Schede elettorali arrivate via posta. Foto: Reuters
Due cose sappiamo per certo: Joe Biden ha ricevuto il maggior numero di voti dai cittadini americani ma non è detto che diventi presidente, a causa del bizzarro e antidemocratico sistema elettorale degli Stati Uniti. Lo scenario attuale è quello di un candidato democratico in vantaggio ma non con uno scarto sufficiente per avere la certezza del risultato, rendendo necessario contare fino all’ultima scheda, e magari ricontare perché la differenza tra i voti dei due candidati maggiori è troppo piccola. O, ancora più probabile, dovendo aspettare il risultato delle mille battaglie legali che i repubblicani ingaggeranno per sopprimere i voti democratici con qualsiasi pretesto. Conflitti legali che, nei casi decisivi, potrebbero arrivare alla Corte Suprema, dove Trump ha collocato amici fidati (tre dei nove giudici sono stati nominati da lui, altri tre da presidenti repubblicani).
I seggi si sono chiusi stanotte dalla Florida all’Alaska, dal Massachusetts alle Hawaii ma molti milioni di schede inviate via posta devono ancora essere contate, soprattutto in stati come Pennsylvania e Wisconsin che accettano anche schede arrivate dopo il giorno delle elezioni, purché il timbro postale sia quello del 3 novembre. Come previsto, nella notte Trump si è autoproclamato vincitore, ricorrendo al trucco di considerare definitivi i risultati del voto nei seggi avvenuto ieri e cercando di sopprimere il voto postale. Tentativi disperati di un demagogo arrivato alla Casa Bianca per caso ma che farà di tutto per restarci, per continuare a godere di un’immunità senza la quale rischia – letteralmente – la galera per evasione fiscale.
We are up BIG, but they are trying to STEAL the Election. We will never let them do it. Votes cannot be cast after the Polls are closed!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) November 4, 2020
Mai come quest’anno hanno votato tanti americani, anche questo lo sappiamo per certo: la partecipazione al voto, con file chilometriche ai seggi, ha battuto tutti i record dell’ultimo secolo. Il motivo dell’incertezza che perdurerà oggi, e forse nei prossimi giorni, è che la competizione sarà di fatto decisa in soli cinque stati: Arizona, Georgia, Michigan, Pennsylvania e Wisconsin.
Dai sondaggi sapevamo che Biden era in testa in ciascuno di loro, ma con un vantaggio modesto, cioè entro il margine di errore statistico e si è visto che “l’ondata blu” (il colore dei democratici) non c’è stata: Trump si è rivelato capace di mobilitare le sue truppe, riconquistando stati che sembravano incerti, come la Florida, con un discreto margine. Quest’anno il vantaggio dei democratici sembrava più solido: Biden è arrivato al giorno delle elezioni con un vantaggio di otto punti in Michigan (53% a 45%), di sei punti in Pennsylvania (52% a 46%) e, infine, di nove punti in Wisconsin (54% a 45%). Se vincesse in tutti e tre questi stati, conservando gli stati vinti da Hillary Clinton quattro anni fa otterrebbe una maggioranza nel collegio elettorale, ma per saperlo occorrerà aspettare i prossimi giorni: nelle urne il suo vantaggio si è fortemente ristretto. Il candidato democratico ha anche altre strade per vincere, però: ha già vinto in Arizona e in uno dei distretti elettorali del Nebraska, che nel 2016 erano andati a Trump.
Per gli amanti del brivido c’è un’ulteriore possibilità: dopo i vari conteggi e ricorsi, poiché il numero di delegati nel collegio elettorale è pari (538) è possibile che il match finisca in parità: 269 a 269. Per fortuna, la Costituzione prevede anche questa ipotesi: se non c’è una maggioranza il compito di eleggere il presidente passa alla camera dei rappresentanti. Attenzione, però: non si voterà “per testa”, cioè deputato per deputato, ma per delegazioni degli stati, ciascuno dei quali avrà un voto. E, per il momento, la maggior parte dei deputati è democratica, mentre la maggioranza delle delegazioni, grazie ai numerosi stati rurali e sottopopolati, è repubblicana. Ancora suspence, molto meglio di una serie su Netflix.