SCIENZA E RICERCA

Batteri che mangiano anidride carbonica e la convertono in biomassa

Per raggiungere gli obiettivi di contenimento dell’aumento della temperatura globale fissati dal rapporto Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) non sarà sufficiente diminuire le emissioni di CO2. Soprattutto perché, anche dopo gli accordi di Parigi del 2015, siamo stati in grado di incrementare le quantità di emissioni, raggiungendo nel 2018 il picco massimo di 55,3 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente in atmosfera, secondo l’Emission Gap Report 2019 dell’Unep, il programma ambientale dell’Onu.

Oltre ad affrettare la transizione energetica verso modalità di trasporto, di riscaldamento, di produzione e di consumo sostenibili, per mitigare gli effetti del cambiamento climatico dovremo con ogni probabilità ingegnarci nel trovare soluzioni che sequestrino l’eccesso di gas climalteranti dall’atmosfera. Quella più naturale consiste nel piantare alberi, invece di deforestarli, in quanto sono in grado con la fotosintesi di sottrarre anidride carbonica all’ambiente circostante e utilizzarla per le loro funzioni vitali.

Le piante che operano la fotosintesi fanno parte di quel vastissimo gruppo di organismi (la maggioranza di quelli che abitano la Terra) definiti autotrofi, ovvero capaci di produrre molecole organiche complesse, e dunque biomassa, a partire da sostanze semplici usando la sola energia solare (organismi fotoautotrofi) o reazioni chimiche inorganiche (organismi chemioautotrofi), ovvero che non coinvolgono molecole di carbonio.

Le piante, come anche i cianobatteri (microrganismi acquatici che operano la fotosintesi), utilizzano la fotosintesi (dunque l’energia solare) per fissare le molecole di carbonio estratte dalla CO2 in composti organici come il glucosio, fondamentale per le loro funzioni.

Gli organismi autotrofi utilizzano la CO2 come unica fonte di carbonio per le loro attività metaboliche e la biologia sintetica negli ultimi anni ha mostrato un forte interesse nei confronti di questi meccanismi, tentando di riprodurli in laboratorio. Chissà se alla Cop25 in corso a Madrid i leader politici stanno mostrando un analogo interesse per le soluzioni che può essere in grado di offrire la scienza.

Ora, un team internazionale di ricercatori del Weizmann Institute of Science di Rehovot, in Israele, della Rockefeller University di New York, del Politetcnico di Zurigo e del Max Planck Institute di Potsdam, ha pubblicato su Cell un risultato che è già considerato una pietra miliare per le biotecnologie ambientali: sono riusciti a creare batteri Escherichia coli che si nutrono di anidride carbonica anziché di zuccheri e altre molecole organiche. In altre parole sono riusciti a installare i meccanismi dell’autotrofia in un organismo modello, facile da manovrare in laboratorio.

Gli organismi autotrofi sono la cerniera tra il mondo inorganico e quello vivente, e questi batteri modificati potranno venire sfruttati per convertire la CO2 in biomassa, a sua volta impiegabile come biocarburante o come fonte di cibo.

La strada per ottenere questo risultato non è stata semplice da percorrere. Gli E. coli infatti sono normalmente organismi eterotrofi, ovvero che ricavano i propri nutrienti da altre sostanze organiche: si nutrono di glucosio e producono CO2 come prodotto di scarto del proprio metabolismo. Gli scienziati, insomma, sono dovuti partire dal punto esattamente opposto rispetto a quello a cui volevano arrivare.

Nel 2016 il gruppo di biologia sistemica del Weizmann Institute di Ron Milo, era già riuscito a modificare parte del metabolismo del batterio, ma la CO2 rimaneva solo uno degli ingredienti di una dieta carbonica ancora variegata.

Per ottenere E. coli interamente autotrofi hanno utilizzato due strategie: l’ingegneria genetica e l’evoluzione direzionata. Ai batteri sono stati aggiunti geni che codificano per una coppia di enzimi che servono agli organismi fotosintetici per convertire la CO2 in molecole organiche, sfruttando l’energia solare. Gli E. coli dovevano però trovare altrove la propria fonte di approvvigionamento energetico, così i ricercatori li hanno attrezzati con un altro gene che consente loro di estrarre energia da una molecola organica, dotata di un solo atomo di carbonio, ricavata dall’acido formico (in inglese formate).

Nonostante ciò il batterio preferiva ancora l’appetitoso zucchero all’insipida CO2. Per forzare il cambio di dieta, i ricercatori hanno allora utilizzato la tecnica che ha valso il premio Nobel per la chimica nel 2018 a Frances Arnold: l’evoluzione direzionata. In laboratorio hanno ricreato un ambiente che esercitasse forti pressioni selettive sui batteri, in modo da far emergere, nel corso delle generazioni (veloci nel caso di E. coli), le mutazioni desiderate. I batteri sono stati coltivati con bassissime quantità di zuccheri mentre le concentrazioni di anidride carboniche sono state aumentate, fino a 250 volte quelle presenti nell’atmosfera terrestre. Nel giro di 200 giorni i primi batteri capaci di utilizzare la CO2 come sola fonte di anidride carbonica hanno fatto capolino e dopo circa 300 giorni risultavano adattati alle nuove condizioni.

I nuovi batteri autotrofi restano comunque in grado di alimentarsi con zuccheri, laddove si trovassero in basse concentrazioni di CO2, e i loro tempi di riproduzione restano molto più lenti di quelli di E. coli non ingegnerizzati (18 ore, contro 20 minuti, in ambienti con il 10% di CO2), né sono in grado di sopravvivere a condizioni atmosferiche normali (dove la concentrazione di CO2 è dello 0,041%). Il passo successivo sarà comprendere quali mutazioni abbiano consentito l’adattamento alla CO2 del batterio: si ipotizza siano coinvolti solo 11 geni.

Inoltre il bilancio di anidride carbonica prodotta dal metabolismo degli E. coli modificati resta positivo, perché l’acido formico (la fonte di energia) viene ossidata in anidride carbonica (come mostrato in figura) e la complessiva produzione di CO2 resta maggiore di quella che i batteri sono in grado di assorbire. I ricercatori si aspettano però che in futuro l’acido formico possa venire prodotto elettrochimicamente dalla CO2 ottenendo così nel complesso un processo a emissioni negative.

Gli E. coli sono un organismo modello versatile, che è già stato impiegato nell’industria delle biotecnologie per produrre sostanze chimiche come l’insulina e l’ormone della crescita umano. L’articolo pubblicato su Cell apre nuove strade alla sostenibilità, come la produzione di biocarburanti e altre sostanze biochimiche. Per le eventuali applicazioni tuttavia occorre pazienza, sostegno e programmazione.

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