SOCIETÀ

Avete mai pensato che i guai possano essere buoni e addirittura necessari?

Si è spento a 80 anni John Lewis, l’ultimo dei “Sei Grandi” attivisti per i diritti civili dei neri d’America al fianco di Martin Luther King Jr. Un tumore al pancreas è riuscito dove il pestaggio, con frattura del cranio, aveva fallito molti anni prima. Lewis, dopo essersi formato in Tennessee e aver aderito ai movimenti studenteschi in difesa dei diritti civili, e fu anche uno dei tredici Freedom Rider, ovvero quegli attivisti dei diritti civili che percorsero delle tratte interstatali nella parte meridionale degli Stati Uniti sui mezzi pubblici per far valere l’anticostituzionalità della segregazione razziale sui mezzi pubblici. In alcuni stati del Sud, infatti, le leggi federali venivano ignorate o difficilmente applicate. Il suo attivismo è durato più di 60 anni ed è diventato una vera e propria icona, in patria come nel resto del mondo.

Il suo nome è indissolubilmente legato al ponte sul fiume Alabama nella città di Selma, e ai fatti che sono accaduti nei vari tentativi di attraversarlo. Ne parla Mao Valpiana, presidente nazionale del Movimento Nonviolento, che per ricordare la figura di John Lewis ha scelto proprio di partire dalla Bloody Sunday, come fu chiamata la giornata del 7 marzo 1965.

Il ricordo di Mao Valpiana, montaggio di Elisa Speronello

Nel febbraio, dopo alcuni scontri, viene ucciso a sangue freddo Jimmy Lee Jackson dalla polizia, dopo che si era nascosto in un bar. Gli attivisti, nonostante la rabbia, reagirono in maniera non violenta organizzando una marcia pacifica. Lewis e altri 600 manifestanti tentarono di attraversare il ponte, che da Selma porta a Montgomery, ma proprio alla fine del ponte trovarono le forze di polizia a bloccarli con manganelli e gas lacrimogeni. Lewis indosserà per tutta la sua vita le cicatrici sulla sua testa, mentre altri attivisti trovarono la morte sotto la violenta carica della polizia. “Questo è uno degli episodi centrali della sua vita che, anziché ridurlo al silenzio e alla paura, lo motiva ancora di più” ricorda Valpiana, e infatti divenne uno dei principali leader nazionali e organizzò la grande marcia che si concluse, dinanzi al Lincoln Memorial di Washington, con il celebre discorso di Martin Luther King “I have a dream”. In totale le marce per cercare di attraversare il ponte, divenuto ormai pregno di significato simbolico, furono tre, ma solo una ebbe successo. Il secondo tentativo fu caratterizzato dall’ulteriore uso sconsiderato della violenza da parte della polizia che, questa volta, venne documentata con delle foto che poi fecero il giro del mondo. Dopo questo evento scese in campo Martin Luther King Jr che, al fianco di John Lewis e con altre 2500 persone, fu fermato sul ponte dalla polizia, ma questa volta i manifestanti si inginocchiarono a pochi metri dagli agenti, in senso di preghiera per i morti che ci furono su quel ponte e per Jimmy Lee Jackson. La polizia, spiazzata dagli avvenimenti, bloccò la manifestazione ma non intervenne con violenza. Nella notte seguente il Ku Klux Clan, durante una caccia all’uomo, assassinò una persona. Il movimento decise di continuare lungo questa strategia e il 25 marzo viene organizzata un’ulteriore marcia per attraversare il fiume, con 25.000 manifestanti non solo neri, e finalmente la manifestazione viene autorizzata ed ha successo. Una prima vittoria da cui origineranno le successive tappe verso l’abolizione della segregazione razziale e il riconoscimento del diritto di voto.

Se John Lewis non avesse fatto ciò che ha fatto quando era 19-20enne, io non sarei qui Alexandria Ocasio-Cortez

John Lewis inizia quindi una seconda fase della sua vita, schierandosi politicamente ed entrando negli schieramenti al fianco dei democratici. Fu eletto al Congresso come rappresentante dello stato della Georgia nel 1987 e fu rieletto ogni anno, fino ad oggi. Nel dicembre 2019 ha annunciato la malattia al pancreas che, in pochi mesi, lo ha portato alla morte. Che fosse un uomo stimato e rispettato dalla classe politica americana è stato testimoniato dalle presenze illustri al suo funerale. George W. Bush, Bill Clinton e Barack Obama, tre ex presidenti hanno espresso parole di ringraziamento nei suoi confronti, ricordandone anche la grande religiosità. Proprio dal primo presidente di origini afroamericane son state pronunciate le parole più sentite: “L’America è stata costruita da John Lewis. Lui, come nessuno nella nostra storia, ha portato questo Paese un po’ più vicino ai nostri più alti ideali. E un giorno, quando finiremo quel lungo viaggio verso la libertà, quando formeremo un’unione più perfetta, sia che siano passati anni, o decenni, o anche se ci vorranno altri due secoli, John Lewis sarà il padre fondatore di quell’America più piena, più giusta e migliore".

Estratti dei discorsi di commiato di Bush, Clinton e Obama, Los Angeles Times

Nel suo discorso di commiato Barack Obama va oltre, riportando l’attenzione sull’attualità e sulla nuova ondata di razzismo che imperversa negli States e sui tentativi di boicottare il diritto di voto dei neri. L’amministrazione Trump, il grande assente alle esequie, “sta facendo di tutto per scoraggiare la gente dal votare, chiudendo i seggi e prendendo di mira le minoranze e gli studenti con leggi restrittive sulla carta d’identità”, sottolinea Obama, ma è solo una parte del problema. Nel frattempo è stata avanzata da Paul McCartney la proposta di dedicare il ponte sul fiume Alabama, teatro delle varie marce nonviolente e attualmente dedicato a un senatore e leader del Ku Klux Clan dell’Alabama, alla memoria di John Lewis. La proposta è stata appoggiata da numerose realtà nonviolente in tutto il mondo, compreso il Movimento Nonviolento Italiano.

Ci sono forze in america oggi che vogliono farci indietreggiare. Ma noi non andremo indietro, andremo avanti! John Lewis

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