CULTURA

Un laboratorio per il futuro alla Biennale Architettura

Che c'è di più proiettato al futuro dell'impegno a favore della sostenibilità, contro il cambiamento climatico?l La 18. Mostra Internazionale di Architettura di Veneziadal titolo The Laboratory of the Future  parte proprio da qui: la neutralità carbonica.

La biennale che si aprirà il 20 maggio sarà infatti la prima grande mostra di architettura a sperimentare sul campo un percorso per il raggiungimento della neutralità carbonica, riflettendo inoltre essa stessa sui temi di decolonizzazione e decarbonizzazione, promuovendo un modello più sostenibile per la progettazione, l’allestimento e lo svolgimento di tutti gli eventi.

Ma il laboratorio per il futuro non si esaurisce qui. Il suo compito principale, sottolinea la curatrice Lesley Lokko, è essere agente di cambiamento. Al centro di ogni progetto c’è lo strumento principe: l’immaginazione. Com'è possibile progettare il futuro senza averlo prima immaginato?

L'architetta Lokko, prima donna africana a curare la mostra veneziana dedicata all’architettura, spiega: "È stato chiaro fin dal principio che The Laboratory of the Future avrebbe adottato come suo gesto essenziale il concetto di “cambiamento”.  Nell’architettura in particolare, la voce dominante è stata storicamente una voce singolare ed esclusiva, la cui portata e il cui potere hanno ignorato vaste fasce di umanità – dal punto di vista finanziario, creativo e concettuale – come se si ascoltasse e si parlasse in un’unica lingua". Invece, in questa mostra, per la prima volta i riflettori sono puntati sull’Africa e sulla sua diaspora, "su quella cultura fluida e intrecciata di persone di origine africana che oggi abbraccia il mondo. Che cosa vogliamo dire? In che modo ciò che diremo cambierà qualcosa?".

La Mostra, com'è tradizione a Venezia, non narra un'unica storia, ma raggruppa un insieme di idee, contesti, aspirazioni e significati che ogni voce esprime in risposta ai problemi del proprio tempo. "Ecco perché le mostre sono importanti - precisa Lokko - Costituiscono un’occasione unica in cui arricchire, cambiare o rinarrare una storia, il cui uditorio e il cui impatto sono percepiti ben oltre le pareti e gli spazi fisici che la contengono".

Sono 89 i partecipanti al Laboratorio del futuro, di cui oltre la metà provenienti dall’Africa o dalla diaspora africana. Oltre il 70% delle opere esposte è stato progettato da team molto ristretti, sintomo di un forte cambiamento nella cultura della produzione architettonica. "L’equilibrio si sposta. Le strutture si sfaldano. Il centro non regge più" dice Lokko. Le voci si moltiplicano, dalla massa emergono gli individui che mettono in pratica la progettualità: la curatrice non parla di "architetti", ma di practitionerAl centro della mostra infatti, il Padiglione principale ospita le opere di alcuni tra i più rappresentativi practitioner attivi africani e della diaspora africana. "Questi partecipanti costituiscono un frammento della esplosiva comunità africana che sta ridefinendo il termine pratica secondo modalità impensabili fino a un decennio fa". 

"Negli ultimi anni l’architettura si è affermata come la disciplina che più di altre può e deve dare delle risposte ai bisogni dell’umanità", commenta Roberto Cicutto, presidente della Biennale di Venezia. La Mostra di Venezia ormai da tempo non vuole più rappresentare il nuovo, il bello, il tecnologicamente avanzato, prosegue il presidente: "Le ultime Biennali di Architettura hanno fatto della consapevolezza dei temi improrogabili del mondo il loro centro di gravità".

Forse per questo la curatrice ama definire i partecipanti come practitioners, trovando il termine ‘architetto’ riduttivo. E practitioners rende da subito l’idea di un agire concreto e necessario, senza privilegiare canoni estetici o già sperimentati

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