SOCIETÀ

Per abbattere le emissioni bisogna rivoluzionare i sussidi europei all'agricoltura

Partendo dal presupposto che per avere un futuro desiderabile, ad oggi, sarebbe necessario un cambio di paradigma anche nel nostro sistema alimentare, vediamo come vengono spesi i soldi dell’Unione Europea proprio in questa filiera. Un’analisi di The Conversation, e pubblicata su Nature Food si concentra sui fondi della PAC, cioè la politica agricola comune, varata nel 1962 e che ha proprio l’obiettivo, tra gli altri, di sostenere gli agricoltori e migliorare la produttività agricola. Partiamo dai risultati: secondo l’analisi la stragrande maggioranza dei sussidi agricoli dell'UE sostiene l'allevamento di carne e latticini piuttosto che alternative vegetali sostenibili. 

Questi finanziamenti arrivano attraverso la PAC, che vale circa il 33% dell’intero bilancio europeo, cioè circa 386 miliardi di euro per il quinquennio 2023-2027. La PAC inoltre, è finanziata tramite due diversi fondi europei: il primo è il  Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) fornisce sostegno diretto e finanzia misure di sostegno del mercato. Nel 2022 questo valeva 40,95 miliardi di euro.

Il secondo filone di investimento della PAC è il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) che finanzia lo sviluppo sostenibile delle zone rurali attraverso tre obiettivi a lungo termine: accrescere la competitività del settore agricolo e forestale, garantire la gestione sostenibile delle risorse naturali e l'azione per il clima e realizzare uno sviluppo territoriale equilibrato delle economie e delle comunità rurali. Il FEASR, per il periodo 2021-2027 vale 95,5 miliardi di euro che comprendono anche un contributo da 8,1 miliardi di euro dal Next GenerationEU. I finanziamenti di questo fondo poi, vengono attuati attraverso i programmi di sviluppo rurale dei vari Paesi, che sono anche cofinanziati dai bilanci stessi degli Stati.

L’analisi di The Conversation quindi mostra come tutti questi fondi finiscano in gran parte alla produzione di cibo animale, che è anche quella che emette più CO2. 

Il cortocircuito che si genera, in questo caso, è quello da un lato della necessità doverosa di portare a zero le emissioni climalteranti e dall’altro di supportare un settore che senza sussidi non potrebbe sopravvivere. Ed è così che, si legge nello studio, dei 57 miliardi di euro di budget annuale della PAC, 46 erano destinati a prodotti di origine animale, principalmente alimenti come manzo, maiale, pollo, latticini e uova.

Queste stime sono riferite al 2013 ma gli autori assicurano che “la proporzione del sussidio è cambiata molto poco da allora”.

Per comprendere a pieno il funzionamento della PAC l’esempio concreto fatto nello studio è quello di un agricoltore francese che coltiva grano per il mangime dei maiali o dei polli, questo riceverà un sussidio per la produzione del grano oltre al sussidio ricevuto da un allevatore di bestiame in Danimarca che importa quel mangime. Per questo motivo, continuano gli studiosi, il sostegno della PAC raddoppia per gli alimenti di origine animale. 

Un aumento del sussidio che rischierebbe operò di creare disuguaglianze tra prodotti animali e vegetali. In questo modo infatti frutta e verdura sembrano relativamente più costose rispetto alla carne o ai latticini. Una visione che, come abbiamo già detto, contrasta con gli obiettivi del net zero. Sappiamo infatti che il settore alimentare globale contribuisce per circa il 30% ogni anno all’emissione di gas climalteranti. Uno studio comparso su Nature Climate Change, e spiegato da Sofia Belardinelli su Il Bo Live, ci dice che il solo contributo dell’industria alimentare sarebbe sufficiente a farci superare ampiamente il limite di +1,5°C che i Paesi firmatari dell’Accordo di Parigi hanno concordato nel 2015. Se quest’industria poi è tenuta in vita allo status quo dai sussidi è normale che l’incongruenza debba far riflettere.

Un ragionamento che gli stessi autori della ricerca di The Conversation fanno, analizzando come il consenso scientifico induca verso un passaggio a diete principalmente a base vegetale e che questa sia la più grande opportunità per ridurre gli impatti ambientali legati al cibo, specialmente nelle nazioni ad alto reddito. Inoltre lo studio mette in luce che il 12% del budget della PAC finisce per sussidiare il prezzo delle esportazioni verso paesi non appartenenti all'UE e che gran parte di queste esportazioni sono verso nazioni ad alto reddito. 

La conclusione di The Coversation non lascia adito a dubbi: “per costruire un sistema alimentare più sostenibile, più resiliente e migliore per la salute pubblica, i sussidi agricoli dovranno essere riformati”.

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