. Ci sono tre meccanismi principali per questo scambio di geni: la trasduzione (in cui il Dna è trasmesso da un fago, ovvero un virus), la trasformazione (ovvero l'introiezione di Dna “nudo”) e la congiunzione. Di questi tre meccanismi solo la congiunzione, che si serve di plasmidi, avviene tramite contatto fisico tra le cellule; nella trasformazione e nella trasduzione la cellula donatrice e la cellula ricevente non si incontrano mai, si tratta solo di un'interazione tra cellule e sequenze di Dna nell'ambiente. Negli eucarioti come gli umani, gli animali, le piante, i funghi, ciò non avviene mai: noi ci serviamo di un meccanismo diverso, che si chiama meiosi”.

Intervista a Bill Martin. Riprese di Tommaso Rocchi.

Il Prof. Martin ha dedicato anche gran parte della sua carriera allo studio delle origini della vita e a capire la fisiologia e l'habitat dell'ultimo antenato comune universale, che in inglese si dice Last universal common ancestor e che quindi è stato chiamato “Luca”. “Puoi occupartene dal punto di vista della biologia comparata o della genomica comparata. Con le analisi genomiche abbiamo potuto trovare i geni comuni a tutte le cellule e abbiamo ottenuto una lista di circa 30 geni coinvolti esattamente in quelle funzioni che si occupano di tradurre le informazioni genetiche in proteine, le unità funzionali della cellula. Ma recentemente abbiamo deciso di seguire un approccio diverso: abbiamo deciso di chiederci non cosa sia universale, bensì quali geni siano più antichi. Esistono infatti due tipi di cellule procariote: i batteri e gli archea. Se abbiamo un gene presente sia nei batteri sia negli archea, allora deve essere stato presente nell'ultimo antenato comune universale, Luca. Il problema a questo punto però è proprio il trasferimento orizzontale di geni: forse il gene è comparso in una linea evolutiva e poi è stato trasferito all'altra, e ciò farebbe sì che oggi lo vediamo presente in entrambe le linee evolutive, ma ciò non significa che sia stato presente in Luca. Allora abbiamo deciso di filtrare il trasferimento orizzontale di geni in modo da ottenere un quadro più chiaro. Abbiamo preso tutti i geni da 2.000 genomi, che fanno più o meno 6 milioni di geni, li abbiamo riuniti in famiglie, ottenendo circa 250.000 famiglie e abbiamo costruito alberi filogenetici di questi geni. Di questi alberi filogenetici abbiamo trovato che circa 11.000 erano dei buoni candidati per Luca, ma il 97% di questi era caratterizzato da trasferimento orizzontale di geni. Solo il 3% circa (355 geni) soddisfacevano quei semplici criteri filogenetici per essere presenti in Luca, perché erano antichi. Ne è venuta fuori una lista davvero molto interessante perché rivelava un gran numero di intuizioni non solo a riguardo di come Luca processava le informazioni, ma anche dove viveva. Luca è evoluto tra i gas come l'idrogeno, la CO2 e il monossido di carbonio, l'azoto, l'H2S (acido solfidrico, ndr). Ma ci sono molti microrganismi che possono sopravvivere tra questi gas oggi. Luca era un organismo anaerobico, aveva molti enzimi che erano sensibili all'ossigeno, e questo ha molto senso perché l'ossigeno è il prodotto dei cianobatteri, che sono arrivati dopo nell'evoluzione. Luca aveva anche geni che ci dicono che era termofilo: insomma, a qualcuno piace caldo! Aveva anche bisogno di metalli, sostanzialmente vari tipi di rocce. Luca era pieno di raggruppamenti genici per il ferro, il nickel e lo zolfo. Ciò significa che viveva in un ambiente ricco di gas vulcanici, faceva caldo, c'erano rocce e questo assomiglia molto ai camini idrotermali che oggi troviamo sul fondo degli oceani”.

Credo che questo sia un esempio di dialogo costruttivo tra scienza e società su una questione fondamentale Bill Martin

Il Prof. Martin ha anche ricevuto un premio molto speciale recentemente. “Il premio viene dalla fondazione Klüh, si tratta di industriali tedeschi, un premio molto importante, 25.000 euro. È stato assegnato per il nostro lavoro sulle prime fasi dell'evoluzione. Ma credo che l'aspetto più interessante sia stata la persona che ha parlato alla cerimonia di premiazione, per congratularsi con me, e si trattava niente di meno che dell'arcivescovo di Berlino, sua eccellenza Dr. Koch. È stato molto sorprendente sentire un arcivescovo spendere parole di apprezzamento per un biologo evoluzionista, ne sono stato davvero colpito. E chiaramente c'era una notevole pressione su di me che dovevo pensare di dire qualcosa che risultasse all'altezza, ho fatto del mio meglio. L'arcivescovo ha richiesto che il mio discorso venisse scritto e oggi è pubblicato nel sito dell'arcidiocesi di Berlino. Credo che questo sia un esempio di dialogo costruttivo tra scienza e società su una questione fondamentale, cioè da dove noi tutti veniamo. Ogni società presente sulla Terra si pone domande sulle nostre origini e ogni società ha una risposta, e anche gli scienziati hanno delle risposte, ma dobbiamo fare attenzione perché le differenze tra le risposte che la religione fornisce e quelle che fornisce la scienza sono molto interessanti: nella scienza la verità cambia di continuo, i fatti continuano a cambiare, il lavoro degli scienziati è proprio quello di scoprire nuovi fatti o fornire nuove intuizioni e magari tutto quello che crediamo sia vero oggi farà ridere gli scienziati che vivranno tra duecento anni, dobbiamo sempre tenerlo a mente”.

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