SOCIETÀ

Le mani della 'ndrangheta in Veneto: l'operazione "Terry" e l'arresto di Domenico "Gheddafi" Multari

20 perquisizioni, 7 misure cautelari (5 in carcere e due agli arresti domiciliari) nei confronti di 15 diverse persone indagate a vario titolo per i reati di estorsione, violenza o minaccia per costringere a commettere un reato, trasferimento fraudolento di valori, resistenza a pubblico ufficiale, incendio, minaccia, tentata frode processuale, tutti questi aggravati dall’essere stati commessi, in alcuni casi, avvalendosi di “modalità mafiose”, cioè il famigerato articolo 416 bis.

Le indagini, dirette dalla Procura Distrettuale Antimafia ed Antiterrorismo di Venezia e condotte poi dai R.O.S., si sono concentrate in particolare nei confronti dei componenti della famiglia Multari.

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I Multari: da Domenico "Gheddafi" ai fratelli arrestati

I Multari sono una famiglia originaria di Cutro, un paese in Calabria in cui la famiglia Grande Aracri è stata esponente di spicco per quanto riguarda la criminalità organizzata. Da Cutro i Grande Aracri negli anni si sono spostati più a nord, in Emilia-Romagna (l’operosità ‘ndranghetista della famiglia Grande Aracri in Emilia-Romagna è emersa nel processo Aemilia, il più grande processo per mafia nel Nord Italia) ma, come vedremo, anche in Veneto, in Lombardia e perfino in Germania.

Seguendo la ‘ndrina Grande Aracri quindi, le indagini hanno portato anche in Veneto, ed in particolare a Zimella, un piccolo paese di cinquemila abitanti in provincia di Verona. Qui c’è una trattoria che però, secondo l’operazione “Terry”, aveva una duplice funzione, oltre a dare da mangiare ai clienti (servizi conditi da modi non sempre gentili e tendenti al “machismo”, a quanto si evince da alcune recensioni del locale) era anche il centro di una rete di rapporti in odore di ‘ndrangheta. Il capofila si chiama Domenico Multari, ha 55 anni, è soprannominato “Gheddafi” e, come riporta l’operazione antimafia, sembra essere un elemento di spicco proprio del clan di Nicolino Grande Aracri.

Domenico Multari, 55 anni, è soprannominato “Gheddafi” ed è un elemento di spicco del clan di Nicolino Grande Aracri

Domenico Multari è un volto noto delle cronache giudiziarie. Già nel 2011 infatti la Direzione Investigativa Antimafia di Padova aveva disposto il sequestro di beni immobili, auto e quote societarie per un valore totale di quasi tre milioni di euro. Ancora nel 2012 un altro sequestro: 500mila euro in immobili ed ora l’operazione “Terry”.

Operazione "Terry"

Le indagini hanno preso il nome da uno yacht ormeggiato al porto di Alghero. Il mezzo era oggetto di un contenzioso tra Francesco Crosera, proprietario dell’omonimo cantiere nautico di Quarto d’Altino, ed un cliente che proprio da lui l'aveva acquistato, ma che voleva indietro parte dei 2 milioni di euro spesi a causa di presunte irregolarità.

“Tecnologia e prestigio nella laguna più bella del mondo” motto presente nel sito web dell'imprenditore Francesca Crosera

L'imprenditore di Meolo (VE)

“Tecnologia e prestigio nella laguna più bella del mondo” recita il motto nel sito web dell’imprenditore, ma il concetto di prestigio di Crosera cozza un po’ con le sue ultime azioni da imprenditore. Il proprietario del cantiere navale infatti, saputo del contenzioso avrebbe contattato i Multari per far bruciare lo yacht e “risolvere” così ogni problema dovuto alle perizie. L’azione però per ben due volte non è andata a buon fine: la prima perché a sventare l’incendio è arrivato un operaio della darsena di Alghero, la seconda perché ad anticipare i calabresi sono stati i carabinieri.

Crosera però a quanto pare è tipo da non fermarsi al primo ostacolo e, dopo i contatti non incendiari con i Multari, si sarebbe rivolto ad altri due malviventi d’origine albanese che, intascati i soldi, avrebbero fatto il doppio gioco spifferando tutto al proprietario dello yacht. A quel punto l’imprenditore veneto avrebbe provato ad assoldare una terza persona al fine d’uccidere il “traditore”.

Un profilo che sicuramente non può e non deve rappresentare la realtà imprenditoriale locale ma che fa capire chiaramente capire che anche in Veneto si riconosce la mafia e le si chiede un aiuto nel risolvere attraverso una modalità di azione tipicamente mafiosa un problema. I Multari infatti erano conosciuti e tutti sapevano qual era il loro ruolo.

“Occorre fare i conti con la società - ha scritto in un editoriale Pierpaolo Romani, coordinatore di Avviso Pubblico, la rete nazionale degli Enti locali antimafia -. In molti a Zimella sapevano che Multari non solo era un imprenditore, ma un signore che con le cattive maniere poteva risolvere tanti problemi che le autorità pubbliche avrebbero forse sistemato con tempi lunghi. E per questo si rivolgevano a lui, come hanno documentato le indagini. Il metodo mafioso gode quindi di un consenso sociale anche nel ricco Nordest e non è affatto vero che sia del tutto sconosciuto alla popolazione veneta”. Questa storia è la dimostrazione che quando si parla di nordest “con gli anticorpi”, purtroppo spesso lo si dice senza accorgersi che il virus è già dilagato.

Anche in Veneto si riconosce la mafia e le si chiede un aiuto

Gli arresti

Gli arrestati durante l’operazione sono in gran parte appartenenti alla famiglia Multari. Ci sono i tre fratelli: Domenico “Gheddafi” (58 anni, residente come abbiamo già detto a Zimella in provincia di Verona), Fortunato (51 anni e anche lui residente nello stesso paese) e Carmine (55 anni e residente in provincia di Vicenza ed in particolare a Lonigo),c’è il figlio  Antonio (residente a Zimella, mentre l’altro figlio Alberto è stato denunciato a piede libero), e c’è l’imprenditoria locale, impersonificata in questo caso da Francesco Crosera di Meolo.

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