CULTURA

Bada a cosa e come parli: lo studio scientifico delle lingue

Negli ultimi dieci giorni di ogni anno a quasi tutti potrebbe capitare di dover o voler augurare buone feste (buon Natale, buona fine e buon principio, buon anno, ora buon 2022) in un’altra lingua rispetto alla propria, nel nostro caso in una o più lingue diverse dall’italiano. A voce o sui social, su un messaggio o su una mail faremo ricorso a parole e costrutti di altre lingue umane parlate nel mondo, con vari rischi di imprecisione grafica, lessicale o grammaticale. Qualcuno magari pensa addirittura di mettere le locuzioni di tutte le lingue che conosce, di quelle di cui rintraccia come fare per esprimere cosa dire. Esistono ormai in rete elenchi lunghissimi e divertenti. Attenzione: se voleste essere completi dovreste probabilmente augurare buone feste in seimila quattrocento differenti modi, così ci suggerisce oggi lo studio scientifico delle lingue. Accontentiamo qui di farvelo sapere affettuosamente in italiano.

La storia delle lingue di questo mondo oscilla tra due poli estremi, tra nascita ed estinzione. Le comunità linguistiche mondiali subiscono continue fluttuazioni e ciò ha a che fare con il loro sviluppo irregolare: alcune crescono per l’aumento del numero dei locutori (come adesso nei casi di cinese, farsi, swahili), altre invece si riducono perché il numero dei parlanti diminuisce a causa dell’assimilazione esercitata da lingue dominanti (come per gaelico in Scozia, sorabo in Germania, mordvino in Russia); in molti Stati (per esempio quelli dell’Unione Europea) il numero di lingue parlate è destinato ad aumentare ulteriormente in conseguenza delle immigrazioni da aree esterne, in altri invece si ridurrà per la perdita di lingue minoritarie (come in Australia e Brasile). Mezzo secolo fa esistevano poche lingue parlate da oltre 100 milioni di persone, oggi forse sono dodici, l’italiano pare non esserci. Il totale delle lingue con oltre un milione di locutori ammonta a circa 273, l’italiano ovviamente è fra queste. Le comparazioni geografiche e storiche sono utili per capire le tendenze. Meglio cominciare proprio dal principio e due libri recentemente tradotti in italiano ci aiutano.

Luoghi e tempi: Africa e poi ovunque. Da centinaia di migliaia di anni fa in poi, evolvendo. Un primo interessante volume sulle lingue è di Svenker Johansson, L’alba del linguaggio. Come e perché i Sapiens hanno iniziato a parlare,Ponte alle Grazie Milano 2021 (orig. 2019), pag. 452 euro 20 (traduzione di Alessandro Storti). Si parte dagli antenati comuni: nella ricerca scientifica sull’origine della nostra specie e dei suoi linguaggi si sono osservate nel mondo animale sempre più facoltà che ritenevamo prettamente umane. Non siamo poi così unici come ci piacerebbe credere. Forse l’innovazione biologicamente più eccezionale è la gestione della memoria tramite puntatori, una dotazione non specifica della lingua. I punti che ci distinguono oggi nettamente da altri animali e dai nostri parenti più stretti sono più relativi alla volontà che alla capacità: i sapiens vogliono comunicare, impulso spiegabile con l’alto livello di fiducia e cooperazione all’interno della società umana e con l’altrettanto alto livello di controllo sociale che la comunicazione consente.

Probabilmente, all’interno del genere Homo, la protolingua è comparsa all’inizio dell’evoluzione, riguarda specie precedenti la nostra, progenitori comuni. Poi, la lingua si è sviluppata gradualmente, soprattutto per la svolta nell’evoluzione sociale dell’erectus (fiducia e cooperazione, appunto), in un arco di tempo molto lungo. La comparsa degli adattamenti anatomici e delle tracce culturali si estende lungo un periodo di centinaia di migliaia di anni, in più luoghi e forme. La protolingua si è consolidata come vantaggio evolutivo, partendo da una struttura atomistica: ogni espressione (tendenzialmente parola) era unità semantica, senza necessariamente una struttura grammaticale interna, con funzione comunicativa (magari non unica) di trasmissione di significati, anche con un sistema misto di suoni e gesti. Quando noi sapiens moderni abbiamo cominciato a espanderci ovunque fuori dall’Africa eravamo già parlanti a pieno titolo, con alcune raffinatezze grammaticali e tutti gli adattamenti biologici necessari alla lingua, sempre più ramificatasi poi nelle migliaia di lingue che si parlano oggi.

Il fisico e linguista svedese Svenker Johansson (1961) nel 1990 ha abbandonato la fisica delle particelle (tesi di dottorato sulla generazione di coppie leptoniche nelle collisioni protoniche in un sincrotone in Svizzera) per dedicarsi al linguaggio e alla comunicazione umana. Oggi sappiamo molto di più sull’origine del linguaggio, anche se il quadro completo è un puzzle al quale mancano ancora tante tessere. L’autore ha preso in considerazione riferimenti scientifici di varie discipline, non solo la linguistica: biologia evolutiva, paleoantropologia, archeologia, primatologia, genetica, anatomia, etologia, neuroscienze, psicologia, evidenziando sempre quali sono le questioni controverse, dentro ciascuna e fra di loro. I titoli della tripartizione narrativa e dei capitoli riassumono l’accidentato percorso.

La prima parte del volume di Johansson è più breve, non storica: riguarda comprensione e definizione delle varie componenti del linguaggio umano, ovvero concetti e proprietà di categorie lessicali e fonemi, di grammatiche e semantica; le caratteristiche superficiali e fondamentali della comunicazione (sconfinata espressività, inattendibilità e triadicità, soprattutto) e gli universali linguistici; la comunicazione verbale orale e scritta, concentrandosi giustamente su quella ostensivo-inferenziale. Seconda e terza parte seguono la storia antichissima di lingua e lingue: le origini delle specie comunicanti (dai primati), ovvero le spiegazioni di Darwin, i ruoli di ereditarietà e ambiente, il cervello (eventualmente) predisposto, la scimmia cooperante; poi l’origine della lingua, ovvero i primi parlanti, il primo argomento di conversazione, l’uomo delle caverne, l’uomo culturale, le prime parole e lingue, gli spunti intorno alla lingua primigenia; offrendo in fondo qualche risposta sul tragitto “da scimmie balbettanti” a sapiens parlanti. La bibliografia è limitata all’essenziale rispetto alla multidisciplinarietà, si chiude con le referenze iconografiche per foto e immagini (rare).

Il secondo volume importante tratta le lingue umane più o meno dal punto in cui si arresta il primo, ovvero da quando noi si parla tutti in modo abbastanza stanziale, ovunque e comunque accada: Harald Haarmann, Storia universale delle lingue dalle origini all’era digitale, Bollati Boringhieri Torino 2021 (orig. 2016), pag. 463 euro 25 (traduzione di Claudia Acher Marinelli). Si parte da numeri e definizioni contemporanee: le stime più recenti sul numero totale di lingue parlate oggi nel mondo oscillano tra le 6000 e le 6500. La lingua e le lingue con le quali siamo cresciuti o che abbiamo imparato sono differenti separati apparati di regole lessicali e grammaticali. Deve trattarsi, dunque, di un sistema fonetico che, indipendentemente dal numero dei rispettivi locutori e dalla quantità dei paesi in cui è diffuso, ha i seguenti caratteri: si differenzia strutturalmente dagli altri; si distingue per l’esistenza di conseguenti barriere comunicative con i parlanti “altra” lingua; viene usato sia come mezzo di comunicazione multifunzionale sia come simbolo di identità culturale; possiede un’eventuale forma scritta non divergente, se esiste, rispetto a quella parlata.

La denominazione delle lingue parlate è meno certa di quel che si crede: per le circa 6400 lingue mondiali sono in uso quasi 40000 nomi diversi, autoctoni o attribuiti da altri, spesso divergenti. Se appena appena ci guardiamo indietro, il numero complessivo delle lingue umane e dei loro nomi si moltiplica enormemente e si articola ulteriormente: le lingue possono essersi fuse, aver sviluppato varianti regionali o sociali autonome (prima o poi percepite come idiomi differenti), estinte. Il compito della linguistica storica è appunto quello di identificare tutte le lingue parlate nella preistoria, nella storia e nel presente dell’umanità, delineandone l’origine e lo sviluppo, valutando criticamente anche il carattere mutevole del lessico, dovuto soprattutto alle migrazioni (sia emigrazioni che immigrazioni) e al contatto con altre culture e lingue, in un continuo intreccio meticcio di ecosistemi e parlanti.

Il famoso linguista tedesco Harald Haarmann (Braunschweig, 1946) ha insegnato in patria e un po’ in tutti i continenti, da parecchio vive e lavora in Finlandia. Dopo aver scritto una quarantina di testi in svariate lingue, si è cimentato con una complessa completa Weltgeschichte der Sprechen, ora tradotta in italiano. Nell’esposizione l’autore segue un andamento sia cronologico che geografico. Il primo capitolo ripercorre rapidamente gli albori dell’evoluzione umana: i primordi espressivi verbali e simbolici degli ominidi, la diffusione dall’Africa delle principali specie umane con le loro identità e abilità linguistiche (straordinari motori culturali), il protolinguaggio dell’uomo di Neandertal, le intenzionali complesse proprietà linguistiche di Homo sapiens. I capitoli successivi seguono in parallelo l’arrivo dell’uomo moderno nei vari continenti e l’evoluzione linguistica della nostra specie (secondo le note ipotesi della genetica delle popolazioni sviluppate da Luca Luigi Cavalli Sforza): Africa ed Eurasia a partire da circa 100000 anni fa (le origini della varietà culturale); Australia, Siberia e Nuovo Mondo a partire da 65000 anni fa (con varie ondate migratorie e cenni sulla specificità della diffusione linguistica nelle isole grandi e piccole); le tracce altrove (come nel basco) delle lingue più antiche dell’Africa e dell’Eurasia, con le caratteristiche arcaiche nella costruzione grammaticale e i relitti di antiche strutture sintattiche.

Il cuore del volume di Haarmann riguarda l’arco temporale degli ultimi 12000 anni, il Neolitico: il quinto capitolo è dedicato all’origine delle famiglie linguistiche, il sesto alle famiglie linguistiche indoeuropee (da 9000 anni fa), il settimo alle altre famiglie linguistiche moderne (da 8000 anni fa). I capitoli finali trattano gli sviluppi diacronici e sincronici delle lingue: l’ottavo il ruolo delle tecnologie (tendenze sincroniche nella diffusione dell’agricoltura ma anche sviluppi indipendenti), con particolare attenzione alla lavorazione del ferro e ai sistemi di scrittura; il nono i frutti tardivi dell’età moderna (pidgin e lingue creole); il decimo presente e futuro delle lingue (ben sapendo che le inglesi sono lingue plurali). L’autorità dell’inglese come lingua globale non è esclusiva. Da una parte ci sono altri idiomi come il francese, l’arabo, il cinese, il russo o il tedesco che non occupano affatto posizioni di nicchia; dall’altra parte l’accesso alla lingua inglese della maggioranza dei suoi locutori passa attraverso un altro idioma nativo e, comunque, attraverso una gestione meticcia. Inoltre, al di fuori della ristretta comunità di madrelingua inglesi, la comunicazione quotidiana e professionale è improntata a un bilinguismo funzionale in innumerevoli varianti nazionali, regionali e locali. Ricca la bibliografia, straordinario l’indice delle lingue e delle famiglie linguistiche, quasi quindici pagine e un migliaio di voci (molte non certo con un’unica citazione).

La storia e la geografia delle lingue parlate è interessante, prima o poi andrà messa in parallelo con la storia e la geografia dei segni scritti. Noi forse abbiamo introiettato una sorta di percorso lineare e progressivo dell’oralità divenuta da un certo momento anche scrittura e lettura: per le lingue il binomio è forse solo così, consecutivo nel tempo. Eppure, più o meno quando alcuni gruppi di sapiens hanno cominciato abitualmente a comunicare con la voce pensierosa (e c’erano già precedenti in altre specie), gli stessi e altri hanno cominciato abitualmente a comunicare anche con segni grafici realizzati con le mani pensierose (e c’erano già precedenti in altre specie), non necessariamente connessi a quelle stesse sincroniche parole, disegni figurativi o geometrici, ripetitivi e sistematici di una specifica comunicazione. Si tratta dunque presto di meditare separatamente sulle parole orali, sui segni di parole, sui segni non di parole, sulla lettura di parole e segni, tutti diacronicamente simbolici, espressione di una pluralità sapiente di forme di comunicazione umana, di arte e di scienza.

Buone feste!

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